1.
La vibrazione ritmica e familiare della Fairlane lo cullava con amore, come la voce della propria mamma.
Intorno i rumori erano un miscuglio di risate, insulti, rutti e bottiglie di birra frantumate sulle rocce.
Girò la faccia alla sua sinistra, verso la macchina di Mike Bruno, ma non lo vide, troppo buio.
Sgasò compulsivamente, pronto per la sua gara.
Robin “Rob” Lewis adorava correre, e l’avrebbe fatto in eterno, se fosse stato possibile.
La camicetta di Sue Martin aderì in modo delizioso ai suoi seni quando alzò le braccia alla luna, nel centro della strada polverosa che dal Nash Creek portavano al Salto.
Cinque secondi dopo erano giù, interrompendo lo spettacolo delle sue forme e facendo iniziare quello più atteso tra Rob e Mike.
Una nube di polvere e terra oscurò la luna piena, avvolgendo le due macchine ormai lanciate nella corsa e la ventina di ragazzi che dai bordi della strada si gettarono al centro come diavoli, urlando i nomi dei due sfidanti.
L’unico rumore che ora Rob sentiva era il motore che girava a pieno ritmo e lo scalare delle marce. Le sole cose che gli importavano in quel momento erano il canto meccanico della sua Fairlane e vincere la sfida contro quel figlio d’un cane di Mike Bruno.
Possibilmente arrivando vivo fino al Salto.
La prima curva si trovava oltre uno spuntone di roccia rossiccia che dal crinale alberato si affacciava nudo come un verme sulla strada, come un enorme brufolo sul sedere della collina. Niente di preoccupante per i due, Rob tenne saldamente lo sterzo facendo sgommare la macchina sul terreno arido e dando di nuovo gas una volta uscito dal tornante. Mike Bruno se la cavò egregiamente, rimanendo attaccato al fianco di Rob come una zecca su un cane.
Girò lo sguardo verso il suo avversario ma non vide nulla, sembrava che la notte fosse entrata nella macchina di Mike. I vetri erano neri come ossidiana e per una frazione di secondo a Rob sembrò di vederla diventare traslucida.
Una buca presa in pieno lo fece ritornare alla realtà, giusto in tempo per la curva a gomito che poi portava sul fianco della collina, in una specie di corridoio fatto di pini e lecci. La Fairlane venne quasi toccata dall’auto di Mike, pochi millimetri e fra le due fiancate sarebbero state scintille. Buona parte dei 500 dollari che Rob aveva scommesso nella gara sarebbero volati via in riparazioni e qualcuno avrebbe dovuto staccarlo dalla gola di Mike.
Non era certo la prima gara che Rob faceva, ma era la prima volta che correva la strada del Salto. La cifra valeva il rischio, si disse, anche se più di uno ci aveva lasciato la pelle in vent’anni. Per quanto Rob amasse spingere al massimo la propria Fairlane e rompere il culo a tutti quelli che lo sfidavano, l’idea di volare in un burrone di 80 metri decisamente non lo metteva a suo agio.
D’altronde le regole erano semplici: chi si ferma per ultimo vince.
Ed erano 500 dollari. Abbastanza per passare un buon inverno e iniziare alla grande il ’58.
Il corridoio alberato aveva reso la notte nera e liquida come il petrolio, Rob aveva guadagnato circa tre metri all’uscita della curva, i fari puntavano in un nulla polveroso fatto di forme scure che anche la luce faceva fatica a scoprire (e una voce dentro disse a Rob che forse era meglio non le scoprisse).
Diede gas approfittando della strada diritta, cercando di rubare ogni singolo centimetro rispetto al suo avversario. Gettò uno sguardo nervoso agli specchietti retrovisori, le luci dell’auto di Mike brillavano come quelle dei lupi di notte, e come i lupi si avvicinava pericolosamente. Imprecò a denti stretti qualcosa sulla madre.
La luna riapparve come un fantasma disperato all’orizzonte, sembrava che nonostante le dimensioni la sua luce servisse a poco in quelle tenebre. La strada si allargò, diventando meno dissestata rispetto a prima, i fari illuminarono per un paio di secondi un cartellone pubblicitario sulla destra: una donna sorridente, con uno strano taglio si capelli, stava seduta d’avanti ad una specie di televisore, mentre un enorme dito quadrettato puntava qualcosa. Troppo veloce. L’attenzione di Rob fu immediatamente presa dal fatto che Mike aveva guadagnato terreno, e sarebbe stata questione di secondi prima che avvenisse il sorpasso.
L’auto dai vetri di ossidiana sembrava avesse una bomba atomica nel motore e un riverbero ne attraversò l’intera superficie, velocemente, seguito da quello strano effetto traslucido, come se qualcuno per un secondo l’avesse cancellata dalla realtà.
Rob aveva il piede un tutt’uno con l’acceleratore, era a tavoletta e intendeva restarci fino a quando non avesse recuperato lo svantaggio. Chiunque li avesse visti passare in quel momento avrebbe visto due macchie indistinte scorrergli d’avanti agli occhi, come allucinazioni che puzzavano di gasolio e fango secco.
L’ultima curva girava a sinistra, abbastanza ampia da lasciare andare le auto in controsterzo. Mike Bruno fece l’errore di allargarsi troppo e Rob conquistò l’interno, portandosi alla pari con il suo avversario e pronto per lanciare la sua Fairlane nell’ultimo kilometro che li separava dal Salto.
Sentì lo stomaco contrarsi, come quando si doveva lanciare dall’aereo, una quindicina di anni prima, per cadere in qualche merdosa campagna francese.
Cinquecento dollari, pensò. Miei.
E la Fairlane alzava polvere alle sue spalle come una mandria di cavalli impazziti.
Per un istante si sentì l’uomo più solo dell’universo, e l’universo era racchiuso tutto nel suo abitacolo. Pianeti, stelle, galassie e altri corpi celesti di cui non conosceva nemmeno l’esistenza iniziarono a girare attorno a lui. Se quella sensazione fosse durata un secondo di più avrebbe frenato di colpo e si sarebbe messo a piangere come un bambino.
Cinquecento dollari, pensò. Cinquecento metri.
Diede del bastardo a Mike Bruno, e il solo fatto che non si staccasse dal suo fianco era un buon motivo.
Avrebbe mollato prima quell’italiano del cazzo, si disse. Sì, avrebbe frenato, quel codardo. Non aveva il fegato di andare fino in fondo, lui e i suoi stramaledetti capelli impomatati.
Ma non frenò. Duecento metri e le due macchine viaggiavano attaccate fianco a fianco, come gemelli siamesi fatti di lamiera.
Di nuovo quel riflesso, una carezza di luna sulla carrozzeria. Ma non era la luna. Di nuovo il metallo divenne traslucido. Rob allargò le narici, respirando nervosamente e stringendo le mascelle. Le mani sudavano a contatto con il volante. Sentì una stella nascere e morire nel suo personale universo che si portava nell’abitacolo.
Poi udì lo stridore secco e tagliente che dalla sua sinistra passava alle sue spalle.
Rob si girò di scatto, vide la macchina del suo avversario ferma in una nube soffice di polvere.
Mike Bruno aveva frenato. Rise e urlò. Si girò di nuovo per controllare che fosse vero e che non avesse ripreso la gara, ma la macchina di Mike brillava. Brillava e diventava traslucida, finché non divenne parte della notte.
Rob schiacciò il freno, in preda ad un terrore di cui non conosceva l’origine.
La Fairlane non obbedì e continuò la sua corsa, alzando polvere e riducendo a poche decine di metri la distanza con il Salto.
Un’ insegna di legno scuro, attaccata con delle catenelle ad un palo a L comparve alla luce dei fari, la scritta era dipinta in bianco, a mano: “Robin’s Drop”. Qualcosa si ruppe nel cervello di Rob.
L’auto volò oltre, trascinando con sé terra, pietrisco, polvere, piante secche.
Nel suo abitacolo l’universo si contrasse fino a diventare un puntino densissimo.
Un riflesso avvolse la carrozzeria e l’auto di Rob divenne traslucida, finché non fu parte della notte.

2.
La vibrazione ritmica e familiare della Fairlane lo cullava con amore, come la voce della propria mamma.
Intorno i rumori erano un miscuglio di risate, insulti, rutti e bottiglie di birra frantumate sulle rocce.
Girò la faccia alla sua sinistra, verso la macchina di Mike Bruno, ma non lo vide, troppo buio.
Sgasò compulsivamente, pronto per la sua gara.
Robin “Rob” Lewis adorava correre, e l’avrebbe fatto in eterno, se fosse stato possibile.



Mauro Mura, nato ad Alghero 35 anni fa, lavora come grafico pubblicitario ed editoriale da diversi anni. Disegnatore, ha avuto qualche collaborazione come colorista per alcune webzine e pubblicazioni.

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