Sulla sua prima scena del crimine c’erano due uomini che chiacchieravano tranquillamente, a braccia incrociate di fronte al cadavere.
Sasha era già arrabbiata perché era in ritardo e il traffico in quella città insulsa (Spezia, senza “La”, le avevano detto) era un casino.
In più minacciava di piovere.
Il primo uomo era sulla trentacinquina e aveva l’aria da poliziotto.
Il secondo era un tizio snello e alto, vestito da goth, che sulla scena del delitto non c’entrava niente. Forse un testimone, pensò Sasha, avvicinandosi.
“Potrebbe essere spuntato all’improvviso da dietro quell’angolo,” stava dicendo il poliziotto biondo, indicando un punto poco più avanti, “lui o lei l’ha investito per sbaglio. Poi, volendo prestare soccorso, ha fatto retromarcia per tornare indietro, ma sfortunatamente l’ha beccato di nuovo. Vedendo che ormai era morto, se n’è andato. Brutta storia, ma chiaramente la Mobile non c’entra niente. Certo, avrebbe dovuto denunciare il decesso, ma vogliamo arrestarlo per questo?”
Il ragazzo gotico annuì. “La tua teoria non fa una grinza, Mainardi. Non doveva essere un guidatore molto abile. Vedendo che tanto ormai era morto – e visto che in una strada così stretta è difficile fare manovra…”
“Capisco il suo punto, signore,” interruppe il poliziotto biondo. “Secondo lei, che gli sia passato sopra una terza volta è sospetto.”
“A Spezia? Non direi.” Il gotico si strinse nelle spalle. “L’altro giorno ho visto uno che stava facendo retromarcia in una rotonda.”
“Cioè?” chiese il biondo.
“Niente. Si vede che aveva saltato la sua uscita, così ha pensato di tornare indietro in retromarcia, invece che andare avanti e fare tutto il giro.”
Il gotico si grattò pensosamente il mento. “C’è un dettaglio che non mi convince, però. Il fatto che dopo essergli passato sopra la terza volta sia sceso e gli abbia finito di schiacciare quel che rimaneva della testa con la scarpa secondo me indica un certo astio.”
Il biondo si chinò a guardare.
“Ah. Non ci avevo fatto caso.”
“Senza nulla togliere alla tua teoria credo che sarebbe più pratico pensare a un omicidio. A lei piacciono solo i cadaveri, signorina, o è qua per qualche motivo?”
Sasha sobbalzò.
Aveva seguito lo scambio di battute con crescente perplessità, finendo per astrarsi dalla situazione. Il ragazzo gotico si era voltato e la stava guardando con due occhietti grigi e penetranti. Solo che, guardandolo meglio, non era proprio un ragazzo. Doveva aver superato i trentacinque, come minimo.
“Sono la vice-ispettrice aggiunta Sasha Damiani,” disse. “Signore?” aggiunse, palesemente dubitativa.
“Vice-ispettrice aggiunta?” ripetè il poliziotto biondo, aggrottando la fronte.
“Ah, sì, certo,” annuì il gotico. “Mi sono dimenticato di dirtelo. Ti trasferiscono a Catanzaro, lei è qui per prendere il tuo posto.”
Il biondo non gli rispose nemmeno.
“Io sono l’ispettore Roberto Mainardi e questo è il commissario Ermanno Sensi.”
Sasha estese una mano leggermente sudaticcia. “Ho sentito dire ogni bene di lei, signore. Del suo periodo da infiltrato in quella setta satanica, della medaglia al valore… sono davvero-
“Ansiosa di fare carriera, sì, lo vedo. Guardi, se fossi in lei mi rivolgerei direttamente a Salvemini.”
“Sarebbe il questore,” spiegò Mainardi, servizievole. Prese un’occhiataccia dall’altro e aggiunse: “Certo, non è sexy come il capo.”
Sasha sorrise nervosamente.
“Sicuramente più magro. Bene, Damiani, dia un’occhiata anche lei. Che cosa gliene pare?” Si spostò di lato per consentirle di vedere il cadavere.
Sasha rimase fredda come una vera professionista anche mentre vomitava sugli anfibi del capo.

Diego, il suo ragazzo, si era manifestato nel cucinotto.
Sulle prime Greta non si era accorta che era palesemente morto.
“È ancora cruda,” aveva detto, riferendosi alla pasta.
“Non ha importanza,” aveva risposto Diego, facendole alzare la testa di scatto.
A metterla sul chi vive non era stato tanto il timbro soprannaturale, quanto che si era appena ricordata che quella sera lui non era rientrato. Che cosa ci faceva, quindi, dritto accanto ai fornelli?
“Diego?” aveva domandato, smarrita. “Diego, dov’è la chiatarra?” aveva aggiunto, poi.
“Spiaccicata,” aveva spiegato, lui, con un gesto definitivo.
Greta aveva iniziato a piangere, senza neanche sapere perché.
Lui si era avvicinato e le aveva posato una mano sul braccio. Non era stata una sensazione particolarmente piacevole.
“Cristo, sei…”
“Freddo. Lo so.”
Greta si era decisa a guardarlo. Ma che cosa c’era da aggiungere a parte il fatto che era morto? Non c’era nessun dubbio in merito, anche se non aveva niente di diverso dal solito.
Niente ferite in bella vista, ad esempio.
Non un colorito verdastro.
Non gli abiti stracciati.
Era solo morto.
“Che cosa è successo?” aveva chiesto, alla fine.
Lui aveva indicato la pentola. “Sta scuocendo.”
Greta aveva spento il fuoco. “Allora?”
“Allora niente. Mi hanno messo sotto in macchina.”
Lei si era coperta la bocca con una mano.
“Ed è stato…”
“Istantaneo, sì. Almeno quello. Mi dispiace per la chitarra. Diglielo, a tuo fratello.”
“Sì, certo, sarà il mio primo pensiero”, aveva ribattuto, asciugandosi gli occhi col dorso della mano. “Ma porco cazzo, ti sembra questo il modo di fare? Ti presenti qua come niente fosse, morto?”
“No, dovevo mandarti prima una raccomandata? È stata una cosa un po’ improvvisa, non so se mi spiego. Ho ventisei anni, cazzo.”
Greta aveva aperto la bocca per ribattere qualcosa – forse voleva dire che era tipico che litigassero anche dopo la sua morte – ma Diego l’aveva interrotta con un gesto. “Vai ad aprire, ne parliamo dopo.”
Greta aveva aggrottato la fronte. “Vado ad aprire a chi?”
Il campanello a quel punto aveva suonato. “Alla polizia. Sono venuti a darti la notizia.”
Lei aveva emesso una risata raschiante. “Che tempismo.”
“Già. Se fossi in te metterei via il mio giubbotto, prima. C’è qualcosa, nella tasca destra.”
Greta l’aveva fissato con astio, ma lui era rimasto impassibile. “Mi avevi detto che avevi smesso.”
“Ora l’ho fatto,” aveva risposto lui, senza scomporsi.

Sensi si rivoltò sulla pancia e boccheggiò per qualche secondo.
“Cristo,” borbottò. Si sfilò cautamente il preservativo, lo annodò e lo lanciò in un angolo della stanza, a fare compagnia agli altri suoi due amichetti.
La vice-ispettrice aggiunta Damiani si sporse fuori dal letto singolo di lui, iniziando a rovistare tra i suoi vestiti, che erano scompostamente ammucchiati a terra.
Il commissario abitava in un sottotetto nel centro di Spezia, un posto dall’arredamento decisamente bizzarro, dove i due erano finiti dopo una serie di poco professionali preliminari in macchina. Almeno la mancanza di professionalità per Sensi era la norma, quindi non si era affatto preoccupato del luogo in cui erano, ma dopo un po’ aveva capito che a lei non sarebbe piaciuto farsi beccare dalla stradale con le braghe abbassate.
La pioggia ticchettava sul lucernaio conciliandogli il sonno.
“Dimmi che non ti dà fastidio se fumo,” disse la Damiani.
“Sono molto flessibile,” rispose l’altro.
Lei rise, accendendosi una sigaretta e inalando profondamente. “Non avevo mai visto qualcuno con un piercing lì. Ma sei appena riemerso da un periodo di copertura?”
“Non di recente, no. Ho visto che riesco a brancolare efficacemente nel buio anche senza sgozzare galli neri e imparare lunghe litanie in latino.”
“Che sarebbe quello che facevi prima?”
“Già.” Non sembrava propriamente ansioso di condividere la sua esperienza, ma purtroppo era proprio quello che interessava a Sasha.
“Be’, ci hai guadagnato una medaglia. Una promozione…”
Sensi fece un sorriso storto. “…Una fama imperitura, come no. Non penso che ti piacerebbe sapere che cosa ci ho guadagnato sul serio.”
Lei ammiccò. “A parte un piercing sulla punta del…”
“Quello lo considero un vantaggio. E mi sembrava che non dispiacesse neanche a te.”
Sasha rise come una scema.
“Comunque tranquilla, ora sono un membro produttivo della società. La punizione per questo crimine, a quanto pare, è dover capire chi, a Spezia, investe passanti per hobby. Visto come guidano normalmente potrebbe essere chiunque.”
“Non è che abbia seguito un granché del caso di oggi,” ammise lei.
“L’ho capito al volo che avevi la stoffa per diventare una brava detective.”
Sasha gli rivolse un sorriso educato. Avevano appena scopato per la terza volta, quindi, pensò Sensi, educata, con lui, la era già stata, ma era carino che continuasse a far finta di apprezzare il suo humor anche quando non capiva le battute. Le avvicinò il bicchiere che teneva sul comodino perché lo usasse come posacenere.
“Perché non ho capito bene come funziona il caso o perché sono andata a letto col capo il primo giorno di lavoro?” indagò lei.
“Mi dispiace ripetermi, ma per la carriera veloce devi rivolgerti a Salvemini. Io sono la nota di folklore della questura, nient’altro. E la mia carriera veloce l’ho già avuta. No, mi riferivo alla distrazione. È essenziale per riuscire a mandare a puttane un’indagine nel modo più rapido e indolore. I veri professionisti fanno così.”
Sasha sembrò punta sul vivo.
“Già, be’. Se qualcuno mi avesse informata che quella di oggi era la quarta vittima di un pirata della strada, forse non sarei sembrata così cogliona.”
Sensi si rivoltò. Era pallido, troppo magro, coi capelli arruffati, neri e lunghi, e aveva un intrico di cicatrici sottilissime su un lato del petto… ma non era male.
“Scherzavo, Sasha,” disse, morbido, e lei capì chiaramente che quella era la prima e l’ultima notte che passavano insieme. Quello che non capiva era che cosa gli rodesse. Avrebbe giurato che la cicatrice sul suo petto fosse a forma di pentacolo, tra l’altro. Spense la sigaretta nel bicchiere, mentre lui iniziava ad accarezzarla su un fianco, quasi ipnotico. “Volevo solo dire che anche a seguirlo dall’inizio questo caso non ha né capo né coda. E vuoi sapere una cosa bizzarra? Le prime tre vittime facevano degli strani sogni, prima di morire. Non mi stupirei se li avesse fatti anche la quarta.”
“Degli strani sogni come?” chiese Sasha, tesa.
Lui le rivolse un sorriso sornione. “Due luci bianche, appaiate, che si avvicinano a balzi, zigzagando, sempre più vicine… fino al risveglio.”
“La ragazza della vittima di oggi mi ha detto…”
“Shh. Vieni qua. Che cosa c’è, hai freddo?”
Sasha scosse la testa e si lasciò abbracciare dal commissario. Il suo corpo era caldo, rassicurante, anche se lui non lo era affatto. Sembrava che la sua ombra non gli appartenesse, come quella di Peter Pan. Forse Sasha era solo sveglia da troppe ore.
“Pensi che sia una coincidenza?” chiese.
“Alle coincidenze ci credo per partito preso. Non sai quanto lavoro fanno risparmiare.”
“E in questo caso?”
Lui sorrise ancora. “Purtroppo ho già finito le ferie.”
Sasha rise, ma aveva ancora la pelle d’oca. Lui iniziò a baciarla sul lato del collo, facendogliela aumentare considerevolmente.
“Non riesco a preoccuparmi come dovrei, è sempre stato un mio difetto, lo so. Qualcuno sta uccidendo dei tizi investendoli. Perché? Bho.”
Sorrise lentamente. “Forse è un piano per risolvere il problema del traffico spezzino.”
Lei si rannicchiò meglio contro di lui. “Uccidendo tutti i pedoni uno a uno? Mi sembra un po’ macchinoso.”
“Non più che creare un sistema di circonvallazioni – tonde - in una città a forma di elle, e i nostri urbanisti ci sono riusciti benissimo. E poi un pedone di solito è a sua volta un automobilista, anche se in un altro momento.”
Si chinò a succhiarle un capezzolo, segno che ancora non ne aveva avuto abbastanza.
“Basta aspettare,” sussurrò.

“Sapevo che sarebbero tornati,” annunciò Diego. “Bastava aspettare. Sono in ritardo, comunque.”
Greta lo guardò, interrogativa. Da quando era morto si esprimeva in modo più insensato del solito, anche se bisognava ammettere che sporcava di meno e non si lamentava più di come cucinava. Anche perché non mangiava più, a pensarci bene.
“Chi è in ritardo, Diego?” chiese.
“Gli sbirri,” rispose l’altro, come se fosse più ovvio delle tasse. “Sono proprio qua fuori. Una donna giovane e un uomo vecchissimo. Lui non riesco a vederlo bene, ma stai attenta. Lei è solo una stronzetta qualsiasi.”
Greta non mise in dubbio le sue parole. Ultimamente sembrava che avesse un filo diretto con Dio o roba del genere.
“Ok, io me ne vado di là. Sai come rispondere, comunque.” Diego si alzò e la baciò sulla fronte.
Freddo.
Era sempre freddo, questo era tutto.
“Io non ho fatto niente,” affermò Greta, irritata.
“Sì, ma di solito dirlo non fa una bella impressione,” rise lui, attraversando la porta e scomparendo nella stanza accanto.

Il campanello suonò.
Erano due, proprio come aveva detto Diego. Lei poteva corrispondere alla definizione di “stronzetta qualsiasi”, ma lui non era per niente vecchio. Non sembrava neanche un poliziotto.
Le mise un distintivo davanti al naso e si presentò.
“Commissario Ermanno Sensi. La mia collega, vice-ispettrice Damiani. Ha qualche minuto?”
Greta annuì e si fece da parte. Anche se avesse risposto di no sarebbero entrati lo stesso, tanto.
Il gotico si accomodò sul divano come se fosse uno di famiglia, nello stesso posto che fino a poco prima era occupato da Diego.
“Posso offrirvi qualcosa?” chiese Greta, ansiosa di non sembrare ansiosa.
“La sua opinione su un fatto bizzarro,” rispose lui. Sotto alla giacca di pelle aveva una felpa dei Red House Painters, notò con sconcerto Greta. Altro che crisi delle vocazioni, era la Polizia ad avere i problemi di reclutamento più seri.
“Nell’ultimo mese,” proseguì l’enigma vivente, accavallando le gambe a suo completo agio, “abbiamo avuto quattro morti pressoché identiche.”
Rimase in silenzio, osservandola.
“Ah sì?” balbettò lei, alla fine.
“Gente investita, passata e ripassata, se capisce cosa intendo, e poi finita – non che ce ne fosse davvero bisogno – a colpi di tacco. Suggestivo, le assicuro. La mia collega, qua, mi ha vomitato tutto il pranzo sulle scarpe, l’ultima volta.”
La vice-ispettrice Qualcosa diventò di un’intensa sfumatura porpora.
“Mi chiedevo se questo le dicesse niente.”
Greta scosse la testa in fretta. La donna-poliziotto, dietro di lei, la guardava in cagnesco.
“Strano. Sa, avrei pensato che le ricordasse la morte di Diego Galanti, un mese e mezzo fa. Anche lui è stato investito, se non sbaglio.”
Greta annuì rigidamente.
“Sì, immagino di risvegliare dei brutti ricordi. Mi domandavo se sapesse che le nostre quattro vittime – le ultime quattro, intendo – si conoscevano. C’è voluto un po’ per scoprirlo. Sa perché?”
Greta negò nuovamente con la testa.
“Andavano a puttane insieme. I quattro, dico.”
“Ho un alibi,” balbettò Greta, con tempismo perfetto.
“Ma che bello,” commentò il commissario, in tono allegro, e si accomodò meglio sul divano.

***

“Non intendo criticare, ma…” iniziò la Damiani non appena furono usciti.
La pioggia era aumentata di tono. In quella città, a quanto pareva, pioveva sempre.
“Ci mancherebbe. Mi accorgo subito quando una donna è contenta, e tu stai saltando di gioia,” replicò Sensi, sarcastico. Le passò le chiavi della macchina. “Meglio se te ne vai a casa, perché sto per darti nuovi motivi di infelicità. A te e alla tua carriera veloce.”
“Ermanno, senti, per l’altra sera…”
“Oh, figurati, non c’è di che. Al servizio dei cittadini, questo è tutto. Adesso sali su quella macchina, ok?”
La Damiani, frastornata, si lasciò spingere dentro l’abitacolo.
Quello che era successo dentro la casa dell’indiziata era stato molto strano. Lei era agitata, praticamente terrorizzata. Sarà stato banale, ma a Sasha la sua reazione era sembrata piuttosto sospetta.
Ma lui aveva lasciato perdere, semplicemente. Sasha mise in moto.
Il commissario rimase ad osservarla finché non fu scomparsa, con la sua aria distaccata e quasi triste, poi fece retrofront.
Non era esattamente un uomo d’azione, ma aveva altre qualità insolite.
La porta della villetta di Galanti cadde con un tonfo sotto il suo calcio. Dal legno si alzò una sorta di sibilo, come se la pioggia battente avesse raffreddato qualcosa che all’improvviso si fosse fatto molto caldo.
Sensi entrò senza far caso alle grida della ragazza.
“Dai, vieni fuori,” disse, in tono pacato, ma non per questo meno minaccioso. “Ti ho sentito.”
Un tizio morto uscì da una stanza chiusa.
La ragazza continuava a gridare mentre, con coerenza tutta femminile, tentava di rimettere a posto la porta.
“Diego Galanti, giusto?” chiese Sensi. “Fu, ovviamente.”
Il tizio fece un passo indietro. “Che cos’hai dentro?” balbettò, spaventato.
“Non ci badare. Un regalo da quando facevo il satanista. Non penso che mi avrebbero eletto infiltrato dell’anno se l’avessero saputo.” Le sue labbra si erano piegate in un sorriso sarcastico, ma era la sua ombra la parte più interessante. Sembrava che si fosse ingrandita e che fosse leggermente fumante.
“Cristo. Che cosa sei?” strillò il morto. “Sei troppo vecchio per il tuo guscio!”
“Già, ma mi porto bene. Comunque io non cercherei la pagliuzza nell’occhio altrui quando ho una trave nel mio. Non vorrei sembrare ovvio, ma sei morto.”
“Non è colpa mia,” si difese Diego Galanti.
“Ci mancherebbe. Però i quattro tizi investiti dell’ultimo mese… quelli sono colpa tua, mi sa.”
L’altro sembrò riprendere un po’ di coraggio.
“Mi hanno ucciso! Mentre andavano a puttane, sbronzi!”
Sensi scosse la testa. “Disdicevole, sono d’accordo.”
“Non si sono neanche fermati!”
“Probabilmente non se ne sono neanche accorti.”
La ragazza continuava a strillare, ma la porta era ormai tornata praticamente a posto. Aveva un futuro nella carpenteria, pensò Sensi.
“Be’, comunque ormai è andata, no? Che cosa puoi farmi? Mi vuoi arrestare?”
L’ombra di Sensi si allungò un po’ verso l’uomo morto, facendogli sfuggire un grido.
“Meglio non saperlo, che cosa posso farti,” mormorò.
“Ormai li ho uccisi!” strillò l’altro.
“Come se il traffico non fosse già una merda per conto suo, da queste parti. Credo che sia il momento buono per defilarsi, non so se mi spiego.”
Lui sembrò preso in contropiede. “Defilarmi?”
“Sì, hai presente? Quella cosa che fanno i morti, morire.”
Diego abbassò la testa. “Ma Greta…” borbottò.
“Ha già chiarito che ha un alibi,” puntualizzò il commissario.
“Intendevo dire…”
“Lo so che cosa intendevi.”
Rimasero in silenzio per qualche minuto. L’ombra del commissario ardeva sul pavimento, l’uomo morto si fissava i piedi.
“Diego?” chiamò la ragazza, a cui la crisi isterica era passata nel momento in cui era riuscita a rimontare la porta.
Lui la guardò di sbieco.
“Diego, devi andare?”
“Io…” disse.
“Sì,” intervenne Sensi. “È il momento.” La sua ombra si allungò nuovamente verso l’uomo morto, con un guizzo animale, come a ghermirlo. Diego scappò letteralmente in verticale, innalzandosi verso il soffitto come un razzo.
“Immagino che fosse dell’idea che da quella parte c’è il paradiso,” commentò l’altro, scrollando le spalle.
La sua ombra si ritirò completamente, ritornando ad essere quella snella e fredda del ragazzo vestito da gotico che sembrava.
“Non è così?” chiese la ragazza, un po’ preoccupata.
“Non so. Non è il mio campo. Sai, adesso una birra la prenderei,” aggiunse.
“Non sei in servizio?”
Lui evitò di spiegare che non si era mai preoccupato di dettagli simili. “Ora non più,” disse.

***

Qualcosa era uscito dal tetto. Come un lampo al contrario, come una pallottola vagante.
Il commissario, invece, non era uscito.
Sasha, immobile sotto la pioggia, aveva aspettato per un po’, per vedere che cosa succedeva.
Aveva visto accendersi la luce nell’altra camera, e questo era stato tutto.
Era chiaro che il suo nuovo capo era un uomo dagli umori incostanti, che non amava la fretta, apparentemente immobile, in quella città piovosa dove non succedeva mai niente, ma forse non era così. Forse scappava, e qualcosa lo stava inseguendo.
Se ne andò molto prima che lui uscisse.
Esattamente quindici giorni dopo sulla sua scrivania c’era la lettera del trasferimento.
Roma, il centro di tutto.
Era stata promossa ispettrice, segno che forse Salvemini non era l’unico in grado di velocizzare le carriere.
Sasha non voleva più sapere che cosa lo rodesse. Non lo voleva più capire.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma non provava nessun desiderio di vedere ancora la sua ombra snella allungarsi sull’asfalto bagnato.
Chi l’avesse vista fare i bagagli, velocemente, in tutta fretta, avrebbe potuto pensare che stava scappando.
Non avrebbe avuto torto.



Nella vita vera è una psicologa clinica. Nella sua esistenza parallela ha sceneggiato e diretto la serie indipendente "Inside" (Cut-up Comics), ha vinto il Lucca Project Contest 2005 insieme ad Armando Rossi con "Ford Ravenstock - specialista in suicidi" (Panini) e ha partecipato a varie antologie di racconti.
In questo momento sta continuando a scrivere Ravenstock per un'altra casa editrice (Arcadia), ha appena finito "Cronache del Polpo" (Rebus) e sta sceneggiando un libro a fumetti per le edizioni Casterman.

6 commenti:

lula ha detto...

sei bravissima a costruire i racconti così, Susanna. davvero. ma l'hai scritto per la Death Race o era una cosa che già avevi? perché, non so.. mi pare più "giovane" delle cose che scrivi ora.

Susanna Raule ha detto...

No, no, giuro che è nuovo. Tra l'altro ne ho scritti 3 prima di inviare questo, perché con la velocità avevo dei problemi.
Grazie per i complimenti, comunque. Ora vado a leggere il tuoooooo!

Il Gabbrio ha detto...

Ok...sono rimasto di stucco! Allucinante (o allucinogeno?) è una delle tante cose che mi vengono in mente...veramente brava!

RRobe ha detto...

Bel racconto.
Ma i personaggi sono ancora meglio.
Ovviamente ne voglio di più.

p.s.
una editatina però gliela darei (alla forma, non al contenuto).

Susanna Raule ha detto...

Ma di più ne puoi avere finché ne vuoi, se lo desideri.
La forma è una nota dolente, hai ragione. Tra l'altro: lo sai che ho tagliato circa 2000 caratteri? (e anche così ho leggermente sforato - glom) Ma che colpa ne ho se sono logorroica, eh?

Spiridion ha detto...

a livello di dialoghi, uno dei migliori racconti della Death Race..
Dopo Ford Ravenstock, rinnovo i miei complimenti...