“Devi arrivare primo”.
I padri dovrebbero dirti cose tipo “fai del tuo meglio” oppure “metticela tutta”, pensa Antonio.
Suo padre no. Suo padre è uno della vecchia scuola. Quella che solo i primi esistono, che vali solo se respiri il profumo della vittoria. Tutto il resto non conta, niente.
“Arriva primo, mi raccomando Antonio” gli ripete.
“Va bene” è la sola risposta possibile. “Va bene papà. Primo, promesso.”
I concorrenti sono tanti, ma non vuol dire nulla. Tanti non vuol dire veloci. Significa solo più avversari da battere.
A vederlo, non gli daresti due lire. Piccolo, le gambe magre e storte, Antonio dimostra molto meno dei suoi undici anni.
A vederlo in fianco agli altri bambini sembra un cucciolo tra i grandi.
Ma Antonio conosce il percorso a memoria, se lo è studiato centimetro per centimetro, ha passato tutta l’estate ad allenarsi solo per arrivare, primo. E sa che quel che conta non è la stazza né le gambe, ma i polmoni e il ritmo.
La corsa campestre comincia, il gruppo parte in una nube di polvere che neanche un branco di bufali.
La gara dura tre giri.
Che sembrano infiniti ai partecipanti e rapidissimi ai genitori che assistono.

All’arrivo, il padre di Antonio è l’unico che non ha guardato la corsa perché leggeva il giornale in macchina. Vede arrivare il figlio tutto sporco e sudato che si avvicina all’auto piangendo. Solo allora piega il giornale, lo posa sul sedile del passeggero e scende. Guarda il figlio in lacrime, gli passa una mano sui capelli bagnati e gli dice una cosa da padre.
“Hai fatto del tuo meglio?”
“Sì papà…te lo giuro! Ma…sono riuscito ad arrivare solo terzo…non sono stato abbastanza veloce! Scusa!” Le lacrime si impastano alle parole come gli alberi a una valanga.
Il padre indica avanti a sé.
“Non piangere. Guarda Corrado. Cos’è arrivato, Corrado?”
“Primo, papà. Corrado è forte, è sempre stato forte!”
“E l’anno scorso?”
“…sempre primo papà, Corrado è il più veloce di tutti! Non riuscirò mai a batterlo!” singhiozza.
Il padre fa una pausa che sembra durare in eterno, poi lo guarda serio negli occhi.
“Tu che cosa sei arrivato, l’anno scorso?”
“Tredicesimo”.
“Allora sei stato più veloce di lui. Basta piangere.”
Il padre lo prende per mano e risalgono in macchina e Antonio capisce all’improvviso che la velocità è una cosa relativa come tutto, nella vita.
“Adesso ce lo prendiamo un gelato, papà?” fa il bambino guardando fuori dal finestrino.
“No” gli risponde l’uomo “sei arrivato solo terzo, vedremo l’anno prossimo”.

Antonio non capisce subito ma poi pensa che non gli importa.
Ha appena scoperto che la velocità è relativa ma la vittoria no e la differenza, certe volte, sta solo in un gelato.



Architetto, lavora nel settore per qualche anno ma la passione per le nuvole disegnate prende presto il sopravvento.
Esordisce illustrando il n°23 di "Detective Dante" per l'Eura Editoriale, su testi di Roberto Recchioni.
E' attualmente al lavoro sul n°1 di una nuova serie mensile sempre per l'Eura.
Oltre a disegnare, ama scrivere soggetti e racconti che talvolta vedono la luce sul suo blog

4 commenti:

Skiribilla ha detto...

Bello, proprio tanto, in un modo semplice e difficilissimo.

Slum King ha detto...

Potente. Penso che sia la cosa più moderna che ho letto ad avvicinarsi ad un atmosfera verista. Ti faccio i miei complimenti. :-)

-harlock- ha detto...

Grazie skiribilla, felice che ti sia piaciuto.
Slum, ti ringrazio dei complimenti, quando hai tempo magari mi spieghi cosa intendi per "atmosfera verista"...

Ele ha detto...

molto particolare! non solo perchè almeno non si parla di automobili (sì, sì..lo so che il tema velocità è associabile a quello con più facilità...ma che volete!!), ma devo dire che colpisce anche per quella sensazione di vittoria/fallimento, epr dirla in breve, che un pò tutti credo abbiamo provato coi nostri genitori!
complimenti