La signora Luciana correva da quando era una bambina. Non a livelli agonistici e molto raramente se c’era qualcuno a guardarla. In giro a passeggio si qualificava come placida: si fermava a osservare ogni stupidaggine e si muoveva con passo da gatta satolla di panna. Era altresì nota per la sua sbadataggine ed era terribilmente, terribilmente svanita. Il tipo di donna che negli anni Cinquanta sarebbe andata in giro su una decappottabile rosa con un fazzoletto intorno alla testa e occhiali da sole enormi con montatura di plastica bianca. Questo se la vita della signora Luciana fosse stata più simile a un film, ché in realtà la patente la signora Luciana non l’aveva mai presa. Non si era nemmeno mai sposata, e questo era sembrato strano a tutti; era il tipo di donna che pareva nata per sfornar torte al cioccolato e bambini. Aveva i fianchi larghi e i polpacci torniti, e il tipo di sorriso che ti fa venir voglia di accoccolarti sotto una coperta pure quando fuori ci sono quaranta gradi all’ombra. La signora Luciana compiva quarantatré anni quel mese. Ne dimostrava una trentina, era quasi priva di rughe e il suo colorito era straordinariamente rosato.
La prima volta che la signora Luciana si era messa a correre aveva dodici anni. Due giorni prima sua madre era morta di cancro, dopo aver avvelenato la vita dei suoi famigliari per un periodo che era sembrato a tutti interminabile. Per Luciana la morte della madre era stato un dolore e un sollievo insieme. In mezzo a quei drappi neri, alle vicine che piangevano e all’atmosfera da funerale che regnava in casa si era sentita salire dentro come un’euforia, un solletico, un desiderio sconveniente quanto irrefrenabile di mettersi a ballare e saltare di gioia.
La sua famiglia viveva in un grande casolare in pietra sul retro del quale si stendeva un immenso campo di grano. Piccolissima, nel suo vestito nero e nelle sue scarpette di vernice in tinta, Luciana era uscita e si era messa a correre tra le spighe. Aveva cominciato camminando, poi tutto in lei si era fatto impaziente, braccia, gambe, mani, piedi, ogni cellula del suo essere aveva voglia di accelerare, sentirsi sfocare i contorni, perdere definizione, correre, perdio, correre. Le spighe le si rivoltavano contro strappandole il vestito, graffiando ogni centimetro di pelle esposta. Non importava. Luciana correva, solo questo importava. Correva e rideva, in faccia alla morte, alla paura, a tutto. A un certo punto si era messa a urlare, e fino all’altra estremità del campo erano stati un’unica corsa e un unico urlo, liberatorio, furioso, magnifico.
Fortuna aveva voluto che il suo gesto venisse interpretato come manifestazione di dolore.
Febbricitante, esausta, l’avevano riportata a casa in un fagotto e l’avevano subito messa a letto. Sola, nel silenzio della sua stanza, Luciana aveva assistito con discreta apprensione alla nascita del primo conflitto morale della sua vita. Il sollievo era più forte del dolore, Dioniso più prepotente di Apollo, il sentimento di gioia che provava molto più potente di qualunque altra emozione negativa. Per la durata della notte Luciana si era sentita a disagio, sconveniente, cattiva. Poi verso l’alba aveva pensato, ma chi se ne frega. E aveva fatto l’unica cosa sensata che un essere umano possa fare in situazioni del genere: si era scavata la sua personale via d’uscita.
Da allora non aveva più smesso di correre. Ogni volta che un’emozione la sopraffaceva, che si sentiva inadeguata, che quel che la scuoteva dentro era troppo più grande del brutto film che le scorreva intorno, lei si metteva un paio di scarpe comode e correva. Correva accelerando gradualmente e con gusto, in un crescendo misurato, fino al punto in cui non poteva più tenersi e si lasciava andare completamente. E correva, cristo d’un dio se correva. Correva che era più forte e più veloce di tutto. Correva da battere il diavolo.



Micol Beltramini gode di pessima stampa, nel senso che ci gode un casino ad avercela. Ha all’attivo una raccolta di racconti scurrili e ha patteggiato con Newton&Compton la pubblicazione altri due libri entro l’anno. Quindi, di fatto, fa la scrittrice. Ma non ditelo troppo in giro. È scaramantica.

9 commenti:

Skiribilla ha detto...

E' esattamente il tipo di racconto che avrei voglia di trovare ogni giorno, come una sorta di portafortuna.

Susanna Raule ha detto...

Grande Lula, ma che te lo dico a fare? Sul fondo avevo una mezza lacrimuccia, il che è tutto dire.

lula ha detto...

oddio, grazie a tutte e due.
sul serio.

Il Gabbrio ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Il Gabbrio ha detto...

Non so perché, ma è il genere di corsa che amo...
Al corso di sceneggiatura mi è stato chiesto di scrivere dal punto di vista di una donna, nulla di più impenetrabile!
Veramente brava!

she ha detto...

Bello, dea! Poetico. Davvero. :)

lula ha detto...

grazie a tutti. davvero tanto.

Unknown ha detto...

so che puoi far di più...
un bacio grande da ....................
"una coperta qualsiasi"
cmq si dai...
leggendo gli altri ...ti voto!

lula ha detto...

hahaha! grazie stella x