Era stato veloce, troppo veloce.
La velocità l’ aveva sempre affascinato, fin da piccolo quando aveva viaggiato per la prima volta con un aereo. La corsa sfrenata prima del decollo era stata un esperienza che non avrebbe mai dimenticato.

Aveva anche acquistato una macchina veloce. La linea aggressiva e sportiva era un perfetto connubio con le impressionanti prestazioni del motore. Guidare gli piaceva e farlo ad alta velocità ancora di più. Il panorama cittadino si mischiava in macchie di colore sfocate che sfrecciavano ai sui lati. Pedoni, vetrine, insegne, muri, alberi, case, semafori e altre macchine diventavano una confusa tavolozza di colori sfumati che si dissolvevano alle sue spalle perdendosi nel buio della memoria un’ attimo dopo averle superate. Guarda avanti lui! Il prossimo incrocio, il seguente stop erano un incognita che andava svelata. Velocemente. Il brivido della guida era un attimo fuggente da vivere in tutta la sua istantaneità.

Era veloce anche a pallone. Il gioco del calcio era il più bello del mondo e su questo non aveva dubbi. Ai suoi amici ripeteva sempre che se dai un pallone a un bambino piccolo la prima cosa che fa è dargli un calcio. Era congenito all’essere umano. Per lui era il gioco perfetto. Alto o basso, robusto o magro potevi essere un campione. Lui c’èra anche andato vicino, a essere un campione, non fosse stato per quei legamenti che avevano ceduto troppo presto rovinandogli una possibile carriera da calciatore. Adesso giocava con gli amici, al campetto del circolo sportivo del quartiere. Non possedeva una tecnica eccelsa ma aveva uno scatto fulmineo. Finta di corpo, doppio passo che lasciava sul posto il difensore, due passi e tiro. Goal, parata, palo o fuori. Erano poche le alternative. Oltre al gonfiarsi della rete solo correre palla al piede lasciandosi dietro giocatori troppo lenti gli donava quella sensazione primordiale di forza e vittoria, di predominanza fisica.

Anche questa volta era stato veloce. Troppo veloce.
L’aveva conosciuta la sera prima in un locale dalle luci soffuse e tremolanti ma pervaso da una musica dura e potente, come piaceva a lui. Lei era bella. Anche su questo, come sul calcio, non aveva dubbi. Aveva il fascino di una Cleopatra, coperta di borchie e tatuaggi. Indossava una canottiera nera a coprirle un timido seno sovrastata da una maglia nera a rete a maniche lunghe. Una gonna corta a pieghe anch’essa nera sotto la quale si slanciavano le sue gambe magre e perfette, coperte da calze anche loro a rete che sembravano ammiccare compiaciute la maglietta. Il trucco pesante esaltava il verde degli occhi felini. Due smeraldi nei quali perdersi per sempre.
Non aveva ancora capito come avesse fatto ad avvicinarla.
La musica, nel suo viscerale miscuglio di graffianti chitarre, persistenti doppi pedali e rimbombanti bassi, sembrava lontana. Un rumore di sottofondo alla profonda e avvolgente voce di lei. Lui ascoltava e annuiva cullato dalle sue frasi, ipnotizzato da quelle labbra carnose che si muovevano in un’ armoniosa danza che accompagnava le sue vellutate parole.
Alcune ore dopo lei accese una sigaretta. Le curve sensuali del suo corpo si intuivano attraverso le umide lenzuola che l’avvolgevano. La stanza era illuminata di traverso dalla fredda luce lunare che si faceva prepotentemente spazio tra le pesanti tende poco aperte. Aspirò una boccata dalla sua sigaretta, la trattenne per una frazione di secondo nella sua bocca e poi la lasciò uscire timidamente fuori. Fili di fumo grigio le passarono davanti al volto coprendo per un attimo i suoi occhi. Aveva uno sguardo triste ma allo stesso tempo risentito. L’espressione di chi per un attimo ha avuto ciò cui agognava per poi perderlo per sempre.
Lo fissò per qualche silenzioso, eterno secondo.
Poi gli disse :”Sei stato veloce… Troppo veloce”.
Lui sostenne il suo sguardo a fatica. Avrebbe voluto dirle che era bellissima. Che mai aveva amato una donna come quella sera. Che l’eccitazione aveva raggiunto un livello a lui sconosciuto. Voleva dirle che sì, lo sapeva e che avrebbe voluto essere più lento, che avrebbe voluto amarla di più e ancora, fino alla fine del mondo.
Ma le uniche parole che gli uscirono furono :”Lo so… lo so”



Riccardo Torti nasce nella città eterna nei primissimi anni ottanta. Amante dell'immagine adora cinema, serie tv e fumetto. Di quest'ultima ne fa anche una professione grazie agli insegnamenti del padre Rodolfo. Esordisce come disegnatore professionista sulle riviste dell' Eura grazie anche all’approvazione di Lorenzo Batoli che vede in lui un talento nascosto… ma nascosto bene. Per la rivista si improvvisa anche sceneggiatore scrivendo alcuni racconti brevi. Col numero 53 inizia la sua collaborazione con la serie regolare di "John Doe" su testi di Roberto Recchioni. Collaborazione che prosegue ancora adesso.

1 commento:

Ele ha detto...

wow! sono il primo commento!!!
Be', a me è piaciuto il tuo racconto. Fatto di piccole sfaccettature e del giusto ritmo!
Bravo!!! :D