tag:blogger.com,1999:blog-38060510890704663872024-03-05T19:52:40.011-08:00Writers Death RaceWriters Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.comBlogger33125tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-56684878119149611582008-04-06T11:50:00.000-07:002008-04-13T15:56:13.929-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEialJ5FM3ivTMPyUXHJBjGKP_htwQok7Zd7zP__DwrDVuDrJL2sx7lL8aSdJyAQRIid6rP7-ejBWH4IS54k3vxdvOss9zQabRscVUbZQAB1-nEgak0XehyphenhyphenFhlkg5XPUT2dTnP39RfXc09Y/s1600-h/intro.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEialJ5FM3ivTMPyUXHJBjGKP_htwQok7Zd7zP__DwrDVuDrJL2sx7lL8aSdJyAQRIid6rP7-ejBWH4IS54k3vxdvOss9zQabRscVUbZQAB1-nEgak0XehyphenhyphenFhlkg5XPUT2dTnP39RfXc09Y/s400/intro.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186207091736533250" border="0" /></a><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="http://cache.jalopnik.com/assets/resources/2007/04/mcqueen1.jpg"><img style="display:block; margin:0px auto 10px; text-align:center;cursor:pointer; cursor:hand;width: 320px;" src="http://cache.jalopnik.com/assets/resources/2007/04/mcqueen1.jpg" border="0" alt="" /></a><br /><div><span class="Apple-style-span" style="font-weight: bold; font-size:x-large;">GENTLEMEN,</span></div><div><span class="Apple-style-span" style=" font-weight: bold;font-size:24px;">START YOUR ENGINE!<br /></span>Benvenuti alla più folle, eccitante e pericolosa corsa letteraria del mondo!<br /><br />Il regolamento per i corridori è presto detto:<br /><span style="font-weight: bold;"><span class="Apple-style-span" style="font-size:medium;">Un tema comune.</span></span><span class="Apple-style-span" style="font-size:medium;"> </span><span style="font-weight: bold;"><span class="Apple-style-span" style="font-size:medium;"></span></span></div><div><span style="font-weight: bold;"><span class="Apple-style-span" style="font-size:medium;">Un racconto di non più di ventimila battute.</span></span><span class="Apple-style-span" style="font-size:medium;"> </span><span style="font-weight: bold;"><span class="Apple-style-span" style="font-size:medium;"></span></span></div><div><span style="font-weight: bold;"><span class="Apple-style-span" style="font-size:medium;">Una manciata di giorni per poterlo realizzare.</span></span><span class="Apple-style-span" style="font-size:medium;"> </span><span style="font-weight: bold;"><span class="Apple-style-span" style="font-size:medium;"></span></span></div><div><span style="font-weight: bold;"><span class="Apple-style-span" style="font-size:medium;">Un pubblico sugli spalti pronto a sostenere i piloti più veloci e a deridere le mezze cartucce.</span></span><br /><br />A questa prima competizione hanno accettato di partecipare vecchi volponi dei velodromi, affascinanti pulzelle dalla penna sovralimentata, semi-professionisti coraggiosi e incoscienti amatori, tutti pronti a darsi gare senza quartiere.</div><div><br /><span class="Apple-style-span" style="font-weight: bold;"><span class="Apple-style-span" style="font-size:medium;">Ogni pilota in corsa ha preso parte alla gara secondo i suoi limiti e le sue capacità e nessuno scritto è stato supervisionato o alterato in nessuna maniera.</span></span><br />Se vi capiterà -e vi assicuro che vi capiterà- di incappare in errori ortografici o grammaticali, in trame sconclusionate o soggetti striminziti, tenete conto che questa è una corsa sullo sterrato dove contano più il cuore e il coraggio che la tecnica e il ragionamento, in cui solo i più sconsiderati si sono sentiti di cimentarsi.<br />Non stupitevi quindi se vedrete qualche pilota finire contro un muretto laterale o imboccare una via di fuga dopo aver mancato una frenata: qui si corre e correre significa rischiare.<br />Alla “Writers Death Race” non c’è spazio per i tatticismi da pit-stop o per i parametri telemetrici, qui si va con il piede pigiato sul gas e le dita incrociate sul volante, nella speranza che il dio della velocità l’abbia mandata buona e con le tette grosse.<br /><br />E’ una giornata splendida, il cielo è terso e l’aria ha il fragrante aroma della gomma bruciata e dei gas di scarico. Voi siete seduti comodamente sugli spalti, il vostro cappellino vi ripara dal sole battente e quella bionda in terza fila vi ha appena fatto l’occhiolino. Compratevi un panino e una birra ghiacciata e godetevi il momento di pace: tra poco ci sarà spazio solo per il rumore dei motori su di giri e lo stridere delle gomme roventi mentre lucidi bolidi si prendono a sportellate con vecchie carrette per il vostro sollazzo e per il dominio di una striscia di terra polverosa.<br />Questa è “Writers Death Race”, gente.<br />Cosa chiedere di più?<div><br /></div><div><br /></div><div><span class="Apple-style-span" style="font-weight: bold;"><span class="Apple-style-span" style="font-size:large;">PER VOI CHE SIETE SUGLI SPALTI.</span></span></div><div>Le vedete le due colonnine qui di fianco? Quelle sulla sinistra dello schermo. Dai che non è difficile.</div><div>Cliccando su uno qualsiasi dei nomi della prima lista, andrete al suo racconto.</div><div>Leggetelo e se vi è piaciuto, dategli un voto di apprezzamento cliccando sulla seconda lista di nomi.</div><div>Importante:</div><div><span class="Apple-style-span" style="font-weight: bold;"><span class="Apple-style-span" style="font-size:large;">potete votare quanti racconti volete ma potete dare solamente un voto a ciascun racconto.</span></span></div><div><span class="Apple-style-span" style="font-weight: bold;"> <div><br /></div><div><span class="Apple-style-span" style="font-weight: normal;">Se poi siete proprio in vena, lasciate un commento in calce al racconto che avete appena letto e dite cose ne avete pensato. Sentite liberi di fare tutti gli schiamazzi che riterrete necessari.</span></div><br /></span></div><div>Tra 30 giorni a partire da oggi, il racconto più votato vincerà la Writers Death Race.</div><div>Facile, no?</div><div><br /></div><div><br /></div><div>Questo è tutto quello che avevamo da dirvi.</div></div><br />Se poi volete sapere di chi è la colpa di tanta dissennatezza, prendetevela con <a href="http://prontoallaresa.blogspot.com/">RRobe</a> (curatore) e <a href="http://www.bloggokin.blogspot.com/">Ottokin</a> (grafico).Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com57tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-58025891919008997422008-04-06T10:55:00.000-07:002008-04-14T03:09:23.554-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhs3eoZaW6dYORX27gi_09JmlwocSaKPvHpVPPgGFVZR9BZHFGBqHzs3uUMwOyVNPj6znN4Mue1laIvTTz-b47fiWwzOIPp0b22O2pxH6bbuYvw9wMaqz-JYX7kOE7-5uE5Nwkw_ujqmE0/s1600-h/ferrari.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhs3eoZaW6dYORX27gi_09JmlwocSaKPvHpVPPgGFVZR9BZHFGBqHzs3uUMwOyVNPj6znN4Mue1laIvTTz-b47fiWwzOIPp0b22O2pxH6bbuYvw9wMaqz-JYX7kOE7-5uE5Nwkw_ujqmE0/s400/ferrari.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186193395085826274" border="0" /></a><br /><br />Era alta come lo sono tutte le bambine della sua età, né più né meno. Indossava un cappottino verde sopra il pigiama quando entrò in assoluto silenzio dal grande cancello rosso. Erano le sei del mattino e vedere una bambina così piccola in giro a quell’ora era un po’ come se Babbo Natale fosse sceso dal camino il 15 di Agosto. Il sole non era ancora sorto, l’aria aveva l’odore pieno dell’inverno che avanza e le luci delle prime auto si scioglievano nella nebbia. Nessuno l’aveva vista, di questo, almeno, si poteva dire sicura. Salì le scale di corsa, si assicurò che la mamma fosse ancora nella sua stanza, ancora addormentata, poi si sedette sul proprio letto, prese un libricino bianco da sotto il cuscino e una penna dalla scrivania – una di quelle penne a quattro colori, rosso, verde, nero e blu. Le era sempre piaciuto scrivere in rosso.<br /><br />Devo fare in fretta. Mi chiamo Brivio Eva, ho otto anni e mezzo, quasi nove e devo fare in fretta. Devo scrivere tutto prima che mi trovino. E mi troveranno e mi prenderanno, so che mi prenderanno. Ma scriverò veloce, più veloce che posso e senza correggere, così scriverò tutto. Farò un po’ di errori, ma non importa.<br /><br />Abito in una grande casa bianca e gialla, non lontano da Milano, a California. Non in California, a California. Si chiama così il posto dove vivo. Non è una città, ma non è neanche un paesino. Per me è grande abbastanza. Sarebbe bello abitare in California, ma mia mamma non ci verrebbe mai, lei ha paura di volare. Io invece ho paura delle api e dei boschi. Frequento la terza elementare e non mi sono immaginata niente di quello che sto scrivendo, lo prometto, croce sul cuore potessi morire. Croce sul cuore potessi morire è un giuramento, lo facciamo sempre io e mia cugina: ci facciamo una x sul cuore e poi diciamo: – Croce sul cuore potessi morire! – e questo significa che quello che dici è vero per davvero, se no muori. Che poi morire non ho mai capito cosa significa esattamente. Mia mamma usa quella parola quando parla di papà, ma a parte che non c’è più, che lo vedo solo nelle foto e nei filmini di quando eravamo in Grecia insieme, non so altro. Credo che molta gente sia morta, comunque. Mia nonna dice che prima era papà ad avere paura di volare, non la mamma. Poi, dopo che è morto, alla mamma è venuta la paura di volare. Forse è questo che significa morire. Ma io non lo so, ho solo otto anni, otto e mezzo, quasi nove.<br /><br />Sto perdendo tempo, mi troveranno, devo scrivere più veloce.<br /><br />Vado alla Valdoca e dopo la scuola all’oratorio S. Francesco. Sto sempre con Laura, che è mia cugina ma anche la mia amica del cuore. Lei è più piccola di me e le piace la musica classica, dice che da grande diventerà una pianista; secondo me sarà brava. Indossa salopette e jeans, mentre io metto sempre le gonne perché ho delle belle gambe. Io e Laura abbiamo la stessa nonna e sua mamma e suo papà sono i miei zii. Mia mamma è più vecchia di mia zia di dieci anni, ma mia zia si chiama Marlena ed è stata in collegio da piccola.<br />Ieri stavamo giocando a pallavolo nel campo dietro la chiesa e ho visto Massimo che scendeva nel salone, quello sotto la chiesa. Di solito è chiuso, tranne quando ci facciamo gli spettacoli di Natale – ma ieri era il 18 e siamo a Novembre. Sono scesa anch’io. Non l’ho detto a Laura, non volevo che mi prendesse in giro: dice che a me piace Massimo, ma non è vero. Volevo vedere cosa stava facendo, perché era strano e si teneva il braccio destro come se gli facesse male.<br />Prima del salone c’è un lungo corridoio con le pareti metà marroni e metà bianche. Di lato ci sono sei porte: non sono stata in tutte e sei, solo nel magazzino, nel bagno e nella stanza verde (la seconda a sinistra, con le pareti tutte verdi), dove c’è la televisione e dove Don Luigi chiude a chiave le scorte di caramelle. Sentivo delle voci venire da quella stanza.<br />- È stanotte – ha detto una delle voci - Stanotte alle 4. - Non avevo mai sentito nessuno parlare delle 4 di notte. È stupido, ma mi ha spaventato.<br />- Dove ci vediamo?<br />- A casa mia?<br />- No, ognuno deve uscire da solo, non devono esserci testimoni.<br />- Ci vediamo al posto?<br />- No, ci vediamo dietro il muretto della Valdoca, quello basso.<br />- Alle 4?<br />- Alle 4.<br />Pensavo che volevano andare a fare un giro di notte, spaventarsi, una cosa così. L’ho fatto anch’io una volta: sono stata con Laura al cimitero, di notte. Ma non siamo davvero entrate, non volevo che mio padre mi vedesse. Non so perché ho pensato una cosa del genere, ero piccola tutto qui.<br />- Dobbiamo essere sicuri, non potete sbagliare. I gessetti devono essere bianchi, portatene uno ciascuno – Era la voce di Silvia. Silvia era la più stupida e ricca della mia scuola. Non capivo cosa ci faceva lì, forse si era baciata con Massimo, ma non mi importava.<br />- E non dovete dire niente a nessuno finché vivrete. Avete giurato.<br />- Nessuno dirà niente.<br />- Nessuno – disse ognuno di loro. Erano otto voci.<br />E in quel momento mi hanno sentito. Non so come, forse ho respirato, forse ho spinto sulla porta, non lo so. Hanno aperto e sono caduta dentro.<br />C’erano quattro ragazze e quattro ragazzi. Forse dovrei dirvi tutti i nomi, i nomi di quelli che c’erano, quelli che mi verranno a prendere. Ma non li so. Ve lo prometto, croce sul cuore potessi morire, non li so. Conoscevo solo Massimo e Silvia e altre due ragazze, Maria e Delia, che viene dal Perù, e un ragazzo grande che fa le medie e si chiama Pagnotta – anche se non è il suo vero nome. Mi hanno chiuso dentro con loro, mi hanno chiesto cosa avevo sentito – Parla, cos’hai sentito! Cosa sai, cazzo? – urlava Pagnotta battendomi con una mano sulla testa e sputandomi in faccia il fumo della sua sigaretta. E Don Luigi non permette a nessuno di fumare. – Niente, stavo... non ho sentito... niente... - avevo paura come non ho mai avuto paura in vita mia. Altri due ragazzi grandi come Pagnotta cercavano di calmarlo, dicevano che non contavo, che ero solo una bambina. Mi hanno fatto uscire, non sapevano che altro fare. Mi hanno detto di non parlare con nessuno, che se no mi venivano a prendere a casa e prendevano anche mia mamma e mio papà e li ammazzavano. E Massimo ha detto – Lasciala stare, lei non ce l’ha più il papà. Basta così. – poi mi ha guardato senza toccarmi – Vai a giocare, Eva -. È stata la cosa più dolce che mi abbia mai detto, perché sembrava che voleva baciarmi. Forse mia cugina ha ragione.<br />Non ho giocato e non ho detto niente a nessuno, nemmeno a Laura. Volevo andarci anch’io nel bosco di notte. È la cosa più stupida che abbia mai pensato, ma è stato come quando mi sono fatta fare il buco all’orecchio. Ho insistito così tanto con il negoziante di orecchini che mi ha creduto che avevo il permesso della mamma, anche se non era vero, e mi ha fatto il buco. Ecco, così tanto ho insistito con me stessa che la paura è diventata un’altra cosa. Credo che i grandi usino la parola eccitazione. Ero eccitata. Mia nonna dice che l’eccitazione ti fa fare un sacco di cose stupide nella vita, e ha ragione.<br />Sapevo come fare. Mia mamma prende le pillole per dormire, se no ha troppo mal di stomaco e deve passare la notte a mangiare un sacco di zucchero con il cucchiaio. Così di notte a volte mi alzo e mi metto a guardare la tv o gioco con il computer. Una volta che Laura era venuta da me abbiamo giocato a nascondino e la mamma non si è svegliata nemmeno una volta. Così ho aspettato che si addormentasse. Ho aspettato ancora. Volevo andare anch’io, volevo essere come loro, volevo essere grande.<br /><br />Ora, mentre scrivo velocissima sul mio diario, mentre il sangue mi esce dai piedi e ho i capelli zuppi e le labbra tagliate, ora che ho visto tutto, essere grandi non mi sembra una gran cosa. All’improvviso esistono cose reali e cose che non lo sono, ma quelle che lo sono sono tutte sbagliate.<br /><br />Ho preso la pila, mi sono messa il cappotto sopra il pigiama e le scarpe da ginnastica vecchie, quelle blu e nere. Sono uscita da dietro, dove c’è il giardino. La prima cosa che ho visto è stata la luce della luna: era enorme, così grande che vedevo benissimo anche senza pila e facevo ombra come sulla spiaggia d’estate. Il mio cane Quana non ha detto niente. Ho preso la bici e sono uscita dal cancello rosso, quello grande, perché quello piccolo che dà sulla strada quando lo chiudi fa troppo rumore. La mamma non avrebbe sentito comunque, ma io sì e non volevo sentirmi.<br />Ho pedalato fino alla scuola. Non c’era nessuno, solo quattro biciclette e due motorini. Quello di Pagnotta è senza carrozzeria, si vede tutto il motore. Volevo tornare indietro, ma la mamma dice sempre che le cose non si lasciano mai a metà.<br />Ho saltato il muretto e sono caduta in un cespuglio, dall’altra parte è molto più alto. Il sentiero lo conoscevo perché una volta sono andata fino al laghetto con i miei compagni di classe, siamo scappati durante un’ora di supplenza e ho preso una brutta nota per questo. Ho cominciato a correre, perché a me i boschi fanno paura, eppure non riesco a starci lontana. Forse ha a che fare anche questo con l’eccitazione, non lo so. Non si sentiva niente, nessun animale, solo la luce della luna e il mio respiro. Sono arrivata fino alla fabbrica e oltre la fabbrica al laghetto. E all’improvviso sono caduta. Ho aperto gli occhi e avevo la bocca piena di terra, ho sputato, qualcosa mi spingeva giù con forza. Era un ginocchio. Non riuscivo a vedere niente, sentivo solo male nella schiena. Ho provato a dire qualcosa, ma una mano mi ha spinto più giù, nella terra. Ne ho mangiata ancora. Credo che le labbra mi si sono rotte lì. Poi ho sentito la voce di Massimo che mi chiamava. – Aspetta, no! – ha urlato e secondo me c’era una luce più forte dietro la mia testa in quel momento. Poi ha fatto male. All’inizio ho sentito solo un colpo, poi un dolore che non smetteva e la terra sotto la bocca ha cominciato a bagnarsi diventando fango. Ho bevuto un po’ e sapeva di sangue, puzzava anche di sangue. Mi sono agitata, ho spinto e pianto e la terra era sempre più bagnata. Poi mi hanno alzato e mi sono toccata la testa, era umidiccia e faceva male e per terra c’erano un po’ dei miei capelli rossi. Ho visto Massimo in piedi che mi guardava triste. – Mi dispiace, Eva. Perché sei venuta? Dovevi stare a casa – ripeteva – dovevi stare a casa.<br />- Dovevamo essere solo otto. Lei che c’entra? – alle mie spalle c’era Pagnotta, era lui che mi aveva spinto a terra, che mi aveva colpito; aveva un coltellino in mano, uno di quelli rossi con un sacco di cose dentro.<br />- Ormai è qui.<br />- Nove non va bene, Max, era otto il segno che avevi, otto! – e Massimo allora ha sollevato la manica e sul suo braccio c’erano otto tagli con la crosta. Ecco perché se lo teneva. Si è avvicinato a Pagnotta, gli ha preso il coltello e si è fatto un altro segno. Senza dire niente tranne: - Adesso sono nove.<br /><br />Stanno arrivando lo so. Sanno dove abito e saranno qui. Non riesco a scrivere più veloce di così, le dita non mi stanno dietro, sono lenta, troppo lenta.<br /><br />Mi hanno portato con loro. Ho pianto, perché non volevo, anche se un po’ desideravo ancora essere grande. Erano tutti lì, oltre il bosco, vicino a un burrone che non vedevo dove andava a finire e prima del burrone c’era un pezzo di terra dura che finiva nel vuoto. Sul pezzo di terra c’erano dei segni bianchi, li stavano tracciando loro con i gessetti.<br />- Non dovevamo essere solo otto? – ha chiesto Silvia, lei che non mi ha mai invitato alle sue feste di compleanno.<br />- Non importa – ha detto Massimo e ha preso un gessetto e me lo ha passato. Ho capito che dovevo aiutarli a finire. Stavano disegnando le caselle del gioco della campana, che Delia però chiamava mundo. Avevano già fatto la Terra e le prime sei caselle. Io ho fatto quella del 7 e ho notato che quella dell’8 e del 9 erano proprio sul limite e la cosa mi faceva paura, perché l’ultima, la casella del cielo, doveva proprio stare là dove c’era il vuoto.<br />Maria si è avvicinata e mi ha detto di togliermi le scarpe, poi ha sorriso – Giochiamo? – ha detto.<br />- G-giochiamo? – ho chiesto mentre mi toglievo le scarpe e restavo a piedi nudi come quando vai in piscina.<br />- Sì, siamo qui solo per giocare, Eva.<br />- Mi state facendo uno scherzo? Siete... siete cattivi.<br />- Non è uno scherzo, stiamo giocando.<br />- A campana. Sai giocare a campana, vero? – Quei numero erano troppo vicini al bordo, troppo. Non ho risposto.<br />- Devi giocare, cazzo, adesso che sei venuta qui giochi! – ha urlato Pagnotta, colpendomi di nuovo con la mano sulla testa. Allora volevo andarmene, ma poi Maria e Delia si sono avvicinate e mi hanno tenuta ferma, mentre Pagnotta ha allungato la mano e ho visto la lama e ha usato la lama e mi ha tagliato sotto i piedi. Questo ha fatto male subito, ma mi tenevano i piedi fermi e non riuscivo a scappare e sono caduta. Mi sono stretta i piedi e ho pianto chiedendo perché.<br />- Perché di sì – mi hanno risposto.<br /><br />Il sangue non ha ancora smesso di uscire e ho sporcato il letto e la mamma domani lo vedrà. Ho i brividi e devo scrivere più veloce.<br /><br />Massimo si è avvicinato.<br />- Eva, smettila – ha detto gentile – Eva, tu sai cos’è la gravità?<br />- Non capisco – e davvero non capivo, cioè, certo che so cos’è la gravità, ma cosa c’entrava?<br />- Sai che la terra ruota nello spazio e la gravità ci tiene attaccati al suolo?<br />- Sì.<br />- E sai cosa succederebbe se il mondo si fermasse?<br />- Il mondo non può fermarsi...<br />- Se si fermasse verremmo tutti sbalzati nello spazio, moriremmo tutti. Non ci sarebbe più il mondo.<br />- Ma io ci sarei, no? – era una cosa stupida da dire, lo so.<br />- No, tu moriresti come tuo padre. E anche tua mamma morirebbe, ma anche se morirete insieme lei non sarà più con te, sarai sola.<br />- Noi siamo qui perché il mondo si sta per fermare – ha detto Maria e lo ha detto così piano che io ci ho creduto – e dobbiamo giocare perché continui a correre.<br />- No, non è vero.<br />- È vero – ha detto Delia che ha gli occhi blu di quattro blu diversi e quando ti guarda senti il mare – sembra impossibile ma è vero. Senza il gioco il mondo si ferma, ecco perché si chiama mundo.<br />- È una cosa che succede sin dall’antichità, ogni anno, in un giorno diverso, in un posto diverso. In tutto il mondo. – Scherzava, per forza. Come faceva lui a saperlo?<br />Ma aveva nove tagli sul braccio e forse non scherzava.<br />- Va bene. – ho detto. Non so perché. Ho pensato alla mamma e a Laura e a Quana e se fossero morte per colpa mia non sarei stata bene. Non volevo che stessero nel cimitero, di notte, ad aspettare. Massimo mi ha stretto un piede, lo ha fatto piano come si fa con le bambole. C’era odore di cenere in quel momento, e non so perché, ma anche Pagnotta mi ha sorriso. E io sono restata. Massimo si è sporcato la mano del mio sangue e non so cosa vuole dire esattamente, ma sono restata.<br />- A campana?<br />- A campana.<br />Ho preso un sassolino, uno non troppo grande e nemmeno troppo liscio se no scivola e mi sono messa in coda. Non bisognava per nessuna ragione toccare le strisce né fermarsi, e avrei tanto voluto chiedere cosa succedeva quando si arrivava al cielo. Ma non ho avuto il coraggio.<br />Hanno cominciato a giocare e ho visto che tutti erano a piedi nudi e tutti sanguinavano. Forse perché non dovevano scappare, o forse perché il sangue doveva scendere nelle caselle, non lo so. Massimo ha lanciato il suo sasso nella casella 1 e ha saltato. Poi lo ha fatto Pagnotta; e così via. E cantavano, cantavano le canzoni dei bambini. Quella dell’arca e quella del naviglio e quella del ballo del qua qua.<br />Sempre più veloce, come la Terra che gira. – così ha detto Massimo. Vedere giocare i ragazzi grandi era strano, soprattutto Pagnotta. È uno che va ai parcheggi con il motorino, si picchia con i suoi amici e nessuno di loro ha un nome vero. E stava giocando a campana con me.<br />- Più in fretta – dicevano - Più in fretta – avevo paura, il cielo si avvicinava con il suo vuoto.<br />- Più veloce, corri! Corri o la terra si ferma!<br />- Corri!<br />Urlavano e Silvia mi spingeva e Massimo ha cominciato a urlare anche lui – Più veloce, più veloce!<br />E io andavo più veloce, mi girava la testa e saltavo come se stessi correndo. Sentivo la Terra muoversi sotto di me, non scherzo. Ho capito che non potevo fermarmi perché ogni volta che ci provavo sentivo che stavo per volare via, che il mondo si stava fermando. È così. Croce sul cuore potessi morire, è quello che è successo. E i numeri si sono sporcati tutti di rosso e arrivavo al 7, raccoglievo il mio sassolino e tornavo indietro. E arrivavo all’8 e vedevo il burrone, ma non potevo più fermarmi e nessuno si fermava. Cantavamo le canzoni e giocavamo. Sono arrivata al 9 e ridevo e cantavo e ridevo sempre più forte. Sempre più veloce. La luna era grande, c’era tanta luce e vedevo bene dove finiva tutto. Poi un sassolino è arrivato al cielo, tutti cantavano e ridevano perché finiva così, perché la Terra era salva e il mondo non si fermava. Veloce, veloce Silvia ha lanciato il sassolino e il sassolino è caduto oltre il burrone, nel cielo, e lei andava veloce e cantava e io ridevo e la vedevo che saltava e avevo capito che era tutto vero che se sbagliavamo erano tutti morti, era vero, croce sul cuore potessi morire croce sul cuore potessi morire era vero.<br />E poi non l’ho vista più e la Terra era salva.<br /><br />Ho pianto, ho urlato, ho detto che lo andavo a dire a tutti che era sbagliato che era meglio se il mondo moriva perché adesso Silvia era morta e il mio papà era morto e non andava bene e Massimo si è avvicinato ma io sono scappata. Ho corso, corso in mezzo al bosco, avevo paura, ma ho corso e sono arrivata alla bici e sulla bici ho corso fino a casa, sono venuta qui e ho scritto tutto e ora ho finito e loro sono qui. Sento il cancello, sento che entrano, mia mamma non sente nulla perché dorme.<br /><br />Mi chiamo Eva e non ho più otto anni e mezzo quasi nove, ne ho molti di più. Sono cresciuta in una notte, tutta insieme, veloce come la pubblicità delle crystal ball che mi piace. Adesso so molte più cose, cose che a scuola non ti insegnano. So che le favole nascondo sempre degli orrori. So che ai bambini nessuno presta attenzione perché gli adulti dimenticano tutto quello che sanno quando sono bambini. So perché quando ho dormito dai miei zii, mia zia urlava - Più veloce! Sì! Così! – e so che quando esce il sangue dai piedi dopo un po’ ti vengono le formiche. So che suono fa un corpo quando cade per non rialzarsi più. Croce sul cuore potessi morire, lo so. E so che era tutto vero, che questo gioco è un rito, il rito più antico del mondo. Che tiene insieme ogni cosa e che se avessi fermato Silvia ora saremmo tutti morti, voi compresi. Mi batte forte il cuore e la luna non c’è più e continuo a ripetermi che domani, a mia mamma, verrà la paura delle api e la paura del bosco.<br /><br />Salirono le scale in silenzio. Erano sette, tutti più alti della loro età. Entrarono in camera, la presero e la portarono via, come il tempo si porta via il dolore, come un amore ne cancella un altro, come ogni estate si canta una nuova canzone. Per non farla tornare mai più. Ma Eva Brivio, otto anni e mezzo quasi nove, aveva scritto tutto. Era stata veloce abbastanza.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbj6-nekYiyjQ-26eEgm6g3nq4tmO-oRijEylJWgyiI15PTlVpcZ5ThbBD8A47qHFzqAZS55agBghHIOR5VOAT0f50VOwOcYBZCDHfepfsbGdpvLj5f6_H1xH0uPDtX1P8ZkJMc2N9BPI/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbj6-nekYiyjQ-26eEgm6g3nq4tmO-oRijEylJWgyiI15PTlVpcZ5ThbBD8A47qHFzqAZS55agBghHIOR5VOAT0f50VOwOcYBZCDHfepfsbGdpvLj5f6_H1xH0uPDtX1P8ZkJMc2N9BPI/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186193498165041394" border="0" /></a><br />FERRARI, Alessandro (Milano, 1978).<br /><br />Alessandro Ferrari è nato a Milano il 1 settembre 1978. Vive ad alta velocità tra Bergamo/Orio al Serio e Roma/Ciampino sul volo Ryanair delle 17:10. Scrive e sceneggia fumetti per la Walt Disney Italia. Ha realizzato, in collaborazione con un pittore, una fotografa e un'attrice, 'Atene, 14 Marzo 1997', opera a fumetti in mostra dal 2004 a Milano e provincia in case stregate e chiese sconsacrate. E tanto basta. Il suo blog è <a href="http://aqferrari.blogspot.com/">qui</a>.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com14tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-47905551538417113092008-04-06T10:51:00.000-07:002008-04-14T12:24:28.128-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsYahNjJcaa81c9Z9DRq4sgtbJA_iddLGLPIWOGxG-R8ZrK4shejZyg3SWrDXJCq5H0wrfgf1uXFw_c4HTs9N4szMP2vtJuUjhyIRXGRIIvNaFq5JthYfcxluE5lFrecNuULIdwz3-PVs/s1600-h/trentani.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjsYahNjJcaa81c9Z9DRq4sgtbJA_iddLGLPIWOGxG-R8ZrK4shejZyg3SWrDXJCq5H0wrfgf1uXFw_c4HTs9N4szMP2vtJuUjhyIRXGRIIvNaFq5JthYfcxluE5lFrecNuULIdwz3-PVs/s400/trentani.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186191810242894002" border="0" /></a><br /><br />Cos’è la velocità?<br />Se chiedete ad un qualsiasi libro di fisica vi dirà che corrisponde alla variazione della posizione di una particella, riferita al tempo in cui la variazione si compie. In altre parole al rapporto tra la distanza percorsa ed il tempo impiegato a percorrerla.<br />Vi farà anche il grazioso esempio della lumaca l, che si trova nel punto x1 nell’istante t1 e viene trovata più tardi nel punto x2 nell’istante t2.<br />Ma non riuscirà mai a descrivere quello che la velocità è per me. Quello che la mia natura mi fa desiderare sempre e conoscere soltanto una volta.<br />Poesia pura.<br />Avviene tutto in un attimo: l’impatto del percussore sulla capsula dovuto all’abbattimento del cane dà vita ad una scintilla che incendia la mia anima di polvere da sparo, generando gas ad alta pressione che spingono il mio lucido ed elegante corpo metallico verso l’esterno.<br />Verso il Bersaglio.<br />Mentre il carrello viene spinto indietro dall’energia liberata e riportato in sede da una molla a prelevare una delle Altre, vinco con grazia l’attrito opposto dalla canna, lasciando che le sue rigature elicoidali imprimano alla mia massa un moto rotatorio lungo l’asse longitudinale.<br />E’ in questo momento che cessa di essere una questione di sola fisica e aerodinamica. E appare in tutta la sua evidenza l’esaltante semplicità della mia esistenza.<br />Sono nata per colmare la distanza tra il punto x1 ed il punto x2, e solo il Bersaglio può fermare la mia corsa. Non importa chi sia.<br />Un muro sbrecciato.<br />Un barattolo arrugginito.<br />Una tintinnante bottiglia di vetro.<br />Molle, calda carne.<br />Un altro Bersaglio, improvvisamente frapposto tra me e il Bersaglio originario.<br />Lo stesso cervello che ha ordinato alla mano di premere il grilletto.<br />Una volta lanciata lungo la mia parabola conta solo piegare lo spazio e il tempo attorno al mio corpo affusolato. Ammaliarli. Lusingarli. Sedurli con riflessi concavi sulla mia fredda pelle.<br />Velocità è compimento, esaurimento.<br />E correre.<br />Rincorrere.<br />Finché di me non resti che un’eco confusa nell’aria.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2qUQamItL9lE1qCgctR0HMzwDRvzWIi0JW3TZtgZcCvn8XwHgiGJaVz_KhKTQE2L-RbVmF8-Lrd783WVnyBik3hrG8RX7PFFXdqNYr-k8YNAWyZ08phPAxwxMLsetXM2LUZnirgWA53g/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2qUQamItL9lE1qCgctR0HMzwDRvzWIi0JW3TZtgZcCvn8XwHgiGJaVz_KhKTQE2L-RbVmF8-Lrd783WVnyBik3hrG8RX7PFFXdqNYr-k8YNAWyZ08phPAxwxMLsetXM2LUZnirgWA53g/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186191939091912898" border="0" /></a><br /><br />Francesco Trentani. 26 anni. Laureato in Conservazione dei Beni Culturali. Curatore della fanzine "OMNIVERSO" (presto scaricabile gratuitamente dal sito <a href="http://www.blue-area.net/ "> http://www.blue-area.net/ </a>).Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-79388916197157740402008-04-06T10:45:00.000-07:002008-04-30T05:45:27.548-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQBO9oZYRBbuSCTl_S3rpsUM4MAA2VuBysfP_w0wTNrs-zhxVuHOK5rvq38JzhkitmCfKHetyJzNiFrn8VP8OYF6IDNAT0moAEYEIbP5e1vHHKPzS_Rk5SaJgvx6FQOGuxvby8rBjayHE/s1600-h/funaro.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiQBO9oZYRBbuSCTl_S3rpsUM4MAA2VuBysfP_w0wTNrs-zhxVuHOK5rvq38JzhkitmCfKHetyJzNiFrn8VP8OYF6IDNAT0moAEYEIbP5e1vHHKPzS_Rk5SaJgvx6FQOGuxvby8rBjayHE/s400/funaro.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186190835285317778" border="0" /></a><br /><br />La lancetta tocca i 200. Io sono il Buddha.<br />L’universo intero pulsa nelle mie vene. La mia coscienza abbraccia il tutto. Ogni singolo ingranaggio della macchina è parte di me, e io sono parte del tutto. Il mio cuore batte al ritmo dei pistoni. Le mie valvole mitraliche si aprono e si chiudono come quelle dei cilindri. I miei muscoli vibrano seguendo le irregolarità dell’asfalto. La strada mi appartiene.<br />È il satori. Io sono il Buddha.<br />Non sono più io che guido la mia macchina. Non è più la macchina che è guidata da me. Siamo tutt’uno. Sono sul sedile come se fossi in zazen, l’abitacolo è il mio tempio. La strada mi scorre sotto, liscia come una sciarpa di seta. Le curve diventano rettilinei, i dossi e le cunette si appiattiscono e ogni movimento che faccio per seguire la direzione è automatico, misurato, perfetto. Non basato sul pensiero razionale, ma solo sulla necessità di farlo in quel preciso momento, in quell’esatto modo. Ho il pieno e assoluto controllo, tutto mi appartiene e nulla è parte di me. Le mie mani tengono il volante, ma non lo stringono, i miei piedi carezzano i pedali. Non c’è nessun bisogno di movimenti forzati, improvvisi o violenti.<br />Sono pura azione. Sono il Buddha.<br />Intorno a me le strade della zona portuale della città scorrono veloci, ma nella mia mente è come se fossero ferme. I depositi, le zone di carico, i moli sono parte di me, contribuiscono a questa perfezione in cui ogni singolo secondo dura un’eternità. Sinistra, poi leggermente a destra, poi ancora a sinistra. Poi un lungo rettilineo, che porta al punto di non ritorno. Il mio destino si decide qui e ora, su questa curva a gomito in fondo al molo, con un deposito abbandonato all’interno e una rete metallica semiarruginita all’esterno a farmi da albero bodhi, ma è stabilito da sempre. È un momento fermo nel tempo, ma è quello decisivo. Mi avvicino sempre di più, sempre di più. Ci sono.<br />Nulla può andare storto. Io sono il Buddha.<br />Scalo dalla quinta alla seconda, giro il volante e aiuto leggermente la sterzata con il freno a mano. Le gomme urlano consonanti, la forza centrifuga cerca di spostarmi, ma io non la sento. Le leggi della fisica non mi riguardano, non in questo momento.<br />Appena sento che le ruote stanno riprendendo aderenza, apro. Acceleratore al massimo e pollice sul pulsante. Scarico la terza, poi la quarta e la quinta in rapida successione. È il momento. Un flusso di protossido di azoto invade il condotto di aspirazione dei cilindri, raffreddandoli e saturando il pistone di ossigeno. Quando la candela fa scoccare la scintilla, lo scoppio è molto più potente. La conseguenza è semplice: la macchina accelera di colpo. Il motore ruggisce, il mio cuore pulsa alla stessa velocità. Il movimento è parte di me, dei miei muscoli, delle mie vene. Sento i nervi che bruciano mentre una fiammata esce potente dagli scarichi, come calore che si disperde dai miei pori. Lo scatto in avanti è così improvviso e repentino che chiunque altro verrebbe risucchiato nel sedile, ma non io. Io sono in zazen, e sono parte dell’accelerazione. Io sono il suono di una sola mano. Per me la velocità non esiste.<br />La lancetta supera i 220, poi i 230. Io sono il Buddha.<br />Intorno a me il paesaggio sfreccia, ma io riesco a vedere ogni piccolo particolare. Dai riflessi della pioggia sul parabrezza ai resti di manifesti strappati sulle pareti del deposito che mi sfreccia accanto. Ogni cosa intorno a me ha un ruolo e contribuisce a rendermi perfetto, e a rendere perfetto il mondo. Accelero ancora. In cima a un dosso le ruote si staccano dal terreno. La macchina vola, ma è come se fosse ancora incollata all’asfalto, perfettamente bilanciata ed equilibrata, tanto che l’atterraggio è morbido e naturale, senza alcuno scossone.<br />Do un’altra scarica di protossido, poi chiudo gli occhi. I miei sensi sono talmente acuti e focalizzati che non ho bisogno della vista. Sento i rumori della strada, l’odore della benzina e della gomma, la ruvidezza dell’asfalto sotto le ruote, il sapore della mia stessa adrenalina, e so esattamente dove ero, dove sono, dove sarò.<br />Il mondo perde di importanza ma resta il centro di tutto. Io sono il Buddha.<br />Il mio avversario tenta di impedirmi di passarlo, ma, nel tempo che lui impiega per cercare di chiudermi la strada, io sono già oltre. Non ho bisogno di fare manovre brusche. Tutto è liscio, naturale, automatico. Semplicemente, io sono a un livello di coscienza superiore, e so quello che deve succedere prima ancora che succeda. Le ultime due curve è come se non ci fossero. Un osservatore esterno non percepirebbe nemmeno gli spostamenti della macchina, vedrebbe un unico flusso senza alcuna sbavatura o movimento inutile.<br />Per un breve interminabile secondo i segreti dell’universo sono alla mia portata. Posso sentirli, posso quasi toccarli. Io sono il Buddha, ora e per sempre.<br /><br />Poi tutto passa. Tiro il fiato. Inspiro, espiro. Il battito cardiaco torna a livelli normali. Riacquisto coscienza del mio corpo, delle mie mani, dei miei occhi. I miei arti tremano leggermente a causa dello sforzo appena passato, il calore si disperde dalla mia pelle. Lentamente, il mondo torna a essere altro da me. La mia individualità prende di nuovo il sopravvento, allontanandomi dal tutto.<br />Il grande momento è trascorso, come un lungo orgasmo, e ancora una volta mi sono avvicinato di un passetto alla perfezione. Ma ancora non ci sono arrivato. Il mio viaggio è fatto dal percorso compiuto e da compiere, non solo dalla destinazione. Mi rimane solo un leggero senso di nostalgia per quella comunione con l’universo. E so che quella sensazione di unità, di completezza, dà assuefazione. Sento che dovrò provarla di nuovo, presto. È come una droga, la strada, la velocità. Ma in fondo al tunnel, la luce che si vede è luminosa e bellissima.<br /><br />“Cazzo, va bene che sei praticamente imbattibile, ma dovresti vedere che faccia hai quando giochi a Need for Speed!”<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipP7M6WwX-WcyF3uJp_gCDLLIpcGleBJtwQQsXZU_8D9IhWzGirpdUpsmyNtuALAK9JO1er4HPjmMx8rMtwQJblJr4bS7qOzROt4NJA45IVlj3Dj2rDbOm1q7uxBH7aT6jYk2LMyagHxg/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEipP7M6WwX-WcyF3uJp_gCDLLIpcGleBJtwQQsXZU_8D9IhWzGirpdUpsmyNtuALAK9JO1er4HPjmMx8rMtwQJblJr4bS7qOzROt4NJA45IVlj3Dj2rDbOm1q7uxBH7aT6jYk2LMyagHxg/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186190925479631010" border="0" /></a><br />Romano, romanista, marito, padre, fan di Springsteen.<br />Per vivere fa il copywriter, ma di notte indossa un mantello e si aggira per la città combattendo il crimine. Poi si sveglia, poggia il suo fumetto sul comodino, si gira e torna a dormire.<br />Il suo blog si trova <a href="http://www.anticostagno.net/">QUI</a>Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-91719036026013364672008-04-06T10:41:00.000-07:002008-04-12T16:06:28.098-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLJmTQnAnmTR8zqgOvdoxldj-VDVgzcTYFURq81Dho49Mdniz7BNY48J30KG7VRsDYg0e-LHbWSXnRhtQY0DEFcHql4FqzVYf47coGoux4OaTiWAAUG7eil6nAV6nHrrcFkxmnOSdpiyA/s1600-h/cajelli.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjLJmTQnAnmTR8zqgOvdoxldj-VDVgzcTYFURq81Dho49Mdniz7BNY48J30KG7VRsDYg0e-LHbWSXnRhtQY0DEFcHql4FqzVYf47coGoux4OaTiWAAUG7eil6nAV6nHrrcFkxmnOSdpiyA/s400/cajelli.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186189628399507570" border="0" /></a><br /><br />Evangeline camminò verso il centro esatto della strada, e tutti gli occhi dei presenti si fissarono sul suo culo, ondeggiava ritmicamente passo dopo passo, sotto un paio di jeans tanto attillati da essere considerati fuorilegge in almeno due contee.<br />Tutti gli sguardi erano puntati sulle sue chiappe ipnotiche, anche se la maggior parte dei buzzurri presenti erano lì solo per vedere le macchine correre, il paradisiaco culo di Evangeline era uno spettacolo che valeva la pena di seguire, almeno per un momento.<br />E lei lo sapeva.<br />Raggiunse il centro della carreggiata, un lungo nastro d’asfalto diviso in due da una riga gialla. Evangeline si voltò, mettendosi ritta in piedi, a cavallo delle sue corsie. Qualcuno si mise a fischiare, come fanno i bovari.<br />Evangeline alzò il braccio destro sorridendo al richiamo, aveva una bandana stretta nel pugno, sopra c’era stampata la bandiera più bella del mondo.<br />La Stars and Bars degli stati confederati, si agitava mossa dal vento tra le dita di Evangeline, nel momento in cui l’avesse abbassata, le due macchine che rombavano a cinque metri da lei sarebbero partite. Questo era il segnale.<br />Il tanto atteso segno, quello che in molti aspettano di ricevere per tutta la vita, quel segno divino in grado di indicarti la via da seguire, o le scelte che devi fare, in quel caso proveniva da una dea bionda di ventidue anni, con in mano la bandiera che accompagnava gli eroi Gettysburg.<br />La scelta che ti diceva di compiere era molto semplice.<br />Schiaccia il piede sull’acceleratore, abbraccia la fede della velocità, brucia dieci miglia di asfalto, raggiungi i Johnson’s Pitts e torna indietro, prima che lo faccia il tizio che sfreccia sulla corsia di fianco alla tua.<br />In conferma dell’atto di fede, i motori delle due auto che Evangeline aveva di fronte, ruggirono quando lei alzò il braccio.<br />Entrambi i piloti fissarono lo sguardo su quella bandiera, aspettando il segnale, tenendo i motori su di giri, pronti a lasciare la frizione per una partenza furiosa.<br />Greg Palmer guidava una Plymouth Barracuda nera del 1971, nuova di zecca. Sotto il cofano aveva un V8 426 con camera di combustione emisferica, alimentato da due carburatori quadricorpo Carter da 550, scaricava 425 cavalli sull’albero e 350 sulle ruote posteriori.<br />Giù in paese, tra i tavoli del Cletus Inn, i ragazzi dicevano che Greg fosse in grado di sparare la Barracuda da zero a sessanta miglia orarie in meno di quattro secondi, ma lo dicevano quasi sempre sottovoce, perché le leggende devono per forza essere sussurrate.<br />Bruce Ladd era al volante di una Dodge Charger R/T del 1970, verde bottiglia.<br />Montava un motore 440 Six Pack, 8 cilindri a V, alimentati da tre carburatori doppio corpo Holley, tre carburatori per due corpi, ovvero un pacco da sei, come per le lattine di birra.<br />Mesi prima, nel maggio più caldo a memoria di texano, in molti avevano visto Bruce percorrere un quarto di miglio in quattordici secondi.<br />Greg e Bruce si conoscevano da anni e molto probabilmente si odiavano già prima di venire al mondo. Per quanto sia vero che ciascuno è l’artefice del proprio destino, è anche vero che nessuno può scegliere in quale parte del mondo nascere. Greg Palmer e Bruce Ladd erano nati entrambi a Lorraine, Texas.<br /><br /><br />Buco-di-culo Lorraine, Texas, era un posto tanto piccolo dove un unico drugstore bastava per tutti, ed era impossibile farci razzolare due galli senza, perlomeno, concedere loro di gonfiare i petti e beccarsi ogni tanto.<br />I vecchi sputatabacco che incartapecorivano sotto i portici della buco-di-culo main street, lo avevano capito da subito che quei due, oltre ad odiarsi, sarebbero ben presto finiti nei guai.<br />E così, tra uno scaracchio e l’altro, fantasticavano su madri piangenti in viaggio verso il carcere di<br />Huntsville, di matrimoni riparatori, o della prematura morte di uno dei due, morte violenta, stanne certo amico, che finiranno così.<br />Nel 1962, appena compiuti sedici anni, Greg e Bruce si sedettero subito dietro un volante, e iniziarono a darsi da fare, per mantenere le aspettative. Vivere veloci, morire giovani e lasciare un buon cadavere.<br />Ogni tanto decidevano di prendersi un po’ a pugni, sopratutto se si ritrovavano entrambi nel parcheggio dello Starlight, cosa che accadeva spesso, visto che lo Starlight era l’unico Drive In nel raggio di cinquanta miglia ad avere una programmazione decente.<br />L’unica fortuna, per la gente Lorraine, fu quella che entrambi avevano un carattere troppo solitario per mettere su una banda. Altrimenti sì che ci sarebbero stati guai seri per tutti.<br />Greg, alla fine, si era laureato come campione di corse clandestine.<br />Molti figli di papà arrivavano da Austin per sfidarlo, ci rimettevano la macchina e un mare di dollari. La domenica mattina, potevi vederli alla stazione degli autobus, con la faccia grigia, a spulciare gli orari per tornare a casa.<br />Bruce, preferiva il brivido di caricarsi sui sedili posteriori quella particolare categoria di passeggeri che, dopo un prelievo in banca, ha bisogno di un passaggio veloce verso un luogo sicuro.<br />E se il prelievo in banca viene fatto con un fucile a pompa Remington 870 Wingmaster, calibro 12, avere a disposizione un autista in gamba diventa una priorità.<br />Per anni, lo sceriffo Coburn, un omone di cinquant’anni, docile come un coyote aggrovigliato nel filo spinato, aveva deciso di dare il tormento ai due bulli cittadini.<br />Il bilancio della guerra privata tra lo sceriffo Coburn e i due assi del volante di Lorraine, era decisamente a favore degli ultimi due.<br />Oltre ad aver mangiato badilate di polvere, ingoiato litri di bile, sbriciolato una Ford Galaxie inseguendo Bruce Ladd, e fuso una Chevrolet Impala in un testa a testa con Greg Palmer, ci aveva rimesso anche due incisivi, andando a sbattere contro il volante della sua Plymouth Fury.<br />Era troppo, anche per un mastino come Coburn. Allora decise che a quei due, ci avrebbe pensato direttamente Dio, magari sotto forma di un chiodo che gli faceva esplodere un copertone, o facendoli entrare in una curva con la traiettoria sbagliata. Oppure, ed era un pensiero su cui rimuginava a lungo, Dio poteva assumere la forma di un autoarticolato Mack da 18 ruote, che si metteva di traverso sulla carreggiata prima che uno dei due si rendesse conto di essere seduto su un razzo d’acciaio, e che era impossibile fermarsi nello spazio che li separava.<br />Insomma, prima o poi quei due bastardi sarebbero morti.<br />Coburn doveva solo aspettare, andare dal dentista, guidare piano e dare una marea di calci in culo agli Hippie di passaggio.<br />Dichiarò guerra a quei cazzo di furgoni Volkswagen, e visse felice.<br />Quel giorno, il 31 luglio del 1971, i due assi di Lorraine, non si sa perché, decisero di sfidarsi direttamente. Una gara sul circuito classico, dalla Collina ai Johnson’s Pitts e ritorno.<br />La notizia di una corsa in macchina che li vedeva competere uno contro l’altro, aveva viaggiato lungo la Highway 281 da Stephenville a Hamilton, fino giù, verso Lampasas, sfiorando le sponde del lago Buchanan.<br />Infatti, ai bordi della strada, ad aspettare che le gomme della Barracuda e della Charger urlassero nel furore della partenza, c’era un sacco di gente.<br />Dal lago erano saliti anche un paio di Topi di Palude, a bordo di un vecchio Pick Up.<br />Ora se ne stavano lì, con le mani infilate nelle tasche delle loro salopette, per vedere che cazzo succedeva, e se ne era valsa la pena di venire fino a lì, o se era meglio rimanere nella baracca a scoparsi la cugina Brandine.<br />Per la maggior parte, il pubblico presente era composto da appassionati di motori, e lo si capiva da quanto erano curate le auto che c’erano ai lati della strada. Era un garage delle meraviglie a cielo aperto. Accanto al merdoso Pick Up dei Topi, c’era un cowboy di Dallas, con le chiappe appoggiate al cofano della sua Corvette Stingray 327, blu notte.<br />Guardava verso i due che stavano per partire, e ogni tanto lanciava qualche occhiata di sfida al tipo che aveva di fronte, dall’altro lato della strada.<br />Un tipetto magro e nervoso, che aveva fatto disegnare sulla sua Dodge Super Bee 440, un inferno di fuoco che partiva dal cofano e ne incendiava i lati.<br />Due anni prima, la Ford aveva chiamato un filosofo e un team di meccanici, chiedendogli se era possibile imprimere nell’acciaio il concetto stesso di Uomo. Loro avevano detto si, e ne era uscita la tesi di filosofia chiamata Mustang Shelby GT 500. Su quella strada ne erano venute sei, e sudavano testosterone dai tubi di scappamento.<br />Tutti erano arrivati lì per capire chi fosse il migliore. Per vedere con i loro occhi come la Charger di Bruce avesse affrontato la curva a gomito del sesto miglio, un traiettoria difficile da mantenere oltre le 110 miglia orarie, ed era fondamentale prenderla all’interno, per non essere bruciati sul rettilineo successivo.<br />Poco prima dei Johnson’s Pitts c’era un dosso, e quel bastardo faceva la differenza. In molti ci avevano rimesso le sospensioni, altri erano stati lanciati fuori dalla strada, il dosso aveva fatto impennare le loro auto, come un serpente a sonagli che fa imbizzarrire un cavallo. Quel dosso, avrebbe morso anche Barracuda di Greg?<br />La strada, tra poco, avrebbe risposto a tutte le domande di sua competenza. Purtroppo, alcune risposte nemmeno l’asfalto era in grado di darle.<br />Perché quei due avevano deciso di sfidarsi?<br />Che cosa c’era in palio?<br />Nessuno lo sapeva tranne Bruce e Greg, e nessuno aveva avuto il coraggio di andare a chiederglielo.<br />Correvano, questo importava, ed era sufficiente per radunarsi tutti alla Collina per assistere a quella gara destinata ad essere raccontata sottovoce, perché è così che si raccontano le leggende.<br />Evangeline camminò verso il centro esatto della strada, e si voltò, mettendosi ritta in piedi, a cavallo delle sue corsie.<br />Alzò il braccio destro, aveva una bandana stretta nel pugno, sopra c’era stampata la bandiera più bella del mondo.<br />L’abbassò di scatto.<br />E Bruce e Greg andarono in contro al loro destino.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxtKvW5NmeSDSbekV2fldGGtZpm1NYQLg3ocx1cga0fmYj9mBkGB_YUgGn64Us5zCZLGTW56gj70YM-iUL_RrUe7fxyiS9uOc4nODTcEJaFL7JT1ik6tSBJAf9iMIf9LYEHgV-Nbc4FFk/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhxtKvW5NmeSDSbekV2fldGGtZpm1NYQLg3ocx1cga0fmYj9mBkGB_YUgGn64Us5zCZLGTW56gj70YM-iUL_RrUe7fxyiS9uOc4nODTcEJaFL7JT1ik6tSBJAf9iMIf9LYEHgV-Nbc4FFk/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186189757248526466" border="0" /></a><br /><br />Sceneggiatore atomico in forze alla Bonelli (Napoleone, Zagor, Dampyr) e alla BD (Milano Criminale). Esperto di segrete cose, corre con una macchina nera, schermata dai raggi 'Z' spediti al suo cervello da Zeta Reticuli.<br /><a href="http://diegozilla.blogspot.com/">QUI</a> trovate il suo blog.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-80413179299838694062008-04-06T10:37:00.000-07:002008-04-06T10:40:32.303-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhWRjSWok3nvd8sUrFB4CyLigq0lSYZ6dSGe3ru6RH7bcMKhg45W3AYeUmc3IDdOO-nk-PJ2rXZS1r9c5G1UfiHNMqAOFCsCAQhXnb5Jh2wKhCq5PMlrwUkDBQl5ii4pZ9ovrf9UlFy3o/s1600-h/zaurino.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhhWRjSWok3nvd8sUrFB4CyLigq0lSYZ6dSGe3ru6RH7bcMKhg45W3AYeUmc3IDdOO-nk-PJ2rXZS1r9c5G1UfiHNMqAOFCsCAQhXnb5Jh2wKhCq5PMlrwUkDBQl5ii4pZ9ovrf9UlFy3o/s400/zaurino.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186188129455921234" border="0" /></a><br /><br />L’ultima cosa che ricordo è il vento che mi schiaffeggia il volto. Quello e il mondo che mi sfreccia attorno assumendo via via contorni meno definiti.<br /><br />Sono primo, almeno credo. Getto una rapida occhiata dietro di me, a qualche centimetro di distanza un tipo biondiccio e alto come una pertica mi insegue. Mi ricorda un po’ Stan Laurel.<br />Il biondino non mi impensierisce più di tanto, ma è meglio starci attenti, del resto è stato per anni un campione in questo genere di corse. Ma questo era prima che arrivassi io, ovviamente.<br /><br />Una cosa è certa: sarò io a vincere questa corsa perchè sono più giovane, sono più veloce e poi non ho la faccia come il culo. Taglierò il traguardo per primo e poi magari mi permetteranno di mangiare una bistecca come si deve stasera.<br /><br />Il biondino tenta di superarmi, non appena mi arriva accanto mi bastano una paio di scatti per levarmelo di dosso. Non gli entra proprio in testa allo spilungone, non c’è più posto per lui in questo mondo. E’ storia passata e lo capirà presto, molto presto.<br /><br />Il traguardo si avvicina, sempre più veloce. Stanlio continua a provarci, inutilmente. Poi faccio la più grande cazzata della mia vita, lancio un ultimo sguardo al mio inseguitore. E’ tutto teso, il volto arrossato per lo sforzo della corsa e cazzo, giurerei che sta piangendo. Si, sta proprio piangendo.<br /><br />Così, a pochi metri dal traguardo scoppio a ridere come un coglione. Il biondino con la faccia arrossata, quella stupida smorfia sulla bocca e le lacrime agli occhi sembra proprio Stan Laurel, Sembra Stan Laurel dopo che Hardy l’ha preso a schiaffi, o cose così.<br />Sono un cretino, non riesco a smettere di ridere, la mia corsa si fa scomposta e i crampi mi prendono allo stomaco. E proprio lì, a un passo dalla fine, Stanlio scatta in avanti e, porcaputtana, mi supera e taglia il traguardo.<br /><br />All’improvviso sento dei colpi di fucile, o di pistola o di checcazzonesoio. Cado sulle ginocchia, poi il buio.<br /><br /><br />Incredibile, fregato da Stanlio e Ollio.<br /><br />Com’è che diceva quel tizio? “Una risata vi seppellirà”. Niente di più vero nel mio caso, soprattutto se si considera che è così che eseguono le condanne a morte di questi tempi.<br />Bastardi…concedono la grazia solo al vincitore.<br /><br />“Running the Mile vi aspetta ogni venerdì alle 21:00 sul canale nazionale.<br />E’ un programma patrocinato dal Ministero della Giustizia.”<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3k67sYw3-KQpuX8a8s8bfkPLw1ulJbmf8gC8DJV8ejBQXLjDa6ucC5pLIO6hqjL54Nf9IS3Gy_DovI3ywfvMqn-kJup_WSRP_HP_Zh4zkmyegjsZSvB7555bjT1TdE6_C1A0yH_V4Wo8/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj3k67sYw3-KQpuX8a8s8bfkPLw1ulJbmf8gC8DJV8ejBQXLjDa6ucC5pLIO6hqjL54Nf9IS3Gy_DovI3ywfvMqn-kJup_WSRP_HP_Zh4zkmyegjsZSvB7555bjT1TdE6_C1A0yH_V4Wo8/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186188215355267170" border="0" /></a><br /><br />Flavio Zaurino, 21 anni, pugliese. Studia lettere all'università degli studi di Bari è, fra le altre cose, un aspirante fumettista. Parole sparse, deliri e miei disegni sul suo <a href="http://reservoircomics.blogspot.com">blog</a>Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-17622889856268479442008-04-06T10:35:00.001-07:002008-04-12T16:16:51.317-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6Tj0b9-GLFkXJZjy3tT5JRt-9UuzdpO95dJ3gK7RpHBsfAE0_0f8wel9BKSLrr11vAiYGjt_9FN-81XSUd6PM2M1c-OcAl4q8DFpCGN8D5iWTyXNnUE-6H5FT9guX3ANdMRmxdOVVQUM/s1600-h/bartoli.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg6Tj0b9-GLFkXJZjy3tT5JRt-9UuzdpO95dJ3gK7RpHBsfAE0_0f8wel9BKSLrr11vAiYGjt_9FN-81XSUd6PM2M1c-OcAl4q8DFpCGN8D5iWTyXNnUE-6H5FT9guX3ANdMRmxdOVVQUM/s400/bartoli.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186187463735990322" border="0" /></a><br /><br />Per affrontare al meglio un corridoio d'ospedale devi guardare nel nulla, in quel punto imprecisato che sta tra gli occhi e il naso. I colori che hai intorno - celeste, bianco, grigio e verde - trasformali in pietre di nessun pregio, perline sacrificabili in cambio di viveri e donne indigene. Dell'odore di alcool e feci fanne qualcosa di trascurabile e delicato, tipo l'origami di un cigno che non ha mai volato. Gli infermieri ciabattano intorno, quello è il loro mestiere, folletti sorridenti e dolci euchessine per l'anima ingolfata dei parenti. Ecco, sei arrivato. La camera è quella che stanno rifacendo, dove tu sei fastidioso come un vecchio zio che viene a trovarti la domenica mattina, fumando MS e snocciolando tristezze di quand'era felice.<br />Tua madre ti sorride, perché pensa che sei venuto per portarla a casa.<br />Non è così, però. Non è mai così, perché i finali, se ci pensi, li scrivono tutti uguali.<br />E allora la pettini con cura, le versi l'acqua sgasata e le racconti di come sta bene per essere quasi andata. Poi ti giri e la vedi. E la tua vita ruota intorno a quella cosa, il tuo cervello si mette a fare la bandiera, come un bagnino magro aggrappato a un palo di legno sulla spiaggia di Cerenova.<br />La goccia della flebo.<br />È così lenta che non può servire a niente. Ma la tua mente adesso è lucente e articola un concetto, una risposta trasversale, e tu metti su quel sorriso da poeta micidiale.<br />La goccia è troppo veloce per l'occhio umano.<br />No, non ci siamo: il discorso è diverso.<br />La goccia è come la lancetta dei minuti dell'orologio, veloce e lenta allo stesso tempo. Cresce la goccia di fisiologica, si fa bolla, cola nel tubicino, entra nell'agocannula, esplode nelle vene. Non c'è niente di più veloce, niente di più lento, niente che distorca e strazi di più il tempo.<br />Guardi il pettine ed è pieno di capelli.<br />Il comodino è pieno di riviste.<br />Tutto intorno, all'improvviso, c'è troppa roba che gira veloce e scopri di far parte tuo malgrado di una generazione Mtv: immagini spettacolari, niente contenuti, musica che interrompe la pubblicità, ti trucco la macchina, ti costruisco una casa che assomiglia a una nave, ne parliamo domani.<br />E tua madre, che vuole parlare subito di tutto, è sempre stata più veloce di te, del tuo pensiero laterale, della tua multimediale carenza di stimoli.<br />Lei sparecchiava che ancora non avevi finito di mangiare, faceva i piatti quando dormivi, la spesa in quei tempi morti che si incolonnano tra una seduta al bagno e una telefonata per il calcetto.<br />Tu giochi, porti il pallone e le magliette.<br />Lei non gioca, non più.<br />E il tempo, in ospedale, è ancora prigioniero di quella flebo.<br />Troppo veloce, troppo lento.<br />Troppo anche per te, che hai spalle normali e poca propensione a immaginare quello che va oltre la pausa-pubblicità.<br />Ma un trucco ce l'hai, sei nato prematuro, fregando un ginecologo, tuo padre e l'astrologo.<br />Troppo veloce, troppo lento, troppo furioso.<br />Saluti e ti allontani. Visto da dietro, sembri piccolo e stanco, ma sei solo un parente che è arrivato troppo tardi per chiedere al dottore qualcosa che già sa.<br />Sei una goccia nella flebo, una sveglia radiocontrollata, un foglio di calendario da macelleria dell'anno vecchio, con sopra un appunto scritto da tua madre:<br />zucchero, sale, pappa per i gatti, patatine pai.<br />Queste sono le cose che fanno più male, perché dovresti saperle e non le sai.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNi-6LZ-abJNQQeMyERREvpvczUoYoOU7ukjNhNLdMGwO5PvTssj6L86kD1GSNWTf0eH8PrjHD_xVCPmhsqKmjAW9HZl63mtVkMMG3QbBuNNirZK0NogF2LQmPWEoirAGJmAub_m6Ef00/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgNi-6LZ-abJNQQeMyERREvpvczUoYoOU7ukjNhNLdMGwO5PvTssj6L86kD1GSNWTf0eH8PrjHD_xVCPmhsqKmjAW9HZl63mtVkMMG3QbBuNNirZK0NogF2LQmPWEoirAGJmAub_m6Ef00/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186187562520238146" border="0" /></a><br /><br />Lorenzo Bartoli non possiede una propria biografia ma se ne sta scrivendo una.<br />Noi possiamo dirvi che è uno scrittore con all'attivo tre romanzi ("Bambole", "Overminder", "Cuori da Bar"), che è uno sceneggiatore di fumetti ("John Doe", "Detective Dante") e che nel tempo libero è il direttore artistico dell'Eura Editoriale.<br /><a href="http://cuoridabar.blogspot.com/">QUESTO</a> è il suo blog.<div><br /></div>Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com15tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-31004345466740761992008-04-06T10:31:00.000-07:002008-04-13T15:09:28.255-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjULErz1evrcKsW9moWBVVyxMXaH3ZGkZd8FpgWRl-goZYOPQy1wSqN8icgTZWTI9BDjcKWxVUNhHDEZuMVvcuyQ2GXYuijZl4tKwnhTwc7bKyVwF6FjpHC_CyOyM62rNYNLxEuahJft2k/s1600-h/schiavone.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjULErz1evrcKsW9moWBVVyxMXaH3ZGkZd8FpgWRl-goZYOPQy1wSqN8icgTZWTI9BDjcKWxVUNhHDEZuMVvcuyQ2GXYuijZl4tKwnhTwc7bKyVwF6FjpHC_CyOyM62rNYNLxEuahJft2k/s400/schiavone.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186186806605994002" border="0" /></a><br /><div style="text-align: right;"><br />«We gotta get out while we’re young<br />`cause tramps like us,<br />baby we were born to run »<br />Bruce Springsteen<br /></div><br /><br />1996<br /><br />Un giovane ricco americano, Alex Roy, a Parigi a inseguire sogni di celebrità romanziera, capisce che la scrittura è strada troppo lenta per la sua brama di gloria.<br /><br />1976<br /><br />Nei primi fotogrammi di un cortometraggio francese si legge “Le film que vouz alles voir a été réalisé sans aucun trucage ni accéléré”.<br /><br />2006<br /><br />Alex Roy in dieci anni ha maturato un sogno: battere il record di traversata degli Stati Uniti d’America: la Cannonball Run. Il film che lo ha ispirato non è una brutta, telefonata commedia con Burt Reynolds, Roger Moore, Dom De Luise e Farrah Fawcett, ma bensì l’opera d’esordio di un regista francese, un dannato mangiarane con un pechant per la vitesse.<br /><br />1996<br /><br />Alex Roy ha appena visto quel film (al cinema, non ancora su YouTube), e ne è rimasto colpito, ispirato, sconvolto. Anche se di belle fanciulle bionde ne ha fin che vuole lì in vacanza-studio... e ancora di piu’ ne ha lasciate nel suo paese di origine. Ha capito che quel sorriso alla fine della corsa è allegorico: è il premio per chi ha trovato la strada per realizzare il proprio sogno. E per chi quella strada l’ha percorsa di gran corsa.<br /><br />1976<br /><br />Claude Lelouch è un giovane regista francese che dedica una mattina d’agosto a registrare un cortometraggio con protagonista una Ferrari lanciata a folle velocità attraverso le strade di Parigi, che in barba a limiti e poliziotti e rallentamenti arriva in tempo all’appuntamento con una bella, bionda fanciulla.<br /><br />2006<br /><br />Alex Roy trovato il nome della sua fanciulla bionda: Cannonball Run.<br />La traversata della nazione, da costa est a costa ovest: da New York a Santa Monica, in California.<br />Una cosa seria e americana, quanto la car culture: free, fun and fast.<br />Il primato da oceano a oceano, prima del tentativo di Alex, è di 32 ore e 7 minuti.<br />Un primato registrato prima del Patriot Act, dell’esplodere dei navigatori satellitari, del controllo ossessivo delle forze di polizia, delle riduzioni dei budget municipali che hanno trasformati gli agenti in raccoglitori di fondi per l’amministrazione pubblica.<br />Oggi il Grande Fratello ha gli occhi spalancati, ed eluderli è veramente impresa per pochi.<br /><br /><br /><br /><br />1976<br /><br />“C’etait un rendez vouz”, che oggi può far sorridere gli utenti smaliziati da anni di videogame in prima persona, è per l’epoca straordinariamente emozionante. Permette di vivere, grazie alla camera in presa diretta, l’emozione di una corsa a perdifiato, con punte fino ai 220 chilometri all’ora, nelle strade e nei vicoli di Parigi, nei panni di un anonimo pilota.<br />Questi fu sospettato piu’ tardi di essere Jacques Lafitte o Jacky Ickx, entrambi nel network extended del regista che finì in galera pur di non soddisfare la curiosità degli sbirri.<br />Il che non fece che accrescere la sua fama, e anche le voci che volessero lo stesso Lelouch a commettere dozzine di infrazioni, al volante della Ferrari 275.<br /><br />2006<br /><br />Ci vorranno 31 ore e 4 minuti per raggiungere la bionda sorridente fanciulla da sogno di Alex.<br />Le violazioni del codice stradale si potranno contare a centinaia.<br />Un record che, come tutti gli altri, è destinato a durare poco.<br />Sarà sicuramente battuto da qualcun altro, tra qualche tempo, per motivi che probabilmente neanche il primatista saprà spiegare bene. Se non che sentiva di doverlo fare; di dover correre.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9DAhAWbGcOS8SVwf1CCwowMJAw0c2jVGs3lvmamhtVxNCGoDK9UaZYp-dp969wFHmDF_s60fC6mzrickVPcK4xgMzW-ttyIlx8VAh8zmlpZh0mm8RXJNKuvH73x_-ryIV5wa-dscPDEo/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg9DAhAWbGcOS8SVwf1CCwowMJAw0c2jVGs3lvmamhtVxNCGoDK9UaZYp-dp969wFHmDF_s60fC6mzrickVPcK4xgMzW-ttyIlx8VAh8zmlpZh0mm8RXJNKuvH73x_-ryIV5wa-dscPDEo/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186186918275143714" border="0" /></a><br /><br />Marco Schiavone una volta era una persona seria.<br />Oggi è il grande capo delle <a href="http://www.edizionibd.it/">Edizioni BD</a>Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-8925492622002642632008-04-06T08:57:00.000-07:002008-04-13T13:52:52.087-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh935ORoVteetlktTL3s7Vo2XmNAAVRbuX3xrdPI97WRoQMkTUxUSsrqgCe075-mTgV3uU6DgLG1UwKLr6jYB5nfGOilU75MYMCXeE9uan_f5y1VSDcwGZsQoxZWyomw7iAcWn9nQgF8YU/s1600-h/ottokin.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh935ORoVteetlktTL3s7Vo2XmNAAVRbuX3xrdPI97WRoQMkTUxUSsrqgCe075-mTgV3uU6DgLG1UwKLr6jYB5nfGOilU75MYMCXeE9uan_f5y1VSDcwGZsQoxZWyomw7iAcWn9nQgF8YU/s400/ottokin.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186162372537047026" border="0" /></a><br /><br />Il telefonò squilla nel momento meno adatto della giornata. Tardo pomeriggio, imbrunire. Davo il lavoro per finito, per concluso, invece no, niente da fare. Antonio mi telefona dalla tipografia, la voce secca e agitata, mi dice che il file è danneggiato, che la versione di Xpress che hanno lì non riesce a gestire un lavoro così complesso, anzi, che non lo apre nemmeno.<br />Errore Sconosciuto.<br />Errore Sconosciuto.<br />Errore Sconosciuto.<br />Mi passa al telefono tale Mirco, l’onimo che gestisce la postazione Xpress.<br />Dopo un paio di info tecniche, Mirco mi svela che la loro versione del programma risale ad un paio di anni fa’, il boss della tipografia doveva aggiornare il programma ma poi non lo ha mai fatto per risparmiare qualche euro, in sostanza mi chiede se posso rinviargli il file urgentemente salvandolo per una versione precedente.<br />Addio aperitivo delle 19.00, niente Campari con gli amici, devo lavorare.<br />Mi metto davanti al monitor che sono le 18,45, il lavoro deve andare in stampa entro le 19,15 altrimenti non ce lo consegneranno mai per il giorno successivo e il mio cliente non lo avrà in mano per tempo per la sua convention. Di fatto sono incastrato, devo farlo ora, devo farlo subito. Apro il file.<br />Errore Sconosciuto.<br />Errore Sconosciuto.<br />Errore Sconosciuto.<br />Il file si è danneggiato, non si apre, non ne vuole sapere. Chiudo il programma, lo riapro, non ho tempo per queste cazzate, apri questo file e non rompere!<br />Niente, non ne vuole sapere, disattivo tutti i font, devono essere loro fare casino, si si, devono essere loro, chiudo tutto, riavvio tutto, veloce dai, veloce. Niente, non ne vuole sapere, non si apre e mi da sempre lo stesso messaggio.<br />Errore Sconosciuto.<br />Errore Sconosciuto.<br />Errore Sconosciuto.<br />Il sospetto di dover rifare il lavoro da capo mi prende alla gola, mi fa sudare freddo.<br />Se c’è una cosa che odio in questo lavoro è rifare due volte una cosa che avevi già fatto e finito e dato per fatturato, poi all’improvviso mi ricordo del mio maestro. Dei suggerimenti del mio mentore davanti a questi problemi. Lui, l’indimenticato Luciano, un vero genio, scomparso troppo presto.<br />Luciano mi aveva consigliato, quando ci sono questi casini, di aprire un nuovo file pulito di Xpress e poi tentare di aprire nuovamente il file danneggiato.<br />Non so il perché e non mi interessa saperlo, ma funziona. Guardo l’orologio, 19.10, sono ancora in tempo, se la mail mi assiste ci siamo, eccolo si apre, lo risalvo per sicurezza con un altro nome, fatto! tutto ok!<br />Chiudo tutto e riapro tutto per verifica, funziona. Funziona ancora, niente:<br />Errore Sconosciuto.<br />Errore Sconosciuto.<br />Errore Sconosciuto.<br />Invio tutto a Mirco e lo chiamo per essere sicuro che lo riceva in tempo.<br />Lo riceve e lo apre, sembra tutto apposto, ci siamo. Il mio cliente domattina avrà il suo pieghevole-brochure aziendale, la giornata è salva, la fattura pure, riguardo l’orologio 19,22, faccio ancora in tempo.<br />Ce la faccio di sicuro, devo farcela, non posso mancare.<br />Sono passati meno di quaranta minuti dalla chiamata della tipografia. Ora sono qui, seduto al tavolo del solito baretto sotto casa a sorseggiare Campari con gli amici senza nessun errore sconosciuto.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixwfHKpEbVXDZIiLDLMPO2QM3pFwpwFZSZQelZ-w688B2-2LUPIxS8dwByWwvT3jd6zqIh7JBIGN9-aY8719NuQCgTS93FrVKH3XEh7Dyop3MrEkr7-4SCG9k6pkKkcrj0UiQG4iVFsuk/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEixwfHKpEbVXDZIiLDLMPO2QM3pFwpwFZSZQelZ-w688B2-2LUPIxS8dwByWwvT3jd6zqIh7JBIGN9-aY8719NuQCgTS93FrVKH3XEh7Dyop3MrEkr7-4SCG9k6pkKkcrj0UiQG4iVFsuk/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186162475616262146" border="0" /></a><br /><br />Paolo "ottokin" Campana nasce grafico e disegnatore, spesso scrive senza saperlo, scrive su tutto e di tutto, si ritrova in questa antologia narrativa senza capirne bene il motivo.<br />Ha pubblicato un libro scritto e illustrato per ragazzi per le edizioni BD (i Racconti del Campetto) e ha un <a href="http://bloggokin.blogspot.com/">blog</a> (visitatissimo) e un <a href="http://www.ottokin.com/">sito</a> (meno visitato) che sta ridisegnando.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-58770623587137612622008-04-06T08:53:00.001-07:002008-04-06T08:56:35.411-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJZ31gjK5iX-2C1epF55-KiU8dhrPVhqyzuqqc0AsIdCKunmAxzqmQsXFNS5NLOJ9Sw6YNWda1-MoTniQzmW8agnYMI_3Fv9T3wCcw9teUkyU-G_cIwr7q1_Fc2tVVS1uND9_m-Ysph-c/s1600-h/raule.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJZ31gjK5iX-2C1epF55-KiU8dhrPVhqyzuqqc0AsIdCKunmAxzqmQsXFNS5NLOJ9Sw6YNWda1-MoTniQzmW8agnYMI_3Fv9T3wCcw9teUkyU-G_cIwr7q1_Fc2tVVS1uND9_m-Ysph-c/s400/raule.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186161470593914834" border="0" /></a><br /><br />Sulla sua prima scena del crimine c’erano due uomini che chiacchieravano tranquillamente, a braccia incrociate di fronte al cadavere.<br />Sasha era già arrabbiata perché era in ritardo e il traffico in quella città insulsa (Spezia, senza “La”, le avevano detto) era un casino.<br />In più minacciava di piovere.<br />Il primo uomo era sulla trentacinquina e aveva l’aria da poliziotto.<br />Il secondo era un tizio snello e alto, vestito da goth, che sulla scena del delitto non c’entrava niente. Forse un testimone, pensò Sasha, avvicinandosi.<br />“Potrebbe essere spuntato all’improvviso da dietro quell’angolo,” stava dicendo il poliziotto biondo, indicando un punto poco più avanti, “lui o lei l’ha investito per sbaglio. Poi, volendo prestare soccorso, ha fatto retromarcia per tornare indietro, ma sfortunatamente l’ha beccato di nuovo. Vedendo che ormai era morto, se n’è andato. Brutta storia, ma chiaramente la Mobile non c’entra niente. Certo, avrebbe dovuto denunciare il decesso, ma vogliamo arrestarlo per questo?”<br />Il ragazzo gotico annuì. “La tua teoria non fa una grinza, Mainardi. Non doveva essere un guidatore molto abile. Vedendo che tanto ormai era morto – e visto che in una strada così stretta è difficile fare manovra…”<br />“Capisco il suo punto, signore,” interruppe il poliziotto biondo. “Secondo lei, che gli sia passato sopra una terza volta è sospetto.”<br />“A Spezia? Non direi.” Il gotico si strinse nelle spalle. “L’altro giorno ho visto uno che stava facendo retromarcia in una rotonda.”<br />“Cioè?” chiese il biondo.<br />“Niente. Si vede che aveva saltato la sua uscita, così ha pensato di tornare indietro in retromarcia, invece che andare avanti e fare tutto il giro.”<br />Il gotico si grattò pensosamente il mento. “C’è un dettaglio che non mi convince, però. Il fatto che dopo essergli passato sopra la terza volta sia sceso e gli abbia finito di schiacciare quel che rimaneva della testa con la scarpa secondo me indica un certo astio.”<br />Il biondo si chinò a guardare.<br />“Ah. Non ci avevo fatto caso.”<br />“Senza nulla togliere alla tua teoria credo che sarebbe più pratico pensare a un omicidio. A lei piacciono solo i cadaveri, signorina, o è qua per qualche motivo?”<br />Sasha sobbalzò.<br />Aveva seguito lo scambio di battute con crescente perplessità, finendo per astrarsi dalla situazione. Il ragazzo gotico si era voltato e la stava guardando con due occhietti grigi e penetranti. Solo che, guardandolo meglio, non era proprio un ragazzo. Doveva aver superato i trentacinque, come minimo.<br />“Sono la vice-ispettrice aggiunta Sasha Damiani,” disse. “Signore?” aggiunse, palesemente dubitativa.<br />“Vice-ispettrice aggiunta?” ripetè il poliziotto biondo, aggrottando la fronte.<br />“Ah, sì, certo,” annuì il gotico. “Mi sono dimenticato di dirtelo. Ti trasferiscono a Catanzaro, lei è qui per prendere il tuo posto.”<br />Il biondo non gli rispose nemmeno.<br />“Io sono l’ispettore Roberto Mainardi e questo è il commissario Ermanno Sensi.”<br />Sasha estese una mano leggermente sudaticcia. “Ho sentito dire ogni bene di lei, signore. Del suo periodo da infiltrato in quella setta satanica, della medaglia al valore… sono davvero-<br />“Ansiosa di fare carriera, sì, lo vedo. Guardi, se fossi in lei mi rivolgerei direttamente a Salvemini.”<br />“Sarebbe il questore,” spiegò Mainardi, servizievole. Prese un’occhiataccia dall’altro e aggiunse: “Certo, non è sexy come il capo.”<br />Sasha sorrise nervosamente.<br />“Sicuramente più magro. Bene, Damiani, dia un’occhiata anche lei. Che cosa gliene pare?” Si spostò di lato per consentirle di vedere il cadavere.<br />Sasha rimase fredda come una vera professionista anche mentre vomitava sugli anfibi del capo.<br /><br />Diego, il suo ragazzo, si era manifestato nel cucinotto.<br />Sulle prime Greta non si era accorta che era palesemente morto.<br />“È ancora cruda,” aveva detto, riferendosi alla pasta.<br />“Non ha importanza,” aveva risposto Diego, facendole alzare la testa di scatto.<br />A metterla sul chi vive non era stato tanto il timbro soprannaturale, quanto che si era appena ricordata che quella sera lui non era rientrato. Che cosa ci faceva, quindi, dritto accanto ai fornelli?<br />“Diego?” aveva domandato, smarrita. “Diego, dov’è la chiatarra?” aveva aggiunto, poi.<br />“Spiaccicata,” aveva spiegato, lui, con un gesto definitivo.<br />Greta aveva iniziato a piangere, senza neanche sapere perché.<br />Lui si era avvicinato e le aveva posato una mano sul braccio. Non era stata una sensazione particolarmente piacevole.<br />“Cristo, sei…”<br />“Freddo. Lo so.”<br />Greta si era decisa a guardarlo. Ma che cosa c’era da aggiungere a parte il fatto che era morto? Non c’era nessun dubbio in merito, anche se non aveva niente di diverso dal solito.<br />Niente ferite in bella vista, ad esempio.<br />Non un colorito verdastro.<br />Non gli abiti stracciati.<br />Era solo morto.<br />“Che cosa è successo?” aveva chiesto, alla fine.<br />Lui aveva indicato la pentola. “Sta scuocendo.”<br />Greta aveva spento il fuoco. “Allora?”<br />“Allora niente. Mi hanno messo sotto in macchina.”<br />Lei si era coperta la bocca con una mano.<br />“Ed è stato…”<br />“Istantaneo, sì. Almeno quello. Mi dispiace per la chitarra. Diglielo, a tuo fratello.”<br />“Sì, certo, sarà il mio primo pensiero”, aveva ribattuto, asciugandosi gli occhi col dorso della mano. “Ma porco cazzo, ti sembra questo il modo di fare? Ti presenti qua come niente fosse, morto?”<br />“No, dovevo mandarti prima una raccomandata? È stata una cosa un po’ improvvisa, non so se mi spiego. Ho ventisei anni, cazzo.”<br />Greta aveva aperto la bocca per ribattere qualcosa – forse voleva dire che era tipico che litigassero anche dopo la sua morte – ma Diego l’aveva interrotta con un gesto. “Vai ad aprire, ne parliamo dopo.”<br />Greta aveva aggrottato la fronte. “Vado ad aprire a chi?”<br />Il campanello a quel punto aveva suonato. “Alla polizia. Sono venuti a darti la notizia.”<br />Lei aveva emesso una risata raschiante. “Che tempismo.”<br />“Già. Se fossi in te metterei via il mio giubbotto, prima. C’è qualcosa, nella tasca destra.”<br />Greta l’aveva fissato con astio, ma lui era rimasto impassibile. “Mi avevi detto che avevi smesso.”<br />“Ora l’ho fatto,” aveva risposto lui, senza scomporsi.<br /><br />Sensi si rivoltò sulla pancia e boccheggiò per qualche secondo.<br />“Cristo,” borbottò. Si sfilò cautamente il preservativo, lo annodò e lo lanciò in un angolo della stanza, a fare compagnia agli altri suoi due amichetti.<br />La vice-ispettrice aggiunta Damiani si sporse fuori dal letto singolo di lui, iniziando a rovistare tra i suoi vestiti, che erano scompostamente ammucchiati a terra.<br />Il commissario abitava in un sottotetto nel centro di Spezia, un posto dall’arredamento decisamente bizzarro, dove i due erano finiti dopo una serie di poco professionali preliminari in macchina. Almeno la mancanza di professionalità per Sensi era la norma, quindi non si era affatto preoccupato del luogo in cui erano, ma dopo un po’ aveva capito che a lei non sarebbe piaciuto farsi beccare dalla stradale con le braghe abbassate.<br />La pioggia ticchettava sul lucernaio conciliandogli il sonno.<br />“Dimmi che non ti dà fastidio se fumo,” disse la Damiani.<br />“Sono molto flessibile,” rispose l’altro.<br />Lei rise, accendendosi una sigaretta e inalando profondamente. “Non avevo mai visto qualcuno con un piercing lì. Ma sei appena riemerso da un periodo di copertura?”<br />“Non di recente, no. Ho visto che riesco a brancolare efficacemente nel buio anche senza sgozzare galli neri e imparare lunghe litanie in latino.”<br />“Che sarebbe quello che facevi prima?”<br />“Già.” Non sembrava propriamente ansioso di condividere la sua esperienza, ma purtroppo era proprio quello che interessava a Sasha.<br />“Be’, ci hai guadagnato una medaglia. Una promozione…”<br />Sensi fece un sorriso storto. “…Una fama imperitura, come no. Non penso che ti piacerebbe sapere che cosa ci ho guadagnato sul serio.”<br />Lei ammiccò. “A parte un piercing sulla punta del…”<br />“Quello lo considero un vantaggio. E mi sembrava che non dispiacesse neanche a te.”<br />Sasha rise come una scema.<br />“Comunque tranquilla, ora sono un membro produttivo della società. La punizione per questo crimine, a quanto pare, è dover capire chi, a Spezia, investe passanti per hobby. Visto come guidano normalmente potrebbe essere chiunque.”<br />“Non è che abbia seguito un granché del caso di oggi,” ammise lei.<br />“L’ho capito al volo che avevi la stoffa per diventare una brava detective.”<br />Sasha gli rivolse un sorriso educato. Avevano appena scopato per la terza volta, quindi, pensò Sensi, educata, con lui, la era già stata, ma era carino che continuasse a far finta di apprezzare il suo humor anche quando non capiva le battute. Le avvicinò il bicchiere che teneva sul comodino perché lo usasse come posacenere.<br />“Perché non ho capito bene come funziona il caso o perché sono andata a letto col capo il primo giorno di lavoro?” indagò lei.<br />“Mi dispiace ripetermi, ma per la carriera veloce devi rivolgerti a Salvemini. Io sono la nota di folklore della questura, nient’altro. E la mia carriera veloce l’ho già avuta. No, mi riferivo alla distrazione. È essenziale per riuscire a mandare a puttane un’indagine nel modo più rapido e indolore. I veri professionisti fanno così.”<br />Sasha sembrò punta sul vivo.<br />“Già, be’. Se qualcuno mi avesse informata che quella di oggi era la quarta vittima di un pirata della strada, forse non sarei sembrata così cogliona.”<br />Sensi si rivoltò. Era pallido, troppo magro, coi capelli arruffati, neri e lunghi, e aveva un intrico di cicatrici sottilissime su un lato del petto… ma non era male.<br />“Scherzavo, Sasha,” disse, morbido, e lei capì chiaramente che quella era la prima e l’ultima notte che passavano insieme. Quello che non capiva era che cosa gli rodesse. Avrebbe giurato che la cicatrice sul suo petto fosse a forma di pentacolo, tra l’altro. Spense la sigaretta nel bicchiere, mentre lui iniziava ad accarezzarla su un fianco, quasi ipnotico. “Volevo solo dire che anche a seguirlo dall’inizio questo caso non ha né capo né coda. E vuoi sapere una cosa bizzarra? Le prime tre vittime facevano degli strani sogni, prima di morire. Non mi stupirei se li avesse fatti anche la quarta.”<br />“Degli strani sogni come?” chiese Sasha, tesa.<br />Lui le rivolse un sorriso sornione. “Due luci bianche, appaiate, che si avvicinano a balzi, zigzagando, sempre più vicine… fino al risveglio.”<br />“La ragazza della vittima di oggi mi ha detto…”<br />“Shh. Vieni qua. Che cosa c’è, hai freddo?”<br />Sasha scosse la testa e si lasciò abbracciare dal commissario. Il suo corpo era caldo, rassicurante, anche se lui non lo era affatto. Sembrava che la sua ombra non gli appartenesse, come quella di Peter Pan. Forse Sasha era solo sveglia da troppe ore.<br />“Pensi che sia una coincidenza?” chiese.<br />“Alle coincidenze ci credo per partito preso. Non sai quanto lavoro fanno risparmiare.”<br />“E in questo caso?”<br />Lui sorrise ancora. “Purtroppo ho già finito le ferie.”<br />Sasha rise, ma aveva ancora la pelle d’oca. Lui iniziò a baciarla sul lato del collo, facendogliela aumentare considerevolmente.<br />“Non riesco a preoccuparmi come dovrei, è sempre stato un mio difetto, lo so. Qualcuno sta uccidendo dei tizi investendoli. Perché? Bho.”<br />Sorrise lentamente. “Forse è un piano per risolvere il problema del traffico spezzino.”<br />Lei si rannicchiò meglio contro di lui. “Uccidendo tutti i pedoni uno a uno? Mi sembra un po’ macchinoso.”<br />“Non più che creare un sistema di circonvallazioni – tonde - in una città a forma di elle, e i nostri urbanisti ci sono riusciti benissimo. E poi un pedone di solito è a sua volta un automobilista, anche se in un altro momento.”<br />Si chinò a succhiarle un capezzolo, segno che ancora non ne aveva avuto abbastanza.<br />“Basta aspettare,” sussurrò.<br /><br />“Sapevo che sarebbero tornati,” annunciò Diego. “Bastava aspettare. Sono in ritardo, comunque.”<br />Greta lo guardò, interrogativa. Da quando era morto si esprimeva in modo più insensato del solito, anche se bisognava ammettere che sporcava di meno e non si lamentava più di come cucinava. Anche perché non mangiava più, a pensarci bene.<br />“Chi è in ritardo, Diego?” chiese.<br />“Gli sbirri,” rispose l’altro, come se fosse più ovvio delle tasse. “Sono proprio qua fuori. Una donna giovane e un uomo vecchissimo. Lui non riesco a vederlo bene, ma stai attenta. Lei è solo una stronzetta qualsiasi.”<br />Greta non mise in dubbio le sue parole. Ultimamente sembrava che avesse un filo diretto con Dio o roba del genere.<br />“Ok, io me ne vado di là. Sai come rispondere, comunque.” Diego si alzò e la baciò sulla fronte.<br />Freddo.<br />Era sempre freddo, questo era tutto.<br />“Io non ho fatto niente,” affermò Greta, irritata.<br />“Sì, ma di solito dirlo non fa una bella impressione,” rise lui, attraversando la porta e scomparendo nella stanza accanto.<br /><br />Il campanello suonò.<br />Erano due, proprio come aveva detto Diego. Lei poteva corrispondere alla definizione di “stronzetta qualsiasi”, ma lui non era per niente vecchio. Non sembrava neanche un poliziotto.<br />Le mise un distintivo davanti al naso e si presentò.<br />“Commissario Ermanno Sensi. La mia collega, vice-ispettrice Damiani. Ha qualche minuto?”<br />Greta annuì e si fece da parte. Anche se avesse risposto di no sarebbero entrati lo stesso, tanto.<br />Il gotico si accomodò sul divano come se fosse uno di famiglia, nello stesso posto che fino a poco prima era occupato da Diego.<br />“Posso offrirvi qualcosa?” chiese Greta, ansiosa di non sembrare ansiosa.<br />“La sua opinione su un fatto bizzarro,” rispose lui. Sotto alla giacca di pelle aveva una felpa dei Red House Painters, notò con sconcerto Greta. Altro che crisi delle vocazioni, era la Polizia ad avere i problemi di reclutamento più seri.<br />“Nell’ultimo mese,” proseguì l’enigma vivente, accavallando le gambe a suo completo agio, “abbiamo avuto quattro morti pressoché identiche.”<br />Rimase in silenzio, osservandola.<br />“Ah sì?” balbettò lei, alla fine.<br />“Gente investita, passata e ripassata, se capisce cosa intendo, e poi finita – non che ce ne fosse davvero bisogno – a colpi di tacco. Suggestivo, le assicuro. La mia collega, qua, mi ha vomitato tutto il pranzo sulle scarpe, l’ultima volta.”<br />La vice-ispettrice Qualcosa diventò di un’intensa sfumatura porpora.<br />“Mi chiedevo se questo le dicesse niente.”<br />Greta scosse la testa in fretta. La donna-poliziotto, dietro di lei, la guardava in cagnesco.<br />“Strano. Sa, avrei pensato che le ricordasse la morte di Diego Galanti, un mese e mezzo fa. Anche lui è stato investito, se non sbaglio.”<br />Greta annuì rigidamente.<br />“Sì, immagino di risvegliare dei brutti ricordi. Mi domandavo se sapesse che le nostre quattro vittime – le ultime quattro, intendo – si conoscevano. C’è voluto un po’ per scoprirlo. Sa perché?”<br />Greta negò nuovamente con la testa.<br />“Andavano a puttane insieme. I quattro, dico.”<br />“Ho un alibi,” balbettò Greta, con tempismo perfetto.<br />“Ma che bello,” commentò il commissario, in tono allegro, e si accomodò meglio sul divano.<br /><br />***<br /><br />“Non intendo criticare, ma…” iniziò la Damiani non appena furono usciti.<br />La pioggia era aumentata di tono. In quella città, a quanto pareva, pioveva sempre.<br />“Ci mancherebbe. Mi accorgo subito quando una donna è contenta, e tu stai saltando di gioia,” replicò Sensi, sarcastico. Le passò le chiavi della macchina. “Meglio se te ne vai a casa, perché sto per darti nuovi motivi di infelicità. A te e alla tua carriera veloce.”<br />“Ermanno, senti, per l’altra sera…”<br />“Oh, figurati, non c’è di che. Al servizio dei cittadini, questo è tutto. Adesso sali su quella macchina, ok?”<br />La Damiani, frastornata, si lasciò spingere dentro l’abitacolo.<br />Quello che era successo dentro la casa dell’indiziata era stato molto strano. Lei era agitata, praticamente terrorizzata. Sarà stato banale, ma a Sasha la sua reazione era sembrata piuttosto sospetta.<br />Ma lui aveva lasciato perdere, semplicemente. Sasha mise in moto.<br />Il commissario rimase ad osservarla finché non fu scomparsa, con la sua aria distaccata e quasi triste, poi fece retrofront.<br />Non era esattamente un uomo d’azione, ma aveva altre qualità insolite.<br />La porta della villetta di Galanti cadde con un tonfo sotto il suo calcio. Dal legno si alzò una sorta di sibilo, come se la pioggia battente avesse raffreddato qualcosa che all’improvviso si fosse fatto molto caldo.<br />Sensi entrò senza far caso alle grida della ragazza.<br />“Dai, vieni fuori,” disse, in tono pacato, ma non per questo meno minaccioso. “Ti ho sentito.”<br />Un tizio morto uscì da una stanza chiusa.<br />La ragazza continuava a gridare mentre, con coerenza tutta femminile, tentava di rimettere a posto la porta.<br />“Diego Galanti, giusto?” chiese Sensi. “Fu, ovviamente.”<br />Il tizio fece un passo indietro. “Che cos’hai dentro?” balbettò, spaventato.<br />“Non ci badare. Un regalo da quando facevo il satanista. Non penso che mi avrebbero eletto infiltrato dell’anno se l’avessero saputo.” Le sue labbra si erano piegate in un sorriso sarcastico, ma era la sua ombra la parte più interessante. Sembrava che si fosse ingrandita e che fosse leggermente fumante.<br />“Cristo. Che cosa sei?” strillò il morto. “Sei troppo vecchio per il tuo guscio!”<br />“Già, ma mi porto bene. Comunque io non cercherei la pagliuzza nell’occhio altrui quando ho una trave nel mio. Non vorrei sembrare ovvio, ma sei morto.”<br />“Non è colpa mia,” si difese Diego Galanti.<br />“Ci mancherebbe. Però i quattro tizi investiti dell’ultimo mese… quelli sono colpa tua, mi sa.”<br />L’altro sembrò riprendere un po’ di coraggio.<br />“Mi hanno ucciso! Mentre andavano a puttane, sbronzi!”<br />Sensi scosse la testa. “Disdicevole, sono d’accordo.”<br />“Non si sono neanche fermati!”<br />“Probabilmente non se ne sono neanche accorti.”<br />La ragazza continuava a strillare, ma la porta era ormai tornata praticamente a posto. Aveva un futuro nella carpenteria, pensò Sensi.<br />“Be’, comunque ormai è andata, no? Che cosa puoi farmi? Mi vuoi arrestare?”<br />L’ombra di Sensi si allungò un po’ verso l’uomo morto, facendogli sfuggire un grido.<br />“Meglio non saperlo, che cosa posso farti,” mormorò.<br />“Ormai li ho uccisi!” strillò l’altro.<br />“Come se il traffico non fosse già una merda per conto suo, da queste parti. Credo che sia il momento buono per defilarsi, non so se mi spiego.”<br />Lui sembrò preso in contropiede. “Defilarmi?”<br />“Sì, hai presente? Quella cosa che fanno i morti, morire.”<br />Diego abbassò la testa. “Ma Greta…” borbottò.<br />“Ha già chiarito che ha un alibi,” puntualizzò il commissario.<br />“Intendevo dire…”<br />“Lo so che cosa intendevi.”<br />Rimasero in silenzio per qualche minuto. L’ombra del commissario ardeva sul pavimento, l’uomo morto si fissava i piedi.<br />“Diego?” chiamò la ragazza, a cui la crisi isterica era passata nel momento in cui era riuscita a rimontare la porta.<br />Lui la guardò di sbieco.<br />“Diego, devi andare?”<br />“Io…” disse.<br />“Sì,” intervenne Sensi. “È il momento.” La sua ombra si allungò nuovamente verso l’uomo morto, con un guizzo animale, come a ghermirlo. Diego scappò letteralmente in verticale, innalzandosi verso il soffitto come un razzo.<br />“Immagino che fosse dell’idea che da quella parte c’è il paradiso,” commentò l’altro, scrollando le spalle.<br />La sua ombra si ritirò completamente, ritornando ad essere quella snella e fredda del ragazzo vestito da gotico che sembrava.<br />“Non è così?” chiese la ragazza, un po’ preoccupata.<br />“Non so. Non è il mio campo. Sai, adesso una birra la prenderei,” aggiunse.<br />“Non sei in servizio?”<br />Lui evitò di spiegare che non si era mai preoccupato di dettagli simili. “Ora non più,” disse.<br /><br />***<br /><br />Qualcosa era uscito dal tetto. Come un lampo al contrario, come una pallottola vagante.<br />Il commissario, invece, non era uscito.<br />Sasha, immobile sotto la pioggia, aveva aspettato per un po’, per vedere che cosa succedeva.<br />Aveva visto accendersi la luce nell’altra camera, e questo era stato tutto.<br />Era chiaro che il suo nuovo capo era un uomo dagli umori incostanti, che non amava la fretta, apparentemente immobile, in quella città piovosa dove non succedeva mai niente, ma forse non era così. Forse scappava, e qualcosa lo stava inseguendo.<br />Se ne andò molto prima che lui uscisse.<br />Esattamente quindici giorni dopo sulla sua scrivania c’era la lettera del trasferimento.<br />Roma, il centro di tutto.<br />Era stata promossa ispettrice, segno che forse Salvemini non era l’unico in grado di velocizzare le carriere.<br />Sasha non voleva più sapere che cosa lo rodesse. Non lo voleva più capire.<br />Non l’avrebbe mai ammesso, ma non provava nessun desiderio di vedere ancora la sua ombra snella allungarsi sull’asfalto bagnato.<br />Chi l’avesse vista fare i bagagli, velocemente, in tutta fretta, avrebbe potuto pensare che stava scappando.<br />Non avrebbe avuto torto.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_xtd8XaEZNAih4KTUIiWuy_5Plu88rgFFb8ECa56Kds2U5S0FzkME6eIlFiDq05jlPupOAO68sUl1W70LYLxY8UrXlQEXjqNQ9rKSl-UrhByJKhAH98ETwl45gz2pEcvkPQXNLVsHrBw/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEi_xtd8XaEZNAih4KTUIiWuy_5Plu88rgFFb8ECa56Kds2U5S0FzkME6eIlFiDq05jlPupOAO68sUl1W70LYLxY8UrXlQEXjqNQ9rKSl-UrhByJKhAH98ETwl45gz2pEcvkPQXNLVsHrBw/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186161573673129954" border="0" /></a><br /><br />Nella vita vera è una psicologa clinica. Nella sua esistenza parallela ha sceneggiato e diretto la serie indipendente "Inside" (Cut-up Comics), ha vinto il Lucca Project Contest 2005 insieme ad Armando Rossi con "Ford Ravenstock - specialista in suicidi" (Panini) e ha partecipato a varie antologie di racconti.<br />In questo momento sta continuando a scrivere Ravenstock per un'altra casa editrice (Arcadia), ha appena finito "Cronache del Polpo" (Rebus) e sta sceneggiando un libro a fumetti per le edizioni Casterman.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com6tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-68420178714844933862008-04-06T08:49:00.000-07:002008-04-13T17:03:09.983-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjG_yfrWQYA6qqncggiOu0cfrY9laAtJ4-W2miVIozKR0A6IFBUEVpbpHDBTb12CbuPUAK-aCvNnYqd5Db1rNOsbRE5IYOoaEFxmqUDkc56xOLPISn228awUxBugOWcSx9VSPEj0srTjTg/s1600-h/recchioni.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjG_yfrWQYA6qqncggiOu0cfrY9laAtJ4-W2miVIozKR0A6IFBUEVpbpHDBTb12CbuPUAK-aCvNnYqd5Db1rNOsbRE5IYOoaEFxmqUDkc56xOLPISn228awUxBugOWcSx9VSPEj0srTjTg/s400/recchioni.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186160495636338610" border="0" /></a><br /><br />Le sirene stanno urlando e i fuochi bruciano giù nella valle, questa notte.<br />C’è un uomo nell’ombra con una pistola negli occhi e un coltello nelle mani.<br />Scintilla.<br />C’è del male nell’aria e un tuono nel cielo e una strada lorda di sangue su cui cammina un assassino.<br />E giù, nel tunnel dove le cose morte stanno sorgendo, giuro di aver visto un ragazzino riverso in una pozzanghera, bollire e schiumare.<br />Bambina, tu sei la sola cosa retta e buona e pura che è rimasta a questo mondo e dovunque tu sei e dovunque tu vai, c’è sempre della luce.<br />Ma io devo andarmene adesso, prima che venga l’alba.<br />Per cui approfittiamo il più possibile di questa notte. Quando sarà finita saremo entrambi soli perché come un pipistrello uscito dall’inferno, io me ne andrò quando arriverà il mattino.<br />Ma quando finirà di nuovo il giorno e il sole sarà sceso e la luce della luna splenderà alta nel cielo, come un peccatore di fronte ai cancelli del cielo, io tornerò strisciando da te.<br />Colpirò l’autostrada come un ariete in sella a una motocicletta fantasma, nera e argento, e verrò da te. Non cresce mai nulla in questo vecchio buco putrescente e tutto è ammaccato e perso.<br />E non si rockeggia e non si rolleggia e niente vale mai il suo prezzo.<br />E so che sarò dannato se non ne esco e che forse lo sarò lo stesso anche se lo faccio, ma con ogni battito che mi resta nel cuore, tu sai che preferirei essere dannato ballando insieme con te tutta la notte.<br />Strappo in due la strada, più veloce di quanto qualsiasi ragazzo sia mai andato.<br />La mia pelle è cruda ma la mia anima è cotta a puntino e nessuno mi può fermare, adesso.<br />Devo portare a termine la mia fuga ma non riesco a smettere di pensare a te.<br />E non vedo la curva finché non è troppo tardi.<br />E poi sono accartocciato sul fondo di una fossa, torto e riverso ai piedi di una motocicletta fantasma, nera e argento, che brucia.<br /><br />Sento un tuono che rimbomba e poi la pioggia battente.<br />Lui è arrivato come un uragano e il suo fulmine ha squarciato il mio cielo. Sono ancora giovane ma sto per morire perché Lui non fa prigionieri e non risparmia vite. Nessuno può lottare contro di Lui perché ha con sé la sua campana e mi condurrà all’inferno.<br />Lui mi avrà.<br />Qualcosa di brutto mi cammina lungo la spina dorsale mentre guardo la sua scintillante luce che lacera la notte. Se il bene è a sinistra, di certo Lui si tiene a destra.<br />Ora mi è chiaro: queste sono le campane dell’inferno e Satana sta venendo per me.<br />Lui è il lupo nella notte, lui è il sangue che ristagna in terra, lui è la lacrima nel tuo occhio, il coltello nella mia schiena, lui è la rabbia, lui è la lama del rasoio.<br />La mia testa gira adesso, ma ora che mi sto spegnendo devo essere forte e urlare al demonio.<br /><br /><i>Padre nostro, che sei nei cieli, sia santificato il tuo nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Dacci oggi il nostro pane quotidiano, rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori e non ci indurre in tentazione ma conducici nella città del paradiso dove l’erba è verde e le ragazze così carine!</i><br />Mormoro un amen e poi muoio.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhTKUgPNysaI2pLrEy6vpNwZhyphenhyphenpIalpFjCAf-vqC2Nf__d8F7lqTELkx2sDfaY3bUdZ9H2FhFQzL89yKBa2IRkflggplpJgqkCu8K8MKgcx9QFKLUjsy1aKyH-pV1yxBoJCTfmiPbZOPmI/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhTKUgPNysaI2pLrEy6vpNwZhyphenhyphenpIalpFjCAf-vqC2Nf__d8F7lqTELkx2sDfaY3bUdZ9H2FhFQzL89yKBa2IRkflggplpJgqkCu8K8MKgcx9QFKLUjsy1aKyH-pV1yxBoJCTfmiPbZOPmI/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186160624485357506" border="0" /></a><br /><br />Roberto Recchioni<br />Scrive.<br />Troppo.<br />Quando gli tira il culo, disegna pure.<br />Male.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com16tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-17476231264318920802008-04-06T08:45:00.000-07:002008-04-14T12:18:52.234-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvZzrhAgJ0Ysf-jSY4LB3JB5cKAJX-Z767PamoPj7AY48bEoIAoBg_TOJMV6auRlJdqwjNGfTLQ2vzQ6ZZCLyWw-TNzWTJxXF-ggvUdwd3iEIt3gm05XP2RZXmruR6T2DupfRCwe0e-iU/s1600-h/beltramini.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjvZzrhAgJ0Ysf-jSY4LB3JB5cKAJX-Z767PamoPj7AY48bEoIAoBg_TOJMV6auRlJdqwjNGfTLQ2vzQ6ZZCLyWw-TNzWTJxXF-ggvUdwd3iEIt3gm05XP2RZXmruR6T2DupfRCwe0e-iU/s400/beltramini.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186159185671313282" border="0" /></a><br /><br />La signora Luciana correva da quando era una bambina. Non a livelli agonistici e molto raramente se c’era qualcuno a guardarla. In giro a passeggio si qualificava come placida: si fermava a osservare ogni stupidaggine e si muoveva con passo da gatta satolla di panna. Era altresì nota per la sua sbadataggine ed era terribilmente, terribilmente svanita. Il tipo di donna che negli anni Cinquanta sarebbe andata in giro su una decappottabile rosa con un fazzoletto intorno alla testa e occhiali da sole enormi con montatura di plastica bianca. Questo se la vita della signora Luciana fosse stata più simile a un film, ché in realtà la patente la signora Luciana non l’aveva mai presa. Non si era nemmeno mai sposata, e questo era sembrato strano a tutti; era il tipo di donna che pareva nata per sfornar torte al cioccolato e bambini. Aveva i fianchi larghi e i polpacci torniti, e il tipo di sorriso che ti fa venir voglia di accoccolarti sotto una coperta pure quando fuori ci sono quaranta gradi all’ombra. La signora Luciana compiva quarantatré anni quel mese. Ne dimostrava una trentina, era quasi priva di rughe e il suo colorito era straordinariamente rosato.<br />La prima volta che la signora Luciana si era messa a correre aveva dodici anni. Due giorni prima sua madre era morta di cancro, dopo aver avvelenato la vita dei suoi famigliari per un periodo che era sembrato a tutti interminabile. Per Luciana la morte della madre era stato un dolore e un sollievo insieme. In mezzo a quei drappi neri, alle vicine che piangevano e all’atmosfera da funerale che regnava in casa si era sentita salire dentro come un’euforia, un solletico, un desiderio sconveniente quanto irrefrenabile di mettersi a ballare e saltare di gioia.<br />La sua famiglia viveva in un grande casolare in pietra sul retro del quale si stendeva un immenso campo di grano. Piccolissima, nel suo vestito nero e nelle sue scarpette di vernice in tinta, Luciana era uscita e si era messa a correre tra le spighe. Aveva cominciato camminando, poi tutto in lei si era fatto impaziente, braccia, gambe, mani, piedi, ogni cellula del suo essere aveva voglia di accelerare, sentirsi sfocare i contorni, perdere definizione, correre, perdio, correre. Le spighe le si rivoltavano contro strappandole il vestito, graffiando ogni centimetro di pelle esposta. Non importava. Luciana correva, solo questo importava. Correva e rideva, in faccia alla morte, alla paura, a tutto. A un certo punto si era messa a urlare, e fino all’altra estremità del campo erano stati un’unica corsa e un unico urlo, liberatorio, furioso, magnifico.<br />Fortuna aveva voluto che il suo gesto venisse interpretato come manifestazione di dolore.<br />Febbricitante, esausta, l’avevano riportata a casa in un fagotto e l’avevano subito messa a letto. Sola, nel silenzio della sua stanza, Luciana aveva assistito con discreta apprensione alla nascita del primo conflitto morale della sua vita. Il sollievo era più forte del dolore, Dioniso più prepotente di Apollo, il sentimento di gioia che provava molto più potente di qualunque altra emozione negativa. Per la durata della notte Luciana si era sentita a disagio, sconveniente, cattiva. Poi verso l’alba aveva pensato, ma chi se ne frega. E aveva fatto l’unica cosa sensata che un essere umano possa fare in situazioni del genere: si era scavata la sua personale via d’uscita.<br />Da allora non aveva più smesso di correre. Ogni volta che un’emozione la sopraffaceva, che si sentiva inadeguata, che quel che la scuoteva dentro era troppo più grande del brutto film che le scorreva intorno, lei si metteva un paio di scarpe comode e correva. Correva accelerando gradualmente e con gusto, in un crescendo misurato, fino al punto in cui non poteva più tenersi e si lasciava andare completamente. E correva, cristo d’un dio se correva. Correva che era più forte e più veloce di tutto. Correva da battere il diavolo.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqzaDsG4JMEsAXXYbfuLxPGHwUcIFOfBvNeU295aBFR3Q5n6JjhkCXgGtj9I-yOzBnwiUX8HH8ZbG9vlkhIXagI7TyA-CkolmozHnmoTMXQSYn-1CUr3L6BIQ5zCWXwd9glTBRYQauQAY/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhqzaDsG4JMEsAXXYbfuLxPGHwUcIFOfBvNeU295aBFR3Q5n6JjhkCXgGtj9I-yOzBnwiUX8HH8ZbG9vlkhIXagI7TyA-CkolmozHnmoTMXQSYn-1CUr3L6BIQ5zCWXwd9glTBRYQauQAY/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186159447664318354" border="0" /></a><br /><br />Micol Beltramini gode di pessima stampa, nel senso che ci gode un casino ad avercela. Ha all’attivo una raccolta di racconti scurrili e ha patteggiato con Newton&Compton la pubblicazione altri due libri entro l’anno. Quindi, di fatto, fa la scrittrice. Ma non ditelo troppo in giro. È scaramantica.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com9tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-82148139180162284142008-04-06T08:39:00.000-07:002008-04-13T13:53:53.573-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPH8zF4XyJ37W1vfeXj2_Q9PkxwA-IyDFeDzBERk5-E19cL3m2Ex1tTSbXgSw3ABoioUUfKuqhOFEvGUOwfMau-QmaSbCWg-KK4I3_A5W2R4RDr-HkEcA8P_qujOpriqRgsNliXlMQdCA/s1600-h/Ciambotti.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgPH8zF4XyJ37W1vfeXj2_Q9PkxwA-IyDFeDzBERk5-E19cL3m2Ex1tTSbXgSw3ABoioUUfKuqhOFEvGUOwfMau-QmaSbCWg-KK4I3_A5W2R4RDr-HkEcA8P_qujOpriqRgsNliXlMQdCA/s400/Ciambotti.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186158163469096818" border="0" /></a><br /><br />In questa discarica si può dire che sono un’ospite illustre.<br />Sono stata la moto di Jeffrey Philip Wielandt.<br />Il Metal Chopper #1 di Zakk Wylde.<br />Non dite niente, per favore. Ascoltate prima la mia storia.<br />Visto e considerato come sono conciata, non mi sento affatto privilegiata. Perché se mi avesse posseduto qualcun altro, sicuramente non sarei qui.<br /><br />-Fai piano Zakk!!-<br />-Zitta e godi!-<br />-Ma così mi fai male!!-<br />Quello stronzo di Zakk non si liberava di me neanche quando scopava.<br />Penso che l’abbia fatto più sulla mia sella che nel suo letto.<br />Anche a costo di stare in garage!<br />Si calava i pantaloni, faceva piegare la sua donna e ci dava dentro di brutto.<br /><br />-Mi sta uscendo il sangue! Fermati!-<br />-Ma si può sapere che cazzo ti piglia?? Non ti sei mai lamentata così!-<br />-Zakk fermati!-<br />E dire che la posizione era anche scomoda. Quando Barbaranne si aggrappava sul manubrio non solo rischiava di spaccare tutto, ma le entrava anche il contachilometri nello sterno.<br />Ma il suo problema non era proprio quello.<br />-Non ti piace se spingo così veloce?-<br />-Si ma cristo, non mi puoi bucare l’intestino! Guarda il sangue! Le mestruazioni mi sono finite la settimana scorsa. Se m’hai combinato qualcosa, stavolta t’ammazzo veramente, Zakk!-<br />La tipina si chiamava Barbaranne Caterina. Era una bella donna. Alta, bionda ed infinitamente tamarra. Si sono messi insieme quando avevano 16 anni e non si sono più lasciati. Era l’unica donna che mi piaceva portare in giro.<br />Sembrava nata per stare a gambe larghe.<br /><br />Ma Zakk non era certo un campione in fedeltà.<br />-Oddio Zakk!! Io non avrei mai immaginato!-<br />-E’ grande eh? Me lo dicono tutte-<br />-Vieni qua, sfondami cuginetto!-<br />Qualche anno fa morì la zia che viveva in Oregon. E noi siamo andati lì per il funerale.<br />Mentre Barbaranne stava al caffè, ad 820 miglia di distanza, lui era a Portland a scoparsi la cugina. La figlia di zia Mary Lou, quella morta.<br />-Spingi! Spingi più forte!!-<br />-Che puttana che sei, Jessy!-<br />-Si, veloce! Vai!-<br />Era talmente dispiaciuto per lei, che alla fine pianse sul viso di Jessy tutto il suo dolore.<br />Da come parlo sembro gelosa, vero?<br />Si, forse un pochino lo sono stata. E forse lo sono ancora.<br />Ma diciamolo francamente. Un altro uomo così, dove lo trovo?<br />Dopo un po’ di tempo iniziai anche a credere che non erano le amichette o la moglie a farlo eccitare, ma io.<br />Se lui è innamorato di se stesso ed io sono il prodotto della sua mente, allora l’amore per me è presto detto.<br />Lui mi ha progettata e mi ha eiaculata come fossi sua figlia.<br />Mi ha disegnato per notti intere dandomi una forma, un’anima ed una carrozzeria.<br />Ero quello che desiderava.<br />Il primo Dicembre 2004 è venuto a prendermi.<br />Quando mi vide la prima volta, sono sicura che s’è eccitato.<br />Ha abbassato lo sguardo, ha sbattuto i tacchi ed è arrossito.<br />Come fa quando si vergogna.<br />Poi mi ha toccata. Ha accarezzato tutto il mio corpo.<br />Ha infilato le sue dita in ogni angolo, ha seguito i miei bullseyes, i miei teschi, le mie croci. I suoi occhi hanno leccato la mia vernice.<br />Poi ha guardato il meccanico e gli ha detto di sparire.<br />Si è piazzato con le sue chiappe toste sulla mia sella. Ha posizionato i piedi ed ha afferrato con forza il manubrio. Tutto combaciava. Come se fossi nata per stare sotto di lui.<br />Le sue mani erano grandi. Ruvide e sudate.<br />Infilò la chiave e mi accese.<br />Poi girò l’acceleratore e scoppiò a ridere.<br />Siamo partiti per il nostro primo viaggio.<br />Da Los Angeles alla Baia di Monterey. Seguendo prima il fiume e poi la costa.<br />La strada era deserta. Non c’era nessuno ad interrompere il nostro amplesso.<br />Gli ho schizzato in faccia tutta la mia potenza.<br />Ho sacrificato per lui un serpente a sonagli.<br />L’ho fatto godere.<br />Avevo Zakk dentro di me.<br />Ero la sua creatura, la sua amante, la sua madonna.<br />Poi ha iniziato a gridare.<br />Un urlo disarmante, esploso dal profondo del suo genio.<br />Non finiva mai, sembrava eterno. Generato da uno stato d’essere mai visto né sognato. Bestiale.<br /><br />Tornammo a casa tre giorni dopo.<br />-Che fine hai fatto, coglione? Sei uscito a prendere la moto e poi??<br />Potevi avvisarmi!!-<br />La moglie avrebbe chiamato la polizia se non fosse rincasato entro la mezzanotte.<br /><br />Per evitare di far preoccupare la sua famiglia, stando fuori troppi giorni, decise di dedicarsi a me un solo giorno a settimana.<br />Partivamo da Los Angeles senza sapere la meta.<br />Io lo portavo a spasso come fosse il mio trofeo. Ero così orgogliosa di lui! Lo sentivo, sopra di me, che fremeva. I muscoli delle sue gambe si contraevano ad ogni rombo del motore. Ed io gli davo quello che voleva.<br />Da soli, io e lui, uniti in un’unica morsa, stretti appassionatamente ci baciavamo, gemevano ed urlavamo insieme.<br />Io ero tra le sue gambe e lo sapevo felice.<br />Quanto mi sarebbe piaciuto essere una donna solo per farci l’amore.<br />Ma so che non l’avrei appagato così.<br /><br />Al sesso, però, non rinunciava mai.<br />Quando andavamo via, staccava dagli obblighi quotidiani e tornava ad essere adolescente. Beveva cascate di birra e fotteva come un toro. Solo donne, sia ben chiaro, ma se fossero stati uomini di certo non se ne sarebbe accorto.<br />Un Venerdì arrivammo fino a Palm Springs.<br />Una piccola cittadina di quarantamila abitanti alle porte del deserto.<br />Lì c’erano due amiche che Zakk non disdegnava.<br />Non appena ci fermammo sotto il loro balcone Molly e Laura riconobbero il suono del mio motore e si precipitarono giù. A salutarci.<br />-Dai sali! O preferisci dietro il vicolo?-<br />Zakk sorrise -Salite in sella che a voi ci penso io-<br />Andammo dietro il vicolo.<br />Molly era una bellissima donna bianca. Bassa, snella e molto porca. Laura invece era nera. Quando si piegava, i muscoli delle gambe diventavano le basi di lancio dei razzi. Pochi secondi ed eri in orbita.<br />Ma era più timida e spesso preferiva guardare.<br />Quella notte, però, partecipò.<br /><br />In previsione dell’arrivo dell’uomo avevano una canottiera e la minigonna.<br />Per rendere il lavoro meno faticoso.<br />Una si sedette sul serbatoio e l’altra sulla sella.<br />Zakk si posizionò al centro. Iniziarono a baciarsi. Le mani erano sei e si muovevano come tentacoli.<br />Mentre erano immersi nel groviglio, un pick up si fermò all’imbocco della strada. Puntandogli i fari addosso.<br />-Brutto figlio di puttana!! Ecco dove te ne vai. Lurido schifoso!!-<br />Era Barbaranne. Scese dal suo pick up ed iniziò a scaraventare i coperchi dei cassonetti. Zakk si voltò verso di lei, si mise le mani in faccia e le urlò di fermarsi. Preso dal panico, non rimise dentro neanche l’uccello.<br />Quando lei si placò, le corse incontro cercando di abbozzare qualche scusa. Io non riuscii a sentire cosa le disse, ma sicuramente fallì.<br />Le due donne, intanto, stavano ridacchiando.<br />Si abbassarono la gonnella e rincasarono.<br />Molly si affacciò dalla finestra per godersi lo spettacolo. Laura no.<br /><br />Quella notte io e Zakk rimanemmo all’Americas Best Value Inn.<br />Il solito, squallido motel per coppie.<br />Il giorno dopo prendemmo la strada per casa.<br />Ma non fu uno dei nostri viaggi.<br />Il mio uomo piangeva.<br />Per la prima volta aveva indossato il casco. Sentivo i suoi singhiozzi. Immaginavo i suoi capelli bagnati dalle lacrime.<br />Non mi toccava come prima. La sua mano era diventata dura, violenta.<br />Il suo corpo, rigido. Non urlava, non fremeva, non godeva.<br />La strada non era più il nostro talamo nuziale.<br />Era diventata una biscia d’asfalto e nulla più.<br />Ed io, ero diventata un mezzo di trasporto come tanti.<br />Un chopper. Una perla che si compra al concessionario Harley e si tiene per mesi in garage. A prendere polvere. Fino a quando un bel giorno i sensi di colpa non spingono a cacciarla.<br />Le si fa prendere un po’ d’aria, si fa il giro del quartiere e torna a posto.<br />Ecco, io mi sentivo così.<br />E mi bastarono poche miglia per rendermene conto.<br /><br />Tornati a casa non mi rimise neanche nel box. Mi spense, mi accavallettò e corse dentro. Ero sotto la veranda, nella posizione ideale per sentire le urla.<br />I bambini, per fortuna, erano a scuola.<br />Sentivo la voce di Barbaranne. Non capivo cosa dicesse, ma le sue parole dovevano essere dei macigni. Le lanciava a voce alta, lentamente, lapidaria.<br />E poi silenzio.<br /><br />-Va bene, lo faccio. Lo faccio perché ti amo!-<br />Zakk uscì dalla porta di casa diretto al marciapiede.<br />Afferrò il bastone dello stop che stava davanti il giardino. Lo cacciò dall’asfalto e lo mostrò alla moglie.<br />-Questo va bene?-<br />Piangeva.<br />Lei annuì, senza fiatare. Lui arrivò accanto a me.<br />Mi guardò. Si piegò sulla mia sella e mi baciò.<br />-Questo è per te, Barbara. Perché amo te e la nostra famiglia-<br />Afferrò la spranga con entrambe le mani.<br />Irrigidì i muscoli e mi colpì.<br />Il primo colpo mi spaccò il fanale.<br />Il secondo colpo piegò il manubrio.<br />Il terzo colpo fu un urlo disperato. Poggiato con la testa sul contachilometri implorava il mio perdono. Le lacrime bagnavano il mio acciaio ed il suo pugno piegava una forcella.<br />I suoi capelli scivolarono sopra di me.<br />Ero ferita, ma ancora viva. La mia dedizione non fu abbattuta da un paio di bastonate. Non bastava così poco.<br /><br />-Beh, così mi dimostri il tuo amore, Zakk?-<br />-Ti prego, un attimo solo..-<br />Zakk si issò sulle gambe.<br />Lentamente si portò dietro la casa e scomparve per qualche minuto. Quando ricomparve aveva in mano una tanica.<br />Mi cosparse di benzina e mi diede fuoco.<br />Bruciai lentamente. Ci misi circa 4 ore per crollare.<br />L’odore della mia pelle, della mia vernice e del mio metallo rimase nell’aria per tutto il giorno.<br />Quando fui finalmente inoffensiva fui caricata sul pick up di Barbaranne e depositata qui. Nella discarica.<br />Quando se ne andò, Zakk aveva smesso di piangere. Non si voltò per guardarmi, né per darmi l’ultimo saluto. Ma sono certa che ogni volta che canta The Last Goodbye, mi pensa.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVLITV9W8y1tM8IS0m7cyecHuSIOUgiYtN9po-5N2d1R_PO68HCcqWggU1jPlfFSGajaM7mqH89Wffu13K3K-mS0QwIrgTiWOrS2RCpIQ7fQ86orhRP9c3tcbV2Cs5Mq2lYkWWEhi7O_o/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjVLITV9W8y1tM8IS0m7cyecHuSIOUgiYtN9po-5N2d1R_PO68HCcqWggU1jPlfFSGajaM7mqH89Wffu13K3K-mS0QwIrgTiWOrS2RCpIQ7fQ86orhRP9c3tcbV2Cs5Mq2lYkWWEhi7O_o/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5186159971650328482" border="0" /></a><br /><br />Sara Ciambotti. 23 anni .<br />Vive a L'Aquila, dove studia alla facoltà di Lettere e Filosofia, corso di studi in Immagine e Comunicazione.<br />Adora scrivere e leggere. Qualunque cosa, basta che sia ben fatta.<br />Ama anche viaggiare. Questo il suo <a href="http://elydon.blogspot.com/">blog</a>Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-30093351274333573322008-03-30T10:33:00.000-07:002008-04-14T03:01:33.590-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7kbddjmk2pHdbjVFK9XIRbZDZHu34kab749FdtENTZ5tfI9qazKHaPv-zak_x2StYdwdii1Z81joIepl5uYVfqGYsGaqQiBBzXRGrLdQRbetMyNU7eIf0S9t-FbfiajbPN5acVeuHiIs/s1600-h/vincenzi.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEh7kbddjmk2pHdbjVFK9XIRbZDZHu34kab749FdtENTZ5tfI9qazKHaPv-zak_x2StYdwdii1Z81joIepl5uYVfqGYsGaqQiBBzXRGrLdQRbetMyNU7eIf0S9t-FbfiajbPN5acVeuHiIs/s400/vincenzi.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183591001386735458" border="0" /></a><br /><br />New Mexico. 1948<br /><br />Mi piace, guidare di notte nel deserto. Ma questa notte non ho tempo di godermi il fresco della passeggiata. Stanotte sono qui per lavorare.<br />Ci sono stati diversi incidenti su questa strada, nelle ultime due settimane. Senza testimoni nè sopravvissuti. Solo relitti. Auto distrutte, volate fuori dal nastro di asfalto alla velocità massima. Ruote che esplodono, veicoli che volano in aria e ricadono per terra. Oltre a quindici morti: commessi viaggiatori, turisti, impiegati. Gente normale. L’ultimo è stato lo sceriffo della contea, un paio di notti fa.<br />Ieri, finalmente, qualcuno si è accorto che c’è qualcosa che non va. Così alla fine si sono decisi a chiamarmi. Perché questo è il genere di cose di cui mi occupo, da un po’ di tempo.<br />Fino all’anno scorso, ero un agente della polizia di Los Angeles. Avevo intuito che stavano succedendo delle cose piuttosto strane in città. Ma pensavo che si trattasse solo di persone malate. Deformi. Con malattie alla pelle.<br />Poi un giorno, a Chinatown, ho dovuto far saltare in aria un figlio di puttana alto quattro metri, con le corna a punta e le ali. Tutto rosso. Ho fatto saltare in aria con i fuochi d’artificio dei musi gialli mezzo isolato, per tirarlo giù. Non ricordo più nemmeno quanti morti ci sono stati, tra quelli sbranati da lui e quelli causati dal mio botto fuori stagione. Mi hanno cacciato a calci fuori dalla polizia. A mezzogiorno, non avevo più un lavoro. Ma vedi come sono gli Stati Uniti: nemmeno ventiquattr’ore dopo, ne avevo uno nuovo. Dare la caccia agli invasori.<br />Che invasori? Beh, abbiamo combinato un bel casino con le bombe atomiche. In breve, abbiamo aperto un varco su un altro mondo. Un mondo popolato da mostri con le zanne che non hanno nulla di meglio da fare che venire qui e cercare di ammazzarci tutti.<br />Io faccio parte di una struttura segreta. Così segreta che al confronto la CIA è il club di Topolino. Abbiamo diverse sezioni. Alcuni cercano di rimandare il più possibile il momento in cui la gente si renderà conto di che cosa sta succedendo davvero. Altri, gli apprendisti stregoni, lavorano alla chiusura di questo dannato varco. Io mi occupo di eliminazioni. Faccio a pezzi i bastardi, quando li trovo. Un buon lavoro, tutto sommato: vai in giro, incontri dei mostri li uccidi. Se non pensi che il tuo capo è Adolf Hitler, è stupendo. Ma del resto, lo zio Sam non serba rancore. Puoi essere un pazzo assassino e genocida, ma se sei il miglior mago sulla piazza proprio quando ce n’è bisogno... beh, benvenuto a bordo, figliolo.<br />Vita del cazzo.<br /><br />Comunque, sono partito questa mattina con un volo da Los Angeles. Destinazione, una base militare del New Mexico. Lì mi hanno dato una macchina, una cartina stradale e una pacca sulla spalla per augurarmi buona fortuna.<br />Secondo la nostra sezione locale, c’è qualcosa di strano nei valori delle rilevazioni di energia su questa strada. Avrebbero dovuto pensarci prima a farle, le rilevazioni, senza aspettare che uno sceriffo ci lasciasse la pelle e qualcuno si decidesse a prendere la cosa sul serio. Lo so persino io che le prime prove per la Bomba le hanno fatte da queste parti. Teste d’uovo dei miei stivali.<br /><br />La strada è deserta. Mi hanno detto che gli incidenti degli ultimi giorni hanno convinto molti guidatori a preferire strade secondarie. O a non guidare di notte.<br />Che cosa avranno visto, quei poveracci, per dare gas fino a far distruggere la macchina, fino a volare fuori strada su una strada dritta come la canna di un fucile? Senza dubbio qualcosa di spaventoso e ostile. Qualcosa che li ha spinti a fuggire come se avessero avuto il diavolo alle calcagna. E in effetti probabilmente ce l’avevano anche.<br />Resta un fatto: i cadaveri presentavano solo ferite riconducibili all’incidente. Il che è strano però, perché i demoni amano la tortura e la sofferenza. Le morti dei giorni scorsi, invece, sono state tutte piuttosto rapide o immediate.<br />Guardo l’ora. Sono appena le 2 passate. Di sonno, nemmeno l’ombra: mi tengono su le pillole e il caffè che ho preso prima di mettermi a guidare. Ho solo una gran noia. Tengo d’occhio la strada, con le mani ben salde sul volante, pronto a reagire al minimo imprevisto, ma non c’è nulla da vedere, nulla da fare. Non succede nulla. Non ho visto nemmeno una macchina, da quando ho imboccato la strada un’ora fa. Altri dieci minuti così e sarò io il prossimo morto. Suicida per la noia.<br />Al diavolo, devo inventarmi qualcosa.<br />In effetti, saprei anche cosa.<br />La macchina che ho sotto il culo non è una macchina qualunque, anche se da fuori lo può sembrare. Il segreto sta sotto il cofano. Quando me l’hanno data, quelli della base di qui mi hanno raccomandato di fare molta attenzione. Il motore è un modello sperimentale. Va forte, molto forte. La carrozzeria e tutte le altre parti sono state modificate e rinforzate per poter sopportare la velocità massima raggiungibile. Che finora nessuno ha mai raggiunto. Nessuno ha ancora avuto il fegato di spingerla così forte.<br />Beh, mi dico, magari non sarò io quello che domerà la bestia, ma almeno voglio togliermi la soddisfazione di sentire quanto forte sa sgroppare.<br />Spengo la radio, ormai stufo della musica e mi preparo a sentire la canzone del motore.<br />Finora ho tenuto una velocità di crociera normale. Nulla che non avessi già fatto con altre macchine. Ora inizio a schiacciare il pedale come si deve. Il motore reagisce subito come un cavallo obbediente e la strada inizia a scorrere più forte.<br />L’accelerazione è fluida. La brezza che entra dal finestrino aperto si trasforma in un vento sostenuto.<br />Meglio, già meglio.<br />Verifico la reazione delle gomme con una serie di colpi rapidi di volante a destra e sinistra, come se stessi affrontando uno slalom. Tutto perfetto. Sorrido soddisfatto nello specchietto.<br />Poi il sorriso mi si ghiaccia sul muso: mi accorgo di una specie di bagliore azzurro, come un lampo ai confini del mio campo visivo, sulla sinistra.<br />Ora c’è qualcosa, di fianco alla macchina.<br />Qualcosa che corre su un paio di lunghe zampe posteriori, che ha il corpo affusolato coperto di scaglie, braccia quasi inesistenti e una grossa bocca piena di zanne. Sto viaggiando a 90 miglia orarie e lui mi sta accanto. E mi guarda. I suoi occhi brillano come il fuoco.<br />Un demone, un fottuto demone.<br />Ora, lo so quale sarebbe la cosa giusta da fare: afferrare il fucile, puntarlo attraverso il finestrino aperto, tirare il grilletto e poi tornare indietro a raccogliere i pezzi di questo bastardo. Lo so, ma non la faccio. Non ci riesco a farla.<br />Non voglio farla.<br />Che cosa voglio fare, allora?<br />Accelerare. Solo accelerare.<br />Voglio spingere questa macchina oltre ogni suo limite.<br />Voglio sentire il vento sulla faccia, voglio vedere il mondo che sfuma e passa oltre ridotto a una macchia di calore.<br />Voglio sentire bruciare la benzina, le gomme, l’asfalto.<br />Voglio sentire il ruggito del motore e il vento che mi urla addosso.<br />Voglio correre, diventare vento, fuoco, acciaio, asfalto, gomma.<br />Non c’è nient’altro. Niente al di fuori della strada, della macchina, della cosa che mi sta accanto.<br />Nient’altro al di là dei suoi occhi di fuoco e della sua voce nella mia testa. Una voce che mi dice più veloce, più veloce, più VELOCE.<br /><br />Una voce che conosco.<br /><br />Era il 1942. In Francia. Ero là come membro di un commando spedito in territorio nemico. La nostra missione: aiutare la resistenza locale, preparare il terreno all’invasione futura.<br />Tre mesi di inferno, conclusi da un’azione suicida o quasi.<br />Un pezzo grosso della resistenza, uno che sapeva molte cose ed era l’unico a saperle, era finito in mano ai nazi. Lo avevano catturato nel corso di della più riuscita operazione di bonifica che la Wehrmacht avesse mai messo in piedi. Chi di noi è sopravvissuto non ha mai potuto dimenticare la lezione di rastrellamento che i crucchi ci hanno dato. Erano piombati in massa sulla vallata dove ci eravamo rifugiati, erano sbucati da chissà dove e nel giro di dieci minuti il bosco brulicava di divise grigie. Ci avevano avvolti come in una rete.<br />Del mio gruppo eravamo usciti vivi in una dozzina, da quella giornata. Altri si erano messi in salvo sull’altro versante, tagliati fuori da noi. Sapevamo che non era finita: dovevamo riprenderci il capo, un marsigliese che si faceva chiamare lo Scuro. Dovevamo farlo subito, non avevamo tempo di aspettare che il resto degli uomini si riunisse a noi. Ma disperati come eravamo, avevamo potuto concepire solo un piano disperato: un’irruzione nella prigione in cui era tenuto. Un assalto frontale, armi in pugno. Un piano così folle e irrealizzabile che i nazi non lo avevano nemmeno messo in conto.<br />Coglioni orgogliosi. Erano così convinti di averci annientato che non avevano pensato alla possibilità che qualcuno sarebbe tornato a riprendersi lo Scuro.<br />Così, invece di più soldati di quanti avremmo mai potuto immaginare, ce ne trovammo davanti solo molti. Proprio per questo riuscimmo a liberare lo Scuro, ma non fu una passeggiata. Tutti i miei compagni caddero sotto il fuoco nemico. Alla fine rimasi solo io. Caricai il mangiarane sul posto del passeggero di un side-car e mi lanciai in fuga, verso l’ultima parte del piano.<br />Questa prevedeva che si fuggisse attraversando una galleria, l’unica strada per uscire in fretta da quella vallata. Noi l’avevamo minata, prima di partire, ma non potevamo permetterci di lasciare indietro qualcuno che facesse saltare le cariche al momento giusto. Non avevamo nemmeno più radio-comandi per il detonatore: a quel punto, era già tanto se avevamo le munizioni. Così avevamo impostato un congegno a orologeria, stabilendo un tempo ragionevole.<br />Un tempo che, nel momento in cui avevo imboccato la galleria, inseguito da un camion pieno zeppo di SS e dal loro fuoco indiavolato, stava quasi per scadere.<br />Avevo accelerato, ruotando la manopola fino quasi a spezzarmi il polso e l’avevo sentita, in quel momento, la voce. La voce che diceva più forte. Poi ho visto il mondo sfocarsi in una massa indistinta di colore, sfrecciare ai lati e davanti a me, scomparire.<br />Ricordo di aver riso, a un certo punto. Sentivo la moto, una robusta motocicletta tedesca, ingegneria e meccanica allo stato dell’arte, implorare pietà.<br />Non avrebbe retto ancora a lungo. Io non avrei retto ancora a lungo. Nemmeno lo Scuro non avrebbe retto a lungo.<br />Lo sapevo, ma non me importava nulla. In quell’istante ero libero. Era come se facessi parte dello stesso vento umido che avevo sulla faccia, di quell’aria che sapeva di terra e roccia. La guerra, lo Scuro, Hitler, nessuno di loro importava più. Io non importavo più. Volevo solo correre. Essere veloce. Più veloce di qualsiasi altro stronzo che abbia mai creduto di essere veloce.<br />Ci siamo già visti, io e chi ora mi corre di fianco. Ma era un altro tempo e il mondo era diverso: non potevo ancora vedere il suo brutto muso, ma solo percepire la sua presenza.<br />Nel 1942 fu l’esplosione che facendo crollare la montagna dietro di me a richiamarmi alla realtà. Ero appena uscito dal tunnel. Fu come il ruggito di un drago. I tedeschi ci rimasero sotto tutti, fino all’ultimo Fritz. Io avevo continuato rallentando solo di quel poco che bastava a non far scoppiare il motore, ma senza più sentire quella sensazione di ebbrezza. La parte in cui per vivere dovevo essere veloce era finita. Di lì a poco, avrei fermato la moto e mi sarei trascinato il marsigliese sulle spalle in una lunga fuga per i boschi.<br />Adesso, a salvarmi è una grossa spia rossa che lampeggia sul cruscotto, mentre una sirena suona a intervalli regolari. Sono gli allarmi dell’auto, mi avvisano che sto raggiungendo la velocità massima. Devo averci proprio dato dentro con l’acceleratore, senza nemmeno accorgermene. Una grossa spia rossa lampeggia sul cruscotto, mentre una sirena suona a intervalli regolari.<br />Il coso con gli occhi di fuoco è sempre lì. Ma non ha più potere. Non su di me.<br />Non cercherò di andare più veloce di lui. Non lo farò perché so non è possibile. Non farò il suo gioco.<br />Se ricordo qualcosa del corso teorico, questo è un demone di seconda classe. Demoni ideologici, li chiamano. Vizi, in altre parole. Personificazioni di vizi. Demoni minori, comunque. Bulletti stupidi che non hanno ancora capito una cosa fondamentale per la loro sopravvivenza da queste parti: hanno un corpo.<br />Ma io conosco un modo per far capire a questo ragazzo testardo che l’essere una semplice idea è diverso dall’essere un’idea incarnata in una forma fisica e questo modo consiste in una buona sterzata verso sinistra.<br />Quasi posso vederla la sorpresa nei suoi occhi mentre una tonnellata di buon metallo americano lo investe a una velocità di crociera più adatta a una pista di decollo che a una strada.<br />La macchina è blindata e appesantita per farle reggere le alte velocità, ma anche l’idea si è incarnata in un corpo coriaceo. Per un attimo ho paura che l’auto non terrà la strada. Che sarò io il prossimo a lasciarci le penne. Ma è un attimo soltanto: le ruote posteriori saltano su qualcosa che prima offre resistenza e poi cede. Sono di nuovo con tutte e quattro le ruote sull’asfalto. La macchina sbanda, le gomme fischiano ma non è niente che non possa controllare.<br />Ora so che se dovesse andare male con i demoni, posso provare con le corse in macchina.<br />Riporto la macchina in carreggiata e a una velocità normale. Nello specchietto vedo che ora il demone è a terra, che si contorce in mezzo alla strada. Cerca di alzarsi in piedi, ma una zampa è andata. Povero ragazzo.<br />Faccio un’inversione a U. I fari lo illuminano. Mi guarda. Si rende conto di quello che sta per succedere Sembra un cervo paralizzato dalla paura.<br />Accelero. Il motore sembra non avere risentito dello sforzo di poco prima. 88 miglia all’ora in un attimo. Il mostro ringhia per la rabbia, ma non lo sento quasi.<br />L’impatto questa volta è davvero devastante. La macchina fa un bel salto, mentre un’esplosione di materia organica inonda il parabrezza. Qualcosa entra pure dal finestrino. Puzza peggio della merda, ma ormai ci sono abituato.<br />Credo che il porco sia andato. Per sicurezza, metto la retro e gli passo sopra ancora una volta.<br />Poi lo faccio altre due volte. Mi piace il rumore che fa.<br /><br />Missione compiuta.<br />Secondo i patti, dovrei riportare la macchina dove l’ho presa.<br />Guardo l’ora. È ancora presto. Ho ancora in corpo troppa adrenalina, troppa agitazione per chiudere qui.<br />Pulisco il vetro alla buona con il tergicristallo. Ricordo di aver visto un autolavaggio, a una cinquantina di miglia da qui. Mi fermerò lì per il pieno e per farmi pulire per bene il vetro, prima di ripartire. Magari anche una fetta di torta di mele, se la tavola calda è aperta. E poi ripartirò.<br />Dovrei riportare la macchina dove l’ho presa, è vero. Il fatto è che sono curioso di vedere quanto ci metto ad arrivare a Los Angeles. Spengo la ricetrasmittente, tiro giù del tutto il finestrino e lascio che il motore canti una serenata al demone della velocità a cui abbiamo fatto la pelle stanotte.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyBjbTry_Wmd2Lijsjh8HAfatK2RlnD3QpC5fHoFZ0RJCxHdIKQdIt2lXI8F7SfCqn73sx2cZ9fU4_PUfUTIN8keZwnKFOhRKLJJlD4zh-Rt-DZDzM6yV8LnQojQz3YmjDuPRDCaz6ZqU/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhyBjbTry_Wmd2Lijsjh8HAfatK2RlnD3QpC5fHoFZ0RJCxHdIKQdIt2lXI8F7SfCqn73sx2cZ9fU4_PUfUTIN8keZwnKFOhRKLJJlD4zh-Rt-DZDzM6yV8LnQojQz3YmjDuPRDCaz6ZqU/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183590606249744194" border="0" /></a><br /><br />Alessandro Vicenzi, 1979, collabora ad Ayaaaak.net ed è stato tra gli autori del romanzo collettivo "La Potenza di Eymerich". Di tanto in tanto scrive fanfiction per il sito <a href="http://www.comicus.it/marvelit">MarvelIT</a>.<br />Per la cronaca, non ha mai guidato nessun veicolo più potente di un Ciao.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-72077707310930674782008-03-30T10:27:00.000-07:002008-04-14T03:06:03.855-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtjv_FEWWH3gNHJkwxwRrJuklHLTlAnV_a7em-Nst8_xFpITPkGvWLceplGcts9smtC30hKNx2-9GDHHA7pexWxhsP38QfokcGGGfVRoXCNpguXJp8ZWn5q_19IQ8aTHm3HfpzJaYRQc0/s1600-h/Bencivelli.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjtjv_FEWWH3gNHJkwxwRrJuklHLTlAnV_a7em-Nst8_xFpITPkGvWLceplGcts9smtC30hKNx2-9GDHHA7pexWxhsP38QfokcGGGfVRoXCNpguXJp8ZWn5q_19IQ8aTHm3HfpzJaYRQc0/s400/Bencivelli.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183588518895638306" border="0" /></a><br /><br />Il cuore di Matthew pompava a mille, non credeva potesse battere in questo modo. La sua mano cercava nervosa qualcosa da stringere. Lei sorrideva tranquilla e sicura e questo lo spaventava ancora di più. Era lei a guidare, lui non ci sarebbe riuscito.<br /><br />Solo un’ora prima era seduto al bancone del bar, tranquillo senza particolari pensieri per la testa sorseggiando il suo Jack Daniels liscio. D'un tratto una ragazza tra le altre aveva attirato la sua attenzione, non era certamente la più bella e nemmeno la più appariscente ma il suo ballare la rendeva unica, una danza tribale quasi primitiva, così in contrasto ma nello stesso così armonizzata con la musica che riempiva la sala. I lunghi capelli le formavano una sinuosa cornice intorno al viso, le braccia e il corpo si muovevano in una sensuale sinfonia, mentre gli svolazzi della gonna creavano ipnotici arabeschi, chiunque le si avvicinasse veniva coinvolto nella sua danza, come discepoli attorno alla maestra in un sabba.<br />Matthew si ritrovò a fissarla era la prima volta che la vedeva, riuscì a fatica a distogliere lo sguardo, non era la sera giusta per certi pensieri, aveva deciso all'ultimo di uscire e ancora si chiedeva come i suoi amici l'avessero convinto a raggiungerli nel solito locale. Il suo bicchiere era vuoto, aveva bevuto quasi senza accorgersene mentre guardava la ragazza, girandosi dopo averlo appoggiato sul bancone, si accorse che lei stava venendo verso di lui "Vorrà qualcosa da bere" pensò non curandosene più di tanto.<br />Invece se la ritrovò davanti, sorridente, ora che era vicina la potè osservare meglio, una bellezza particolare, i loro occhi si incrociarono, lui si perse in un cielo azzurro senza nubi, una sensazione di calma e serenità lo avvolse.<br />-Scusa posso chiederti se... - quasi a voler anticipare la richiesta lui era già pronto a estrarre il suo pacchetto di sigarette - vuoi fare l'amore con me?-<br />Sorpreso dalla domanda la guardò, per un momento gli occhi della ragazza gli sembrarono neri, scuri come una notte senza astri ma fu solo per un attimo prima di tornare di un cielo splendente rischiarato da un sorriso di gioia, rimasero in silenzio per un attimo che sembrò eterno.<br />-... si...- titubante non riuscì a dire altro.<br />Sentì la mano di lei stringersi in una dolce presa attorno alla sua<br />-Bene, andiamo? non vorrai stare qua al bancone!-<br />La ragazza gli sorrideva, un sorriso ingenuo quasi innocente. Matthew la seguì accompagnandola alla propria auto. Camminando lei lo abbracciò stringendosi a lui come se si amassero da sempre e non come se i loro sguardi si fossero appena incrociati per la prima volta. Lo fece sedere sul sedile davanti, scivolando sopra di lui a carezzarlo dolcemente per metterlo a suo agio. Nel parcheggio del locale ancora c'era gente che passava, alcuni rallentavano nel guardarli, lei sbuffò spostandosi si sistemò al posto di guida<br />-Qua c'è troppa gente. Dammi le chiavi che conosco un bel posto-<br />Matthew non riusciva a resisterle, senza fiatare le diede le chiavi, il cielo negli occhi della ragazza lo tranquillizzava. Sorridendo lei si avvicinò sfiorandogli per la prima volte le labbra in un leggero bacio<br />-Grazie- sussurrando.<br /><br />Pazza. era completamente pazza.<br />Matthew non riusciva a pensare ad altro<br />Velocemente si allontanarono dal parcheggio. Lei guidava come una forsennata, accelerando e frenando di colpo, quasi senza motivo, ignorando le più semplici regole di sicurezza, le luci sui bordi della strada sembravano confini sfuocati tra loro e la notte, stavano uscendo dalla città. La strada iniziò a salire e a perdersi in un bosco diventando sempre più tortuosa, lei non rallentò, anzi agli occhi del ragazzo sembrò accelerare ancor di più, sembrava conoscere quella strada come se la facesse tutti i giorni a quella folle velocità. Ad ogni curva Matthew era sicuro che sarebbero usciti andando a schiantarsi contro qualche albero, ma miracolosamente l'auto riusciva a tenere sempre la strada. Nervoso come non mai stringeva la maniglia della portiera tanto da sentir male alla mano. Non capiva come avesse potuto lasciarla fare, incapace di provare a reagire.<br /><br />Finalmente si fermarono in una piazzola a bordo strada, gli alberi intorno a loro fomavano spesse mura di un tempio, illuminato solo dalla luna.<br />Lo guardò. Sorrise.<br />Si spostò sedendosi a cavalcioni sulle gambe di lui.<br />La lasciò fare, anche se avesse voluto non avrebbe potuto opporre resistenza, si sentiva paralizzato. La ragazza suadente iniziò a spogliarlo, aprendogli la camicia, lei si chinò su di lui, la sua bocca sul petto a baciarlo e morderlo, morsi selvaggi e affamati. Alzò decisa lo sguardo verso di lui, i suoi occhi non più azzurri erano nuovamente neri come la notte, carichi di un desiderio tale da spaventare il ragazzo.<br />Gli aprì i pantaloni, si sollevò la gonna denudandosi le splendide gambe, scivolò su di lui fino a sentirlo dentro, a formare un unico corpo per iniziare a muoversi e a sfamare il desiderio che la stava bruciando, selvaggia, irrequieta. Dove prima le labbra avevano lasciato il segno ora le unghie premevano quasi a farlo sanguinare, ma presto, troppo presto lei si fermò. Nei neri occhi della ragazza il desiderio si trasformò in delusione, una delusione che bruciava come rabbia in quell'oscurità fissa su di lui.<br />Matthew non vide altro che gli occhi della ragazza, un'oscurità che sembrava aver nascosto anche la luna nel cielo e il bosco attorno a loro. Era paralizzato dalla paura, sotto il giudizio impietoso della ragazza.<br /><br />Lento come l'ansimare che diventa respiro, nelle iridi di lei il tranquillo azzurro sostituì il pauroso nero, tra le cime degli alberi in cielo tornò a far capolino la luna. Nel volto della ragazza la rabbia venne sostituita da un sorriso divertito, come di derisione. Matthew rimase lì sotto di lei senza muoversi, guardandola, mosse appena le labbra per parlare, quasi a volersi scusare, ma lei lo zittì sfiorandogli le labbra con un dito. Scivolò via da lui, uscendo dall'auto per incamminarsi verso il bosco. Come paralizzato provò a seguirla con lo sguardo, vide i vestiti di lei svanire, nuda si girò a salutarlo per sparire anche lei come un fantasma.<br /><br />Non vedendola più, Matthew provò a rilassarsi sul sedile chiudendo gli occhi. Ora, rimasto solo, si sentiva in grado di pensare a quello che gli era appena successo ma soprattutto a cosa e a come fare per tornare indietro.<br />Riaperti gli occhi dopo poco. si guardò intorno, non era più nel bosco ma nel parcheggio da dove erano partiti, seduto al posto del guidatore con ancora i vestiti aperti e i segni dei morsi e delle unghie addosso.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgu35WcCzBLMfBRm5AqZOxDsdNond8P9gX6BwGNQzln6wwtbTTWMdnydNg-fkkbzuLk-y3Ws0qHhP95gc6kDzRiSzobg7kZKEFjNKY1zd3S3_rcMeZdd229lyE8i8wU7VxFsHUnZ-ed3nY/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgu35WcCzBLMfBRm5AqZOxDsdNond8P9gX6BwGNQzln6wwtbTTWMdnydNg-fkkbzuLk-y3Ws0qHhP95gc6kDzRiSzobg7kZKEFjNKY1zd3S3_rcMeZdd229lyE8i8wU7VxFsHUnZ-ed3nY/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183588716464133938" border="0" /></a><br /><br />Angelo Bencivelli, venuto al mondo il 4 giugno 1976, sta finalmente decidendo cosa fare da grande. <a href="http://ilbenci.blogspot.com/">QUESTO</a> è il suo blog.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-87243567754427599152008-03-30T10:24:00.001-07:002008-04-13T13:38:42.285-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEwdDtnwm7GaCucA3Mqd3RTaiz1Xq3uPmv8qPVbVwsr24rdX0lnvxWxrKj2GWrlpCX4ML3kIQx1ks_TH0ddLIyMI2Pewd4J1qA4vrvh25eRnpaVEIX_HJGZ-LJtw3lYLfuyvzmCWJoDDY/s1600-h/Canella.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiEwdDtnwm7GaCucA3Mqd3RTaiz1Xq3uPmv8qPVbVwsr24rdX0lnvxWxrKj2GWrlpCX4ML3kIQx1ks_TH0ddLIyMI2Pewd4J1qA4vrvh25eRnpaVEIX_HJGZ-LJtw3lYLfuyvzmCWJoDDY/s400/Canella.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183587041426888434" border="0" /></a><br /><br />Velocità. La mia mente dice spazio diviso tempo. Odio i matematici e la loro semplificazione della realtà con numeri e formule. Beh allora Velocità come mito dei futuristi di inizio novecento partito con lustrini e finito annegato nel sangue di giovani in una guerra mondiale. No meglio di no. Meglio veloce come un proiettile. Però c’è un rovescio della medaglia. Quando sei veloce come una pallottola le cose ai tuoi lati si deformano, non le vedi, e le perdi. Per andare dritto al cuore perdi il contorno e il contesto e la tua visione resta parziale. E poi non è finita. La velocità è anche attrito che consuma velocemente le gomme delle auto, ma brucia anche i neuroni del cervello obbligato a pensare a un sacco di cose in più in un tempo sempre e comunque limitato; maledetta formula. Si perché le due variabili non sono poi così variabili come pensano i matematici. Il tempo è sempre limitato; quindi per fare un sacco di distanza devo aumentare la velocità. Velocità. Apro gli occhi e il guardiano del tempo che porto al braccio, maledizione egizia?, ti dice che devi essere più veloce e cominci a correre. La storia della savana, del leone e della gazzella è un contentino che ci raccontiamo per consolarci oppure lo leggiamo appeso alle pareti degli uffici pubblici. Humor inglese? Nonsenso?. Salgo in macchina e comincio a spingere sul pedale, fortunato chi ha un bolide ma non è il mio caso; davanti a me di regola c’è una persona che ha i ritmi più lenti e dall’altra parte della carreggiata una transumanza di auto e camion. Risultato: la tua temperatura comincia a salire, come quella del motore. Può succedere che grazie alla tua velocità qualcuno, o qualcosa, ti fa una foto; ma invece di finire sulle prime pagine delle riviste di automobilismo ti guadagni un bel multone e i punti invece di aumentarli nella classifica del mondiale piloti te li ritrovi decurtati dalla patente. Arrivi al lavoro e devi essere veloce perché hai dell’arretrato da smaltire. Quando mi lamento di questo la riposta è “ E’ così per tutti”. Uffa bastaaaaaa. Io voglio èssere pecora nera. Io odio la velocità. Se devo ubriacarmi voglio gustarmi in vino nel bicchiere lentamente sentendo tutti i sapori; non voglio stordirmi e basta. La velocità non è la mia divinità. Perché è una dea crudele che per rendere il mondo più piccolo pretende sacrifici di sangue. Il sacrificio del mio migliore amico. Senza colpa. Con te quella sera è partita anche la mia parte migliore. Si io ti odio velocità.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkSQgqSgbIrk0kdDnOHNewfptrTA3brtCUFEItwTW5iUV1k1P2Qi10iFcqicQGi7qR2QjXAR5H24xXUFLDHmLt07Rlz3vUxqHzXlTeqwuxuirzsfrIBZdVZ-opI72mT21JTIgocANw2ro/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhkSQgqSgbIrk0kdDnOHNewfptrTA3brtCUFEItwTW5iUV1k1P2Qi10iFcqicQGi7qR2QjXAR5H24xXUFLDHmLt07Rlz3vUxqHzXlTeqwuxuirzsfrIBZdVZ-opI72mT21JTIgocANw2ro/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183587226110482178" border="0" /></a><br /><br />Soggetto Clyde Canella, nasce il 31 luglio 1969 e da allora vive in un piccolo paese in provincia di Ferrara, chiamato Alberone.<br />Da piccolo si innamora dei fumetti e da allora lo accompagnano quotidianamente. Per acquistarli è costretto in una gabbia a fare il commercialista e un sacco di altre cose molto noiose e stressanti, dalle quali ogni tanto fugge per raggiungere le mostre e incontrare i suoi beniamini. Ha una donna molto paziente chiamata Benedetta, di nome e di fatto, che lo asseconda in attesa delle nozze.<br />Segni particolari: capelli lunghi da sempre e un orecchino al lobo sinistroWriters Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com1tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-86181607473971823542008-03-30T10:19:00.000-07:002008-05-09T08:46:36.980-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLDuJFY8afcCUsWmhABzdjGIOmSrEOoCzkHlU0hiYqld_TxZk4Mu7K94Baph6_3MO0ryU72qn3vNuEsghI7YwJypr7MYSqi5mcDO-TEJyCPHvFErriLyu6nSBwy5dF7SNyX2_4TZHgFRA/s1600-h/bevilacqua.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhLDuJFY8afcCUsWmhABzdjGIOmSrEOoCzkHlU0hiYqld_TxZk4Mu7K94Baph6_3MO0ryU72qn3vNuEsghI7YwJypr7MYSqi5mcDO-TEJyCPHvFErriLyu6nSBwy5dF7SNyX2_4TZHgFRA/s400/bevilacqua.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183586620520093410" border="0" /></a><br /><br />“ma sei ritardato?”<br />“quando?”<br />“che cazzo di risposta è quando?! Uno ti chiede se sei ritardato e tu rispondi quando?”<br />“avevo capito se ero in ritardo!”<br />“’fanculo, dai qua!”<br />Benjamin Zeena, detto Ben, odiava due cose: i ghiaccioli all’amarena, e quel coglione di Ryad quando gli comprava il ghiacciolo all’amarena.<br />“Gli altri erano finiti!” si giustificò l’algerino seguendo il ragazzo più grande nel cantiere.<br />“Sei un ritardato Ry!”<br />“ma perché?”<br />“perché Dasser ha SOLO ghiaccioli all’amarena testa di cazzo! E tu continui ad andare da lui!”<br />“ma lui mi dice sempre che gli altri gli devono tornare, che li ha finiti!” ansimò combattendo di mascella contro l’involucro del ghiacciolo.<br />“Ti prende per il culo!” urlò Ben sparendo nell’oasi buia di cemento.<br />“Maledetto Dasser!” ciancicò Ryad, gelandosi un dente addosso al ghiaccio rosso sangue e mettendosi a correre per raggiungere l’amico.<br /><br />MOTUS IN FINE VELOCIOR.<br />Ben esibiva fiero la scritta tatuata sulle spalle mentre i muscoli del collo si gonfiavano contro la sbarra ad ogni flessione, da lì in cima poteva osservare il quartiere tutto, e ogni goccia di sudore che cadeva sulla polvere era una promessa rivolta verso di esso.<br />Si staccò dalla sbarra con un tonfo e una nuvola di polvere, raggiunse il branco, si accese una sigaretta, e li guardò.<br />Laura era snella e bianca, leccava il gelato e pensava che un giorno se ne sarebbe andata da lì, magari sarebbe diventata ricca e si sarebbe pure rifatta le tette.<br />Ryad era algerino, sceglieva con cura le tracce nel lettore cd, perché la colonna sonora è importante, specialmente quando sta per arrivare il tramonto, e pensava che prima o poi si sarebbe fatto Miha, che di musica si che ne capiva.<br />Miha era mulatta,alta e giusta, il cappuccio sulla testa e la canna tra le dita la dicevano lunga su quello che pensava del mondo.<br />Remo, il mangiamele, era un italiano dai capelli scuri, e la storia della cicatrice sulla guancia e del poliziotto morto ormai la conoscevano anche i muri.<br />I muri.<br />I muri del cantiere cantavano una cantilena che solo loro potevano udire, era una filastrocca che parlava di furti e di corse,di fumo e di salti,fatta di sputi, di piscio e polvere, di sangue e di velocità, perché Ben lo diceva sempre ai ragazzi, e i muri sempre lo ascoltavano: “ricordate! esiste una sola cosa che può batterci in velocità!”<br />Ai muri del cantiere poco importava cosa fosse, e gli altri quattro non avevano mai finito la frase.<br />Perché non ce n’era bisogno, tutti in cuor loro sapevano di cosa Ben stesse parlando.<br /><br />Il cantiere aveva quattro anni portati male, dieci piani di cemento e metallo, scale, rampe e voragini, bombolette, mozziconi, piscio, merda, siringhe e carcasse di animali.<br />Doveva essere il più grande centro commerciale di tutta la città, lì, nella loro merdosissima banlieue.<br />Doveva essere il riscatto del quartiere, divenne solo un’altra tacca sulla lista delle vergogne.<br />Divenne solo un enorme scheletro di cemento e merda al centro di una merda di cemento ancora più grande.<br />Ma era la loro casa.<br />Quando l’orfanotrofio chiuse i battenti, loro cinque erano gli unici rimasti, e il cantiere divenne il loro covo, la loro tana,<br />I muri dello scheletro li avevano accolti da subito.<br />I muri si, che ricordavano.<br />In principio furono gli eco, le urla, i tonfi delle scarpe da ginnastica, il nugolo di polvere, le caviglie slogate, i polsi rotti e i kong vault sui muretti più bassi, qualche materasso, un paio di lamiere, e Remo che bypassa il cavo della corrente.<br />Poi vennero i sassi contro i barattoli, il salto delle voragini, le capriole con il sangue sulle mani, le bestemmie e i furti, venne la tv, lo stereo, il frigo e i letti.<br />Poi arrivarono i muscoli e il sudore, le lunghe distanze e le capriole senza sangue sulle mani, vennero Precisione e Velocità, e con loro, furti migliori.<br />Lo facevano per vivere, e lo volevano fare nel migliore dei modi.<br />Divenne il loro lavoro, la loro missione, la loro guerra.<br />Velocità divenne un singhiozzo spezzato sotto suole di adidas rubate, e Gravità un respiro così lento da sembrare l’ultimo.<br /><br />“Laura sei di guardia stasera!” disse Remo cercando un altro po’ di polpa nel torsolo di mela rinsecchito.<br />Laura fece spallucce infilando in bocca l’ultima parte del cono gelato.<br />Ben guardò l’orologio mentre la luce arancio del tramonto colorava il cemento.<br />Si avvicinò al bordo e sorrise, l’ombra dello scheletro violentava mezzo quartiere, e in cima ad essa, la sua.<br />Per un attimo si sentì piccolo e indifeso, e il sorriso scomparve dalle sue labbra, ma fu un attimo di debolezza, subito dopo tornò a sentirsi un Dio.<br />Un torsolo di mela gli passò accanto finendo dieci piani più sotto.<br />“Che abbiamo stasera?” Si girò passandosi una mano tra i capelli biondi, arruffati e sporchi.<br />“Stasera è la sera cocaina” rispose Remo pulendo una mela nuova nuova sulla canottiera e addentandola.<br />Miha si tirò indietro il cappuccio a muso duro, liberando i rasta: “che cazzo ce ne facciamo di un carico di cocaina?!”<br />“io voglio un ipod!” brontolò Laura<br />“la vendiamo!” tagliò corto Ben avvicinandosi alle scale.<br />“che cazzo dici?! Da quando facciamo cose del genere?” Miha lanciò nel vuoto il morto della canna.<br />“ci servono soldi Miha, sono stufo di prendere solo quello che ci serve per vivere!”<br />“vaffanculo Ben, c’è sempre andato bene così, è la vita che ci siamo scelti, di cos’altro abbiamo bisogno?”<br />“io voglio un Ipod!”<br />“zitta Laura, lo sai cosa vuol dire questo, Miha?” disse Ben dando le spalle al gruppo e indicando la scritta tatuata sulla schiena.<br />“si Ben, lo so!”<br />“significa il moto è più veloce man mano che si avvicina alla fine!! guardaci Miha, sono quattro anni che facciamo questa vita di merda, sono quattro anni che corriamo, e sono quattro anni che non ci fermiamo, viviamo in un cantiere del cazzo che puzza di piscio Miha, non ti sei rotta i coglioni? Dobbiamo essere più veloci della vita stessa per non finire inculati.<br />Vaffanculo!” s’infervorò “…sono il più grande tra voi e non ho ancora vent’anni! Stiamo bruciando troppo velocemente!! ci serve una svolta, ci serve altro, e ci serve il prima possibile, perché si sta facendo tutto troppo veloce, e io sono stanco di correre!”<br />I quattro rimasero in silenzio a guardarlo mentre spariva per le scale, il tatuaggio nero sulla schiena bianca rimase nelle loro retine come un monito impresso a fuoco sulla pelle, e come tale, bruciava.<br />La più piccola alzò la testa e guardò i compagni: “Io voglio un Ipod!”<br /><br />Il rumore della zip ruppe il silenzio, poi venne il fruscio dei rasta contro il cappuccio.<br />Le molle delle “bounce” annuirono decise in due piccoli rimbalzi, così come deciso fu lo scrocchio dei denti sulla mela.<br />Le cuffie del lettore cd si incastrarono perfettamente nei padiglioni del ragazzo algerino, e solo per quella sera gli Sniper abdicarono al trono in favore di un po’ di elettronica, ma solo per quella sera.<br />“Due sacchi a testa, non di più” parlò Ben con la voce attutita dal collo alto della felpa nera “i corrieri dovrebbero essere quattro, ce ne occuperemo io e Remo, il vostro primo pensiero dev’essere quello di recuperare la roba, se siete in difficoltà, scappate! È tutto chiaro?”<br />I tre annuirono.<br />Ben si passò la mano tra i capelli, così biondi da sembrare bianchi nel buio del cantiere, prese fiato e coraggio e sorrise “…esiste una sola cosa che può batterci in velocità!”<br />I tre annuirono di nuovo, stavolta sorridendo.<br />“Si va!”<br />Ben fu il primo.<br />Il candore dei capelli lasciò una scia nella retina di Ryad, che sorrise e spinse play nel lettore cd.<br />Sentì il ginocchio scrocchiare leggermente sotto la spinta, e gustò gli attimi che precedono il rilascio di epinefrina.<br />I muscoli della coscia e del polpaccio presero fiato di scatto, e quando la polvere si rese conto di essere stata alzata era gia troppo tardi.<br />Remo bloccò la mela tra i denti e gli fu dietro.<br />“Mi raccomando, attenta!” si preoccupò Miha guardando Laura.<br />Laura sorrise facendo ciao ciao con la mano, ma l’altra era già sulla scia dei tre.<br />Flesse i muscoli e fu subito due piani sotto, l’erba folta e la capriola attutirono il colpo.<br />Superarono la recinzione del cantiere con facilità e iniziarono a scalare.<br />Ben allacciò le dita tra loro e piegò le ginocchia “forza!”<br />Ryad fu il primo, salì con il piede sulle mani giunte di Ben che gli diede la spinta necessaria a raggiungere il balcone del signor Vignon, che, nonostante dipingesse regolarmente le grate e annaffiasse sempre le piante, non riusciva a capire perché la vernice continuasse a scrostarsi una notte si e una no e perché le piante fossero così rovinate.<br />Salirono tutti, e Remo aiutò Ben a issarsi.<br />Da lì, raggiungere il tetto fu una passeggiata.<br /><br />Quattro figure scure si muovevano agili tra i tetti della banlieue, correvano contro la brezza estiva, quella che rende gli occhi lucidi e le felpe necessarie.<br />Correvano e saltavano, saltavano, e poi saltavano di nuovo, le suole onnivore delle scarpe da ginnastica si abbuffavano di tegole, mattonelle, cemento e polvere, si abbeveravano nelle pozzanghere dei tubi in perdita e prendevano fiato quando la distanza tra un tetto e un altro era più lunga del solito.<br />I ragazzi tutti sorridevano, chi dentro il collo di una felpa, chi dietro una mela, chi sotto un cappuccio e chi a tempo di musica.<br />Forse quella sera avrebbero fatto qualcosa di diverso, forse qualcosa di cui non sarebbero andati fieri, ma forse per una volta avrebbero intravisto una possibilità nelle loro vite.<br />“Eccoli!” la notte e la corsa, furono entrambe interrotte dalla voce luminosa di Ben.<br />I quattro si affacciarono.<br />Tre piani sotto di loro, tre uomini caricavano delle casse in un camion mentre uno fumava una sigaretta.<br />“Remo, dall’altra parte, e scendi, Ryad, giù anche tu, ma dalla strada insieme a Miha, io invece scenderò da qui!”<br />Annuirono e si divisero.<br />Miha e Ryad scesero passando dalla facciata principale del palazzo e, una volta a terra si affacciarono con cautela nel vicolo, riuscivano a vedere il culo del camion, e, dentro di esso, la merda che avrebbero dovuto rubare.<br />Remo toccò terra senza il minimo rumore, sorrise nell’oscurità con ancora la mela in bocca.<br />L’uomo con la Marlboro tra le labbra, pochi attimi dopo, mentre cadeva in terra privo di sensi, si trovò a pensare ad una mela, alla suola di una scarpa che gli schiacciava la sigaretta accesa sul viso, a un dolore acuto ai denti, al sapore metallico del sangue.<br />Il tizio cadde con un tonfo che insospettì gli altri tre.<br />Remo rotolò rapido sotto il camion trascinando con se il corpo privo di sensi dell’uomo.<br />Uno dei tre girò attorno al camion per vedere cosa fosse successo, in quel momento Ben atterrò tra gli altri due e, con silenziosissimo rigore mise in pratica ciò che quattro anni di Bruce Lee gli avevano insegnato.<br />Caricò l’intero peso del corpo nel polso sinistro per poi scaricarlo con violenza sul plesso solare di uno dei due uomini.<br />Girò su se stesso, alzò la gamba e scaraventò il tallone contro la mascella dell’altro, che rovinò a terra dopo un paio di giri.<br />Remo, da sotto il camion, afferrò per le caviglie l’ultimo rimasto in piedi e lo tirò a se facendolo cadere faccia in avanti.<br />Tutto tacque per qualche secondo.<br />“forza!” urlò piano Ben.<br />Ryad e Miha corsero nel vicolo, salirono agili sul retro del camion e aprirono uno scatolone, era pieno di scatole di cellulari, ne aprirono un altro, ipod, un altro ancora, caffè.<br />“un classico!” disse Ryad mentre bucava un sacchetto con il coltellino, tirandolo fuori sporco di polvere bianca “ma questi non la guardano la tv?” sorrise tirando i sacchetti di coca ai compagni in attesa.<br />Scesero dal camion e si allontanarono di corsa.<br />“Cazzo!” disse Ben tornando indietro.<br />Gli altri lo videro sparire nel vicolo e ricomparire pochi secondi dopo “L’ipod per Laura!” disse sorridendo e mostrando la scatola ancora imballata.<br /><br />I tetti scivolavano leggeri sotto gli otto piedi stanchi, mentre ripercorrevano a ritroso la strada verso la banlieue.<br />Il silenzio di Ben riempiva le orecchie degli altri.<br />Si tastò le tasche, gonfie per via dei sacchetti.<br />Era il loro capo, lo avrebbero seguito all’inferno, e lui sapeva che era ciò che stavano facendo in quel momento.<br />Fece un respiro incerto nella corsa, scrollandosi di dosso i pensieri.<br /><br />Lo scheletro era silenzioso.<br />“Laura!” la voce di Ben riecheggiò a lungo negli enormi spazi vuoti e bui.<br />Ci fu una violenta esplosione di bianco, i ragazzi gemettero portandosi le mani davanti agli occhi.<br />I faretti che usavano per l’illuminazione erano rivolti verso di loro, accecandoli.<br />Piano, i ragazzi riaprirono gli occhi, mentre due figure camminavano controluce verso di loro.<br />“Lasciami, pezzo di merda!” si dimenò Laura mentre uno dei due la teneva ferma.<br />“Sbirri!” sibilò Ben a denti stretti cercando di recuperare la vista.<br />“proprio così ragazzino, è un po’ che vi teniamo d’occhio, ed ero sicuro che prima o poi avreste fatto qualche cazzata!” la voce era roca e l’alito un posacenere.<br />Remo scattò in avanti come un fulmine superando i faretti e guardandosi attorno rapido “sono undici, Ben!”<br />Era già successo altre volte, pensavano di avere l’effetto sorpresa, pensavano di poterli fregare a casa loro.<br />Non era la prima volta.<br />Non era mai la prima volta.<br />Quello grosso lasciò la presa su Laura quando le unghie di Miha gli penetrarono violente nelle pupille.<br />Posacenere si girò verso il compagno che urlava, e non vide l’adidas abbattersi sul suo naso.<br />Ma vide le stelle subito dopo, quelle le vide, e sentì il calore del sangue e delle lacrime.<br />“Prendeteli!” urlò tamponandosi il naso con le mani.<br />I cinque erano già al piano di sopra, correvano.<br />“stai bene?” chiese Ben guardando Laura.<br />La ragazza annuì.<br />“Ti ho portato l’ipod, dopo te lo do!” le sorrise Ben.<br />Laura gli sorrise anche lei.<br /><br />Non era la prima volta.<br />Gli sbirri erano prevedibili.<br />Era come giocare a guardie e ladri, era questo che era in fondo, un gioco.<br />I cinque scappavano, gli sbirri li inseguivano, era facile, era sempre stato tutto così prevedibile, una recita messa in scena fin troppe volte.<br />Sarebbero rimasti lontani dallo scheletro una settimana al massimo, poi sarebbero tornati, e avrebbero ricominciato da capo.<br />Era così che funzionava, era la loro vita.<br />Ben sorrise saltando dal bordo del secondo piano contro una colonna di cemento, calandosi.<br />Gli altri lo imitarono e in breve si trovarono tutti davanti la recinzione.<br />La scavalcarono con facilita, come sempre.<br />E si voltarono indietro.<br />Nello scheletro, i lampi affannati delle torce dei poliziotti strapparono un sorriso ad ognuno di loro.<br />Era stato facile.<br />Come sempre.<br />L’asfalto prese a correre sotto le loro scarpe da ginnastica, mentre il terrazzo del signor Vignon si preparava ad essere violato per la seconda volta quella notte.<br />Ci fu un botto.<br />Benjamin Zeena, detto Ben, giunse le mani e piegò le ginocchia girandosi per accogliere i piedi dei suoi compagni.<br />Fu in quel momento che la vide.<br />Il suo MOTUS IN FINE VELOCIOR.<br />Fu un lieve luccichio nel buio<br />Fu veloce.<br />Fu indolore.<br />Fu ciò che ripeteva da anni ai suoi compagni di sventure.<br />Fu ciò che sapeva nessuno di loro avrebbe potuto battere in velocità.<br />Fu un proiettile.<br />Fu la morte.<br />Prima di accasciarsi, Ben sorrise del sorriso di chi ammette di essere stato sconfitto dal migliore.<br /><br />I quattro ragazzi rimasero immobili.<br />In piedi davanti al loro amico.<br />Ma non guardavano lui.<br />“Che cazzo hai fatto! Che cazzo hai fatto!” Posacenere, tamponandosi il naso, correva verso un ragazzo in uniforme, e urlava.<br />Il ragazzo aveva l’età di Ben, anno più, anno meno.<br />Nella mano tremante la pistola ancora calda.<br />Nell’orecchio le urla di Posacenere attutite dal fischio dello sparo.<br />Sul viso due righe: una goccia di paura e una lacrima di consapevolezza.<br /><br />L’ipod ancora imballato era scivolato dalla tasca nella caduta.<br />Laura lo raccolse e lo ripulì del sangue con un lembo della canottiera rosa, mentre una lacrima le scendeva sul viso.<br />“Esiste una sola cosa che può batterci in velocità!” sospirò Miha con la voce di chi sta per iniziare a piangere, mentre chiudeva gli occhi dell’amico, del fratello. “Fino a quel momento faremo ciò che abbiamo sempre fatto!”<br />“Fermi!” urlò Posacenere, ma il buio di un vicolo aveva già risucchiato i quattro ragazzi.<br />Imprecò in silenzio dimenticando per qualche secondo naso, sangue e fazzoletto.<br /><br />In terra, Ben Zeena, sorrideva ad occhi chiusi, immobile.<br />Nell’oscurità, quattro figure sfidavano Velocità e Gravità lasciando dietro di loro lacrime e pensieri.<br />Portandosi dietro Rabbia e Dolore, avrebbero continuato a fare ciò che avevano sempre fatto.<br />E pregustando il calore di un abbraccio, Odio e Vendetta, li seguivano poco distanti.<br />Sorridendo.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfpSNMhzPw0wmIxIs947r75JvVn4_zv-2Jhyphenhyphen1m0EAs7eB_YNqhc6tRY3asCl1wayu25fEaJqpYOqLTIO04Aw_XyXb-OAgHu4hl96NU7eMH_Y2UXZ_4heM1pLl1Y5UYEMMTsQIgG55oqiA/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjfpSNMhzPw0wmIxIs947r75JvVn4_zv-2Jhyphenhyphen1m0EAs7eB_YNqhc6tRY3asCl1wayu25fEaJqpYOqLTIO04Aw_XyXb-OAgHu4hl96NU7eMH_Y2UXZ_4heM1pLl1Y5UYEMMTsQIgG55oqiA/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183586023519639250" border="0" /></a><br /><br />Giacomo Andrea Bevilacqua<br />Nasce il 22 giugno del 1983.<br />Disegnatore per l'EURA editoriale dal 2006, dopo un numero di "Detecrive Dante", "Trapassat Inc." e storie libere, ora sta lavorando con Bartoli su una nuova serie per "Lanciostory". Character designer e storyboarder per cinema e pubblicità.<br />Scrive e recita testi di cabaret per teatro e tv.<br />Il suo blog lo trovate <a href="http://keisoncomics.blogspot.com/">QUI</a>.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com2tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-27362224631699841192008-03-30T10:16:00.000-07:002008-04-13T13:42:24.905-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2T1inbV0mcN-oIvL3puNRYmEWuS8W6vr24IgbjxH1fxwfpYmm_mPIRiCJzqLD0Ntb8RJiqj2Vl-TCT8e1GlH97o5w6QN_uRVCc_0XRTMXrFgV9kKTnS8Y89jzNg31vA8pvbbOaJ0jgL4/s1600-h/migneco.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj2T1inbV0mcN-oIvL3puNRYmEWuS8W6vr24IgbjxH1fxwfpYmm_mPIRiCJzqLD0Ntb8RJiqj2Vl-TCT8e1GlH97o5w6QN_uRVCc_0XRTMXrFgV9kKTnS8Y89jzNg31vA8pvbbOaJ0jgL4/s400/migneco.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183585164526180002" border="0" /></a><br /><br />Mi infilo i guanti di pelle rossa tirandoli bene fino al gomito, calo sul naso gli occhiali da aviatore, mani sul volante e sono pronto a partire. Il cane, sul sedile del passeggero, mi guarda fiducioso.<br />«Stavolta ce la facciamo» mi dico.<br />Partiamo in ultima posizione, ancora una volta. Riscaldo il motore mentre con lo sguardo la cerco tra le auto più avanti, è già in macchina, quell’idiota di Peter che cerca di corteggiarla in maniera patetica. Per un attimo sembra che mi getti uno sguardo dal suo specchietto retrovisore ma siamo agli angoli opposti della piazzola ed è impossibile stia guardando me. È disgustosamente affascinante come sempre. Cosa non ti farei Penelope, cosa non ti farei... ti immagino ogni sera, nuda sul mio cofano con solo la tua sciarpa e il tuo casco da guidatrice indosso, che mi preghi, mi implori, di prenderti con la forza... ah ma succederà un giorno, vincerò e tu capirai che sono io il più veloce, il migliore, e allora verrai da me... NO! Non UN giorno, OGGI! Succederà oggi lo sento. Non posso fallire questa volta.<br />Mi giro e noto i fratelli Slag deridermi, quei cavernicoli del cazzo, un mistero come facciano ad essere i primi in classifica con quella carretta, un altro torto a cui dovrò rimediare oggi. Al mio fianco la banda di Clyde cerca di provocarmi, mi liscio i baffi e gli regalo un ghigno di sfida, non sono un problema, anche perché gli ho svitato i bulloni di tutte e quattro le ruote. Ho studiato il percorso al centimetro, so dove accelerare, dove spingere e dove trattenermi, so anche dove piazzare le trappole in caso ce ne fosse bisogno.<br />I motori rombano in coro, i piloti sono tutti ai loro posti, comincia il conto alla rovescia.<br />La bandiera a scacchi sventola.<br />Una partenza superba, come al solito. A 130km/h mi porto subito fra le prime posizioni, ho una tenuta maggiore e mi è abbastanza facile lasciarmi indietro quei mostri dei Gruesome ed il sergente, Clyde e la sua banda sono ancora ai blocchi che cercano di aggiustare le ruote. Il nuovo motore V12 che ho montato è una bellezza, i pneumatici 4x4 scorrono perfetti, neanche li sento, sapevo di aver fatto la scelta giusta, per un terreno roccioso del genere sono i migliori. Neanche il prof. Pending, lo scienziato, ha pensato di calibrare gli ammortizzatori per i vari tipi di terreno di questa pista, ho controllato prima della partenza. Idioti, non sono altro che idioti fortunati, senza preparazione, senza conoscenze, con i loro veicoli ridicoli, li vedo arrancare dietro di me, ma non mi illudo, troppe volte li ho visti rimontare e vincere in maniera impossibile a mie spese, ma non oggi, non oggi.<br />Sorpasso Luke e il suo dannato orso, solo un hillbilly del cazzo come lui poteva scegliersi un orso come mascotte, mi bevo come niente Rufus e Red, e mi posiziono quarto.<br />Raggiungo i 180km/h in rettilineo ed entro in terza.<br />Davanti a me quell’idiota di Peter, la sua sei cilindri è veloce ma non è affatto resistente, lo tallono cercando di stancarlo, approfitto del tratto sabbioso per chiuderlo in curva e sorpassarlo, prova a starmi dietro ma non gli reggono le sospensioni, mi allontano mentre perde pezzi dietro di me, addio deficiente, non sei poi così perfetto come credi; ora sono terzo dietro ai fratelli Slag e a Penelope, ho rinforzato il telaio laterale proprio per quest’occasione, metto la quarta e mi affianco ai fratelli Slag, li sperono con decisione e li vedo sbandare fuori strada maledicendomi, quei trogloditi ci metteranno un po’ a rimettersi in gara. Siamo io e te Penelope, il cane abbaia di felicità, ha iniziato a crederci anche lui, sulla mappa vedo che stiamo per aggirare la montagna. Decido di tentare la manovra adesso, tampono l’auto di Penelope abbastanza forte da farle prendere la curva più larga di come dovrebbe, me la rischio accelerando, mi affianco a Penelope e le concedo un testa a testa per qualche minuto, poi metto la quinta e sfreccio via sui dossi, per sicurezza attivo i fumogeni, mi dispiace bellezza, è la gara.<br />Siamo a metà tragitto ed ho la vittoria in pugno, non devo far altro che mantenere la velocità costante, ma un bagliore negli specchietti cattura la mia attenzione, l’auto del prof. Pending è dietro di me. Non avevo previsto una rimonta così veloce, dannazione, sulle carte ho segnato un punto eccellente a pochi metri per piazzare l’esplosivo e levarmelo dalle palle, d’altra parte è ancora lontano, potrebbe non essere una minaccia calcolando che ho dato uno stacco notevole agli altri concorrenti, sono indeciso ma non posso rischiare, no devo essere sicuro, devo essere l’unico al traguardo. Girata la montagna freno, scendo più veloce che posso e piazzo l’esplosivo al centro della pista. Riparto perdendo la metà del vantaggio che avevo previsto, ma accelero comunque più che posso, giusto in caso. Dopo pochi minuti vedo il prof. Pending avvicinarsi alla trappola ma non è solo, Penelope gli sta incollata, poi il sergente e poi gli altri, tra cui riesco a scorgere i maledetti fratelli Slag che già sono riusciti a rimontare. Maledizione, non volevo colpire Penelope ma ormai è fatta, premo il detonatore e la carica esplode, sento un boato dietro di me e vedo l’auto del prof. Pending schizzare in aria fra le fiamme, poi accade l’irreparabile, l’auto di Penelope sbanda, il sergente le va addosso formando una sorta di trampolino per le auto successive che invece di impantanarsi sfruttano l’accelerazione planando e me le ritrovo attaccate al culo. Premo l’acceleratore con violenza, non faccio respirare la macchina un secondo, raggiungo i 230km/h e continuo ad accelerare, ma non riesco a seminarli, quel catorcio di merda dei fratelli Slag ha il vantaggio di essere incredibilmente leggero e non riesco a scappargli.<br />Prendo una buca e il mio cappello vola in aria, il cane mi balza addosso nervoso, gli do un pugno in testa per tenerlo a bada. Il motore perde colpi ma continuo a sforzarlo, non posso cedere ora, ad un passo dalla vittoria. Dovrei cambiare marcia e scalare, ma rischio di rallentare e non posso permettermi di essere superato.<br />Il cane si agita, mi tira la sciarpa, cerca di attirare la mia attenzione «Non ora maledetto idiota!» gli grido. Imbocco la penultima curva a 240km/h, non esco di strada per un pelo ma il semiasse alla fine cede, si spezza e perdo una ruota, cerco di non badarci ma l’auto sbanda, il radiatore borbotta ed inizia ad uscire fumo dal cofano, ma non cedo, con il sudore negli occhi lo vedo, vedo il traguardo, ancora pochi metri e... Un ombra gigantesca ci copre, alzo lo sguardo d’istinto e vedo la carcassa dell’auto del prof. Pending piombare dal cielo e schiantarsi con un boato sulla pista a pochi metri da noi, tiro il freno con tutte le forze che ho in corpo ma è troppo tardi, non c’è abbastanza spazio, giro il volante e sterzo bruscamente cercando di limitare i danni e la cloche mi rimane in mano per quanto tiro. Non urlo, non ne vale la pena.<br />L’impatto con il parabrezza a questa velocità è mostruoso, fortunatamente dall’ultima volta ho rinforzato la tuta con il kevlar, il volo mi appare talmente lungo da sembrare irreale, il mio corpo per inerzia viene sparato a tutta velocità fra mille schegge di vetro, l’aria e i rottami che mi arrivano in faccia, il fumo del radiatore in gola. E per un attimo, sospeso a mezz’aria, le sento: le voci, gli applausi, le ovazioni. Una folla esultante mi porta in trionfo, mi solleva e mi accompagna al podio, dove mi incoronano “il più veloce figlio di puttana della storia”, mi acclamano, mi amano, e Penelope e lì, si fa largo tra la folla, si scioglie i capelli e mi gela con quei suoi occhi azzuri, mi dice «Ti amo Dick. Ti ho sempre amato.» La bacio fra gli applausi della folla. Ho vinto penso, ho vinto.<br />Riprendo conoscenza a bordo pista, immerso nel fango. Mi metto a sedere nonostante i dolori ovunque, faccio un sforzo enorme per apparire in migliori condizioni di quelle in cui sono. Credo di avere un paio di costole rotte, ma non faccio neanche più caso al dolore ormai. La gara è finita, Red Max taglia il traguardo per ultimo. Non ci siamo neanche piazzati. Lo speaker sta leggendo i risultati parziali, i fratelli Slag vincono, all’ultima posizione con zero punti ci siamo noi. Sento la punta d’ironia mentre legge “Mean Machine - ancora zero”<br />Mi volto verso il cane, sta ridendo lo stronzo. Mi alzo in piedi e mi ripulisco come meglio posso.<br />«Andiamo Muttley» gli dico «dobbiamo prepararci per la prossima corsa.»<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDIFVRWttvxkIUcpa2LJ-Mf0spXovGwSxU7mn3ZJPUYequPq-_GF-LG0cAYYLQaIuP2TvJh_WM6S6hXFQUwqDFSNaOG084pqES3kSdVd_ZnWYSvnxbIjIeA7_myWG0EWmgbCBBDe1d-dg/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhDIFVRWttvxkIUcpa2LJ-Mf0spXovGwSxU7mn3ZJPUYequPq-_GF-LG0cAYYLQaIuP2TvJh_WM6S6hXFQUwqDFSNaOG084pqES3kSdVd_ZnWYSvnxbIjIeA7_myWG0EWmgbCBBDe1d-dg/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183585254720493234" border="0" /></a><br /><br />Nato a Roma nel 1986, quando il fumetto raggiungeva uno dei suoi apici con titoli come<br />Frequenta per sei anni la Scuola Romana dei fumetti. Attualmente finge di studiare per la laurea in Disegno Industriale.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-55971609232144452352008-03-30T10:13:00.000-07:002008-04-13T13:43:21.231-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkOc7rMxtOxmaP2ylV6T43pPlVI4pOeOsELwFo4Yptdxe6RnULvzvvGrHS9QavDXVlwwR6PgRIgnt-daBT6RDDGgzEm9ApHD-q5BXdrBNG5aGRqipAJ6BoUn6c9xLAZ6dQUl0vUEzGazg/s1600-h/mussoni.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgkOc7rMxtOxmaP2ylV6T43pPlVI4pOeOsELwFo4Yptdxe6RnULvzvvGrHS9QavDXVlwwR6PgRIgnt-daBT6RDDGgzEm9ApHD-q5BXdrBNG5aGRqipAJ6BoUn6c9xLAZ6dQUl0vUEzGazg/s400/mussoni.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183584365662262914" border="0" /></a><br /><br />« E’ tutto chiaro? »<br />« Chiarissimo. » rispose Kyle Lomax sostenendo per pochi secondi lo sguardo del suo interlocutore. Poi li abbassò verso la piccola scatola di metallo che gli era stata passata poco prima.<br />« Dove lo devi far arrivare? »<br />« Sulla Base Collins sulla Luna. Nell’hangar di carico tre, armadietto di Jonah Prosulic. »<br />« Bene. » L’uomo si avviò verso l’uscita del sobrio appartamento di Kyle Lomax. Arrivato alla porta si voltò e disse: « Non importa come ma deve arrivare lì entro tre giorni. »<br />Kyle lo guardò in volto ma non poté distinguerne i lineamenti a causa del pervertitore di percezione che sfocava ogni dettaglio fisionomico dell’uomo.<br />Kyle annuì più volte, quasi sembrasse tremare, poi l’uomo uscì.<br /><br />Oliver Johns infilò il guanto portafortuna di suo zio Herbert. Un brivido risalì per la sua schiena.<br />Dopo 7 anni un Johns tornava alle corse.<br />« Tuo zio era fatto per le quattro ruote, aveva bisogno di terra sotto il suo motore… » disse un uomo dall’altra parte dello spogliatoio. Era un piccoletto dall’espressione sveglia e dagli occhi di ghiaccio.<br />Si alzò dalla panca su cui era seduto e se ne uscì dalla stanza, racchiuso in una tuta stagna. Prima di entrare nella porta, il piccoletto si congedò da Oliver Johns dicendo: « Vedi di mettercela tutta, non mi piace vincere troppo facilmente… »<br />« Sam, sarò io a vincere. » rispose Oliver ma ormai il piccoletto era ormai uscito.<br />Oliver prese la sua tuta stagna e il casco dal suo armadietto e poi lo richiuse.<br />Mentre stava indossando la tuta, facendo attenzione che non vi fossero lacerazioni o piccoli buchi, l’altoparlante diffuse nella stanza una voce femminile: « I Cinque piloti iscritti alla gara sono pregati di presentarsi entro dieci minuti all’hangar nove. I Cinque pilo…»<br />La voce continuò altre tre volte ad inviare l’avviso e quando aveva ormai completato l’ultima, Oliver era pronto ad uscire dallo spogliatoio dei piloti. Fuori lo attendeva uno dei giudici della gara che lo squadrò da capo a piedi per individuare eventuali irregolarità.<br />« Tutto ok, controllo superato. Procedo ad accompagnarlo all’hangar nove » disse il giudice parlando all’interfono sulla parete del corridoio.<br />Pochi minuti dopo arrivarono all’hangar, un vecchio deposito da sette anni riconvertito a rampa di lancio per la gara. Le cinque navette spaziali iscritte alla gara erano tutte collocate una accanto all’altra, proprio sopra una linea luminosa dal colore rosso. Gli altri piloti, insieme ai propri ingegneri, stavano mettendo a punto gli ultimi dettagli prima della gara. L’unico che si accorse di Oliver fu il piccoletto, Sam Fuller detto Scheggia. Il nome non se lo era meritato per la velocità con cui volava ma a causa dell’oggetto che fu trovato conficcato in occhio ad un suo sfidante. Non fu mai provata la sua colpevolezza ma le dicerie non hanno bisogno di alcuna certificazione. Sam stesso contribuì ad alimentarle, per dimostrare che a dispetto della corporatura non troppo sviluppata, sapeva farsi valere.<br />« Johns, non pensavo avessi tanto fegato di partecipare a questa gara… » urlò Sam facendo in modo che l’entrata di Oliver fosse notata da tutti gli altri gareggianti.<br />Tatiana Oleschuk alzò il viso e inquadrò la figura di Oliver Johns con i suoi occhi azzurro-verdi. Contrasse lievemente il viso, spostò poi una ciocca bionda da davanti al suo viso e infine tornò ad armeggiare nei comandi della sua navetta. Gli altri due piloti Park Hong-Seok e Giovanni Pastrone non si disturbarono neanche a distogliere gli occhi dalle rispettive navette.<br />« Non sarà il fegato a farmi vincere…vedrai! » rispose Oliver con tono di sfida.<br />Sam rise fragorosamente e tornò senza aggiungere altro alla sua navetta.<br />Oliver fece un lungo respiro e avanzò verso la sua navetta: la “Spina nel fianco”. Come tutte le navi ammesse in gara la Spina nel fianco era un residuato bellico della guerra Terra-Luna, appartenente alla flotta lunare. E come tutte e quattro le altre navi era stata trovata abbandonata nello spazio e riadattata per la gara. Ma al contrario delle altre aveva una singolarità: la parte destra della navetta era di un materiale differente dal colore grigiastro.<br />« Signor Johns, ho completato il ciclo diagnostico. Tutto in ordine. » notificò l’ingegnere che aiutava Oliver a mettere a punto la Spina nel fianco. Dev'essere uno nuovo pensò Oliver, non l'ho mai visto.<br />« Tutto il personale è pregato di uscire dall’hangar. Solo i piloti possono restare. » ordinò uno dei giudici attraverso l’interfono.<br />Gli ingegneri e tutte le altre persone rimaste si avviarono verso l’uscita dell’hangar lasciando i piloti soli con le rispettive navi.<br />Sam Fuller si infilò dentro la sua navetta, la Ghigno Nero, e urlò « Possiate vivere e morire da eroi, che da vincitore morirò io! »<br />Era una vecchia frase che Oliver aveva sentito dire nella sua famiglia, soprattutto dallo zio Herbert quando ancora gareggiava sulla terraferma.<br />Tutti i piloti presero posto nelle rispettive navette, sigillandosi dentro e mettendo il casco.<br />Oliver attivò i motori tenendosi pronto a partire.<br />L’hangar, dopo l’uscita del personale, venne depressurizzato e poi aperto.<br />Davanti ai cinque piloti ora si vedeva solo una sola cosa, la loro destinazione, la Luna.<br />« Signori e signore, siamo lieti di presentarvi la gara più emozionante di tutta la storia umana: la Death Race in Space Terra – Luna. I partecipanti partiranno dalla Stazione Gagarin-Shepard per arrivare alla faccia nascosta della luna nella ex base lunare Ziyuan. I piloti come da tradizione sono cinque, da sinistra: Oliver Johns, alla sua prima gara ufficiale, è il nipote di Herbert Johns pluricampione della Death Race su terra e deceduto nella prima Death Race in Space. Guida la Spina nel Fianco. Di seguito Sam Fuller, campione uscente della precedente edizione, guida la Ghigno Nero. Poi abbiamo Tatiana Oleschuk la prima donna nella corsa Terra-Luna, che pilota la Artiglio del Drago. Il quarto pilota è Giovanni Pastrone, noto come Moloch, guida la Tigre di Fuoco. Infine l’ultimo concorrente è Park Hong-Seok, detto Starfighter, esordiente della Death Race, è stato militare pluridecorato della guerra Terra-Luna. La navetta che guida si chiama Fiore della Morte e secondo quanto dice il Park stesso è proprio la navetta che lo servì in guerra. Bene Signori e Signore è ora cominciare la gara! Dunque ecco…diamo inizio alla terza Death Race Terra – Luna! »<br />La linea sotto alle navette in gara che prima era rossa ora si colorò di verde.<br />La gara era iniziata.<br />Quattro delle cinque navi sfrecciarono via dall’hangar in direzione della meta finale, la quinta vibrò un po’ ed esplose lacerando le pareti dell’ex deposito.<br /><br />Alcuni ingegneri rimasti ad osservare la partenza videro la navetta di Giovanni Pastrone scoppiare in mille pezzi, deturpando l’intero hangar. Tra gli ingegneri vi fu uno che si allontanò velocemente dal luogo dell’esplosione ma venne individuato e bloccato da un poderoso uomo della sicurezza.<br />« Kyle Lomax, dove hai nascosto il modulo P-3? »<br />« Io non-non so di cosa stia parlando… » rispose Kyle facendo finta di non sapere nulla ma la guardia della sicurezza lo agguantò per il collo e lo appiattì contro il muro.<br />« Dov’è? »<br />« Nelle navette. » uscì dalla bocca di Kyle insieme ad un rantolo.<br />« Quale ? »<br />« Johns…Oliver Joh- »<br />La stretta dell’uomo si fece intollerabile per la sua gola, e pochi minuti dopo Kyle morì.<br /><br />« Oliver Johns pilota della Spina nel Fianco è ora in quarta posizione…quarta ed ultima ci dicono dalla regia… »<br />Sam Fuller guidava la gara seguito da Tatiana Oleschuk e Park Hong-Seok.<br />« Il primo ostacolo da superare è il cimitero delle navi da guerra, la Nube di Metallo. Una porzione di spazio fitta di relitti che i nostri piloti dovranno superare rallentando il meno possibile! »<br />Sam Fuller sulla sua Ghigno Nero entrò per primo nella Nube di Metallo, schivando i pezzi più grossi ma venendo colpito da una miriade di minuscoli frammenti che danneggiarono l’impianto di raffreddamento del reattore della navetta.<br />« Cinquanta minuti al sovraccarico del nucleo e alla sua esplosione. » lesse Sam Fuller sul monitor laterale della sua navetta.<br />« Forse mi salvo... »<br />La Ghigno Nero schivò altri due relitti di vecchie navi e si incanalò all’interno di un motore del quale rimaneva solo lo scheletro esterno.<br />Park Hong-Seok e Tatiana Oleschuk erano fianco a fianco, a qualche chilometro dalla prima posizione, come due mosche si accavallavano l’uno accanto all’altro. La Artiglio del Drago passò avanti lasciando la Fiore della Morte a qualche metro di distanza. Proprio quello che Park Hong-Seok voleva. Nei suoi anni da pilota di guerra aveva sperimentato migliaia di tecniche per riuscire a portarsi dietro al suo nemico, ora ciò gli veniva servito su un piatto d’argento. Non aveva armi, ovviamente, ma conosceva comunque qualche trucco per distruggere le altre navette senza sparare un colpo, soprattutto all’interno della Nube di Metallo.<br />La Artiglio del Drago accelerò schizzando via tra due grossi rottami che per poco non le staccarono via tutta la calotta superiore della navetta. Dietro, la Fiore della Morte si avvicinava sempre di più al suo obiettivo.<br />Tatiana Oleschuk si infilò in un dedalo di cunicoli creati da un vecchia nave da trasporto truppe. Si riconosceva subito dall’ingente ammontare di cadaveri che vi orbitavano attorno. Ne tagliò in due qualcuno al suo passaggio e proseguì la sua corsa.<br />« E’ troppo vicino. » Tatiana Oleschuk sterzò bruscamente per scrollarsi di dosso il suo inseguitore, ma ottenne solo di avvicinarlo un altro po’.<br />« Eccoti qua…presa! » La Fiore della Morte colpì al fianco sinistro la Artiglio del Drago, che finì per andare incontro ad una fitta nube di viti e bulloni. La navetta di Tatiana Oleschuk, ormai incontrollabile, continuò la sua corsa per schiantarsi contro un ammasso di relitti. L’esplosione che ne seguì costrinse la Fiore della Morte a rallentare per evitare di impattare con alcuni relitti lanciati nella deflagrazione.<br />In quel momento Oliver Johns con la sua Spina nel Fianco uscì da uno degli ammassi di relitti portandosi in seconda posizione, proprio all’uscita dalla Nube di Metallo.<br />« Avanti il prossimo. » Park Hong-Seok ridacchiò mettendosi sulla scia della Spina nel Fianco.<br />« Fantastico! Oliver Johns è passato in seconda posizione! Ma il distacco con Sam Fuller è ancora ampio! Superata la Nube di Metallo ora non ci resta che vedere come si comporteranno nella seconda fase: il Poligono di Tiro! Sono stati approntati 6 satelliti artificiali armati con cannoni laser che spareranno tre raffiche ciascuno al passaggio delle navette! Restate incollati alla gara, ne vedremo delle belle! »<br />La Spina nel Fianco entrò nella zona chiamata il Poligono di Tiro seguito a poca distanza dalla Fiore della Morte di Park Hong-Seok. Il primo dei satelliti lanciò tre scariche di laser una dopo l’altra che Oliver Johns evitò senza problemi facendo anche in modo che fossero viste all’ultimo momento dal suo inseguitore. Park Hong-Seok non si fece colpire da mossa così banale, anzi riuscì ad avvicinarsi tanto da sfiorare la Spina nel Fianco di pochissimo. Riprovò poco dopo a speronare la navetta di Oliver ma dovette virare di colpo a destra per evitare altre tre scariche di laser.<br />La Spina nel Fianco poi rallentò improvvisamente e si affiancò alla Fiore della Morte, lasciando interdetto il suo pilota. Oliver provò a far sbattere la sua navetta contro il fianco di quella di Park Hong-Seok, il quale fece appello alla sua abilità da pilota per evitarlo. Una accanto all’altra, le navette procedettero superando un altro paio di satelliti laser evitandone le emissioni letali. Park Hong-Seok non riusciva a capire quale tattica fosse, e a soprattutto a quale esiti portasse.<br />Oliver dalla sua continuò a tenere impegnato il suo diretto rivale fino all’arrivo nelle vicinanze dell’ultimo satellite laser. Accelerò improvvisamente mettendosi davanti alla Fiore della Morte, in modo da bloccargli la vista del satellite.<br />« Non ha capito che non mi frega cos-... »<br />Oliver schivò i primi due colpi del satellite ma si lasciò colpire dal terzo. Park Hong-Seok vide il terzo colpo rifrangersi sulla parte grigia della Spina del Fianco e dirigersi verso la sua navetta. Fu l’ultima cosa che vide.<br />« Che gara signori, qui non si scherza mica! L’esordiente è rimasto l’ultimo a poter insidiare il campione in carica! Ce la farà? »<br /><br />Sam Fuller rallentò per iniziare a girare attorno alla luna e dirigersi verso la base Ziyuan.<br />Oliver Johns invece accelerò ai limiti della velocità possibile considerata la resistenza strutturale della sua navetta. Arrivò a ridosso della luna ad una velocità tre volte superiore di quella in cui vi arrivò Sam Fuller. Non rallentò e si diresse in direzione opposta a quella intrapresa dal suo ultimo sfidante.<br />« Eccoci ormai agli ultimi momenti della terza edizione della Death Race in Space. Sam Fuller, detto Sheggia è primo e in questo istante è in vista della base Ziyuan, il punto d’arrivo. Oliver Johns è appena entrato nell’orbita della Luna ad una velocità mai vista prima. Potrà raggiungere il suo avversario? »<br />Oliver spense improvvisamente i motori e poi, una frazione di secondo dopo, sterzò la navetta di circa centottanta gradi.<br />« Incredibile! La Spina nel Fianco ha usato una manovra che nessuno aveva osato mai prima! Per raggiungere il suo sfidante non ha rallentato nell’avvicinamento alla luna ma ha proseguito passando accanto ad essa e virando di quasi centottanta gradi dopo aver spento il motore. Ora l’ha riacceso proprio in direzione della base d’arrivo! Questa gara sarà ricordata per molti anni ancora, quale che sia il risultato! »<br />Sam Fuller si accorse della manovra di Oliver tramite il suo radar capendo che ormai non avrebbe potuto raggiungere l’arrivo prima della Spina nel Fianco. Accelerò.<br />Accelerare troppo significava un ulteriore riscaldamento del motore che avrebbe sicuramente accorciato il tempo mancante all’esplosione della sua navetta.<br />« Merda…tre minuti ora. » Sam osservò la scritta lampeggiante sul monitor a lato dei comandi.<br />La Spina nel fianco ora era più vicino della Ghigno Nero alla base Ziyuan.<br />Improvvisamente un raggio laser venne sparato da qualche punto della luna e colpì la navetta di Oliver Johns uccidendone il pilota.<br />« Cosa succede? Signori siamo di fronte ad un gravissimo sabotaggio che invalida la…ci scusiamo per l’errore ma ci segnalano che sia stato solo un fenomeno naturale, non un colpo di laser. Purtroppo dobbiamo interrompere la cronaca della gara per un comunicato urgente, ma vi proporremo poi un registrazione dell'evento. Ora diamo la linea ad un importante comunicato del presidente della Luna e Primo Ministro della Terra. »<br />Sam Fuller si accorse della morte di Oliver quando vide che non stava facendo i canonici aggiustamenti di rotta. Capì che se avesse colpito la base a quella velocità sarebbe stata la morte anche per lui. Esplodendo contro la base avrebbe divelto l’hangar di ormeggio e danneggiato irrimediabilmente la base. Senza la sua navetta e un luogo dove trovare ossigeno non c'erano possibilità di sopravvivenza. Pensò in fretta a come risolvere il problema e l’unica soluzione era speronare la navetta per cambiarne la direzione. Questo comportava un problema: l’impossibilità di lanciarsi in tempo dalla Ghigno Nero. Ma se avesse trovato il modo di fare esplodere la sua navetta non appena si fosse avvicinata alla Spina nel Fianco…<br />« Trovato…vediamo se funziona. »<br />Virò la navetta in modo da prendere una direzione che la portasse ad impattare con la Spina nel Fianco. Sul monitor lampeggiavano due minuti.<br />« Ghigno Nero, spalanca i tuoi denti e ridi un ultima volta… » portò il motore al massimo e poi fece saltare la calotta di vetro sopra sua testa. Infine si eiettò via.<br />I piccoli motori della sedia di pilotaggio a cui ora era attaccato, frenarono parzialmente la spinta che lo lanciava fuori dall’orbita della luna.<br />La Ghigno Nero si avviò velocemente contro la Spina nel Fianco ma esplose troppo presto perché l’altra navetta ne venisse coinvolta. Fortunatamente l’onda d’urto deviò di quel tanto la Spina nel Fianco che si schianto in un punto dove l’unico danno che provocò fu aggiungere un altro cratere alla Luna.<br />Sam Fuller azionò al massimo i motori del sedile per evitare di perdersi nello spazio profondo, ma si spensero dopo pochi minuti di utilizzo.<br />« Chiaro…non potevano funzionare così a lungo… » sottolineò Sam a sé stesso mentre fluttuava lentamente lontano dalla luna.<br />Mentre osservava la base Ziyuan diventare sempre più piccola, si accorse si un piccolo oggetto che stava sfrecciando nella sua direzione. Fermò la sua corsa afferrandolo con la mano sinistra. Fortunatamente non lacerò la tuta. Era un piccolo cubo metallico con un luce lampeggiante rossa su una delle sue facce. Sam si chiese quale fosse il suono di quel lampeggiare e si rese conto che sarebbe potuto morire nel più totale silenzio. Già cominciavano a fischiargli dolorosamente le orecchie. Quando stava pensando a qualche stratagemma per riuscire a tornare sulla luna, vide due navi da guerra accostarsi a lui da due lati differenti.<br />« Sam Fuller, ti dichiariamo in arresto per ordine del Presidente della Luna e Primo ministro della Terra. Consegnaci il modulo P-3. » Una delle due navi si inserì nella radio del suo casco.<br />« Sam Fuller, il libero Governo Terrestre ti da asil…» Anche l’altra nave entro nella comunicazione.<br />Una delle due navi da guerra fece ciò per cui era costruita iniziando a sparare. L’altra non fu da meno.<br />Sam Fuller in mezzo ai due fuochi trovò la soluzione ai suoi problemi. Tirò fuori da un uno scompartimento nascosto del sedile una pistola laser. Si separò dalla sedia cercando di allontanarsi da essa il più possibile ma non troppo. Prese la mira e sparò al sistema di propulsione della sedia che esplose pochi istanti dopo. L’onda d’urto lo spinse verso la luna. Sam non seppe mai se fosse stato sufficiente per essere ricondotto in superficie poiché una delle due navi da guerra esplose scaraventandolo molto più velocemente verso la Luna. Guardò l’orologio della tua che stava lampeggiando furiosamente. Probabilmente qualche infinitesimale pezzo della nave aveva bucato la tuta.<br />« Due minuti d'ossigeno…»<br />Sam continuò a cadere verso la base d’arrivo.<br />« Un minuto…»<br />Lanciò la scatolina di metallo verso un piccolo cratere nelle vicinanze della base.<br />« Trentacinque secondi…»<br />Atterrò poco distante dalla base e iniziò subito a fare lunghi balzi per raggiungerla. Alcuni tecnici stavano monitorando la zona d’impatto della Spina nel Fianco e si accorsero della sua presenza. Sam non li vide neanche e si diresse spedito verso l’entrata dell’hangar.<br />« Sono Sam Fuller, chiedo il permesso di entrare…ho una gara da vincere! »<br />Entrò nell’hangar che era stato lasciato aperto, superò il punto di atterraggio della navetta e si infilò nel compartimento a chiusura stangna. Azionò la chiusura e si accasciò a terra.<br />« Atmosfera in ripristino…attendere…»<br />Sam aveva finito l’aria da almeno un minuto.<br />« Processo completato »<br />Sam Fuller si tolse rapidamente il casco e prese a respirare avidamente.<br />« Sam, sei il tre volte campione della Death Race in Space. » si disse compiaciuto.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfzLP3EcYivq4izIh1hZlju05oWOxXHxNoIRzyqRdY2QtSM6CziBTj1OixcSRX-8a3EDBgT9-WcCkFoGck80zfpChaBLauxFrowRnvnVc84onTPYIHBIiO6jf1QrHuCAhspgNf0IQ6YVw/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfzLP3EcYivq4izIh1hZlju05oWOxXHxNoIRzyqRdY2QtSM6CziBTj1OixcSRX-8a3EDBgT9-WcCkFoGck80zfpChaBLauxFrowRnvnVc84onTPYIHBIiO6jf1QrHuCAhspgNf0IQ6YVw/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183584546050889362" border="0" /></a><br /><br />Luca Mussoni, laureando al Dams Cinema di Bologna e appassionato<br />di fumetti e letteratura di genere. Saltuariamente lavora come<br />montatore e operatore di ripresa per una piccola azienda di Bologna.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-26304489448581107262008-03-30T10:11:00.000-07:002008-04-13T13:44:12.502-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4aXg28fEYNV7QGREMVfBVDOFGlHgCXB1hqFunSs1a3vdgEp5IYzFXjLy97WZhpG0U_jhU7uSwsqytbM_FI_6lSxyr8s-n7boVwiBaZJblYqoAwp2eZCJtoSjVl4CNhw4eFfTDZz79PyY/s1600-h/rizzo.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEj4aXg28fEYNV7QGREMVfBVDOFGlHgCXB1hqFunSs1a3vdgEp5IYzFXjLy97WZhpG0U_jhU7uSwsqytbM_FI_6lSxyr8s-n7boVwiBaZJblYqoAwp2eZCJtoSjVl4CNhw4eFfTDZz79PyY/s400/rizzo.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183583717122201186" border="0" /></a><br /><br />Erano le 19:20.<br />Il vento non le accarezzava i capelli, la schiaffeggiava. Si teneva più stretta che poteva, mi graffiò. Io guardavo avanti, cercavo di tenerla in braccio nonostante l’attrito. Erano passati pochi minuti, e ci trovavamo già a Parigi. Un ristorante tipicamente parigino. La luce di una candela. Ordinammo un buon pinot nero, mentre aspettavamo il primo.<br />“Davide… come è successo?”<br />Sapevo che sarebbe stata questa la prima domanda.<br />“Non ne ho idea.”<br />“Che vuol dire? Cioè, ti sei semplicemente alzato un giorno e ti sei accorto di poter correre più veloce della luce?”<br />Si era accorta che stavo picchiettando con il dito sul tavolo. Non volevo mostrarle tensione, nonostante quanto stessi per dirle.<br />“No, non così. Diciamo che è stata una cosa più graduale. È cominciato una settimana fa. Mi ero alzato – e qua ci siamo – poi avevo cominciato a prepararmi e… mi ero accorto di essere uscito di casa cinque minuti prima del solito. Hai presente il mio appartamento, no?”<br />“Sì, certo”.<br />Mi stupiva che riuscisse a mantenere la calma. Questa non era una cosa paragonabile ai suoi occhi uno-azzurro-uno-blu.<br />“Ecco, mica c’è tanta strada da fare in quel buco. Insomma, fatto sta che sono uscito alle 8:45 anziché alle 9:00 come al solito, pur avendo fatto le solite azioni. Me ne sono accorto quando sono arrivato in ufficio, ed era deserto. Allora ho deciso di prendere un caffè.”<br />“E…? il caffè era radioattivo?”<br />“Non capisci? Era già iniziato. Dunque, mi ero messo in coda per pagare, alla cassa. C’erano solo 4 persone prima di me. Mi sembrava che stesse passando un’eternità tra un cliente e l’altro.”<br />“Ah. Lo stesso motivo per cui sei così nervoso qui al ristorante? Abbiamo ordinato solo 5 minuti fa.”<br />Mi accorsi che avevo ripreso a picchiettare col dito sul tavolo. A super-velocità (o come vogliamo chiamarla) aveva causato un solco sul legno del tavolo, visibile anche dalla tovaglia. Spostai le posate per coprirlo e continuai il mio racconto.<br />“Esatto. Non ero io ad essere veloce. Erano gli altri, tutti gli altri, ad essere terribilmente lenti. Solo adesso, mi rendo conto, di quanto sarò sembrato pazzo!”<br />“Che vuoi dire?”<br />Aveva assunto l’espressione classica di quando si stava preparando a rimproverarmi. Era come se mi stesse imboccando la cazzata che stavo per dire, e sarebbe rimasta delusa se non fosse stata all’altezza delle aspettative del suo rimprovero.<br />“Ho cominciato a urlare, cose tipo ‘c’è gente che deve andare a lavorare!’, ‘non vogliamo mica fare notte’.”<br />Il rimprovero le era rimasto strozzato in bocca. Avevo superato le aspettative.<br />“A parte sentirmi dire ‘povero stronzo’, non era successo niente. Niente di grave.”<br />Nel modo di sistemarsi sulla sedia, aveva fatto cadere il cappotto pesante che si era portata dall’Italia. Fa freddo, in braccio al Davide Express. Prima che toccasse terra, mi alzai, lo raccolsi al volo e lo spostai sull’attaccapanni. Ero tornato al mio posto, e lei non s’era accorta di nulla.<br />“Insomma, la cosa continuò ad aumentare mano a mano che passavano i giorni. In ufficio ho persino ricevuto i complimenti da Strazzini per ‘l’inspiegabile incremento produttivo’.”<br />Adesso avevo cominciato a giocare a sbriciolare il pane. Anna mi guardava ancora seria e impettita.<br />“Sono andato al campetto, venerdì mattina, alle 5. Non c’era nessuno. Avevo intenzione di confermare il mio sospetto…”<br />“Cioè che non era il mondo ad essere diventato più lento, ma che eri tu ad essere diventato tipo quel personaggio dei fumetti, Flash Gordon?”<br />“Flash.”<br />“Uh?”<br />“Flash e basta. Quello che corre con la tuta rossa è Flash. Il biondo del film con Ornella Muti è Flash Gordon”.<br />“Ah. Ecco. A proposito, a parte risparmiare sui viaggi, cosa hai intenzione di fare con questi… ehm. Con questi poteri?”<br />Il sarcasmo della mia ragazza era leggendario. Io sapevo, dopo anni di fidanzamento, che era solo un modo di reagire a quello che non capiva, che le dispiaceva o che la faceva incazzare, fingendosi più forte. Chissà quale delle tre opzioni, in questo caso.<br />“Hai presente ‘più veloce di un proiettile’?”<br />Guardò verso la mano che avevo alzato, e fece attenzione alla benda che mi avvolgeva il palmo. Anche questa volta avrei superato le sue aspettative.<br />“Davide… che cazzo hai fatto?!”<br />“La pistola di mio padre. Non serve a niente essere più veloce di un proiettile se non hai la pelle indistruttibile”.<br />“Ma… sei un idiota! Ti sei praticamente sparato addosso! Perché non provi a gettarti dal quinto piano, a questo punto?”<br />“Un superpotere alla volta.”<br />Chissà cosa avranno pensato i francesi che ci circondavano. Chissà a che pantomima ridicola in una lingua rozza come l’italiano avranno assistito. Anna si portò le mani sulla faccia, stava trattenendo le grida. Ho fatto bene a portarla in un ristorante così a modo. Io mi ero accorto di avere sbriciolato tutta la baguette che era nel cesto. Erano la 19:45. Avevamo ordinato già da 7 minuti.<br /><br />***<br /><br />Sarà stato il vino. Sarà stata l’atmosfera di Parigi. Sarà stato il fascino dei superpoteri. Fatto sta che quando entrammo in albergo, alle 23:40, mi saltò addosso. Giuro sulla mia collezione di dvd che non avevo queste intenzioni. Avevo prenotato l’hotel solo perché ero certo che ci sarebbe stato troppo freddo, di notte, per tornare in Italia… a piedi. Il fatto che avesse tanta voglia, di certo, andava a mio vantaggio. I preliminari durano sempre troppo per un uomo, figurarsi per qualcuno con la mia “pazienza”. In ogni caso cercai di controllarmi. La mano mi faceva un male cane, ma cercavo di non farci caso. Quando finalmente eravamo giunti al punto, persi il controllo. Lei era sempre stata la donna dei miei sogni, e quegli occhi, così rari, così affascinanti, la rendevano ancora più preziosa. Non mi ero accorto del tempo che era trascorso. Ma lei non mancò di farmene accorgere.<br />“Sei già venuto?”<br />“Oh.”<br />“Cioè… sei già venuto? Ma che razza di superpotere hai?”<br />Si alzò dal letto, si rivestì. In fretta, sembrava quasi che le avessi trasmesso parte della mia supervelocità.<br />“Vado a farmi una passeggiata”.<br />“Anna… fuori c’è freddo!”<br />“Dov’è il mio cappotto?”<br />Erano le 23:45.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnN06lAzbEZZiO0Z_O4J55R5DRub79OyGHU_00WDfbAV5JtWnU5T-SvITM-xOW3ApyPc5jXmvI3uLMvMx5lqgZYkCws9pEE3Z0lHU5h5vrPHprk9eDvWcfHN2rAu6Smw1TpLE5GmpvHcE/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgnN06lAzbEZZiO0Z_O4J55R5DRub79OyGHU_00WDfbAV5JtWnU5T-SvITM-xOW3ApyPc5jXmvI3uLMvMx5lqgZYkCws9pEE3Z0lHU5h5vrPHprk9eDvWcfHN2rAu6Smw1TpLE5GmpvHcE/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183583841676252786" border="0" /></a><br /><br />Marco Rizzo non è un deputato dei comunisti italiani. Fa parte di un'altra casta, quella dei giornalisti, e scrive fumetti e di fumetti. Le sue due ultime produzioni fumettistiche sono "Ilaria Alpi - Il prezzo della Verità" e "Debbie Dillinger: una ballata d'amore e morte". E' co-direttore artistico dell'innovativa rivista antologica Mono edita da Tunuè e ha fondato il sito <a href="www.comicus.it">Comicus</a>, cosa che ancora non lo fa dormire la notte.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com3tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-91709998029250027012008-03-30T10:08:00.000-07:002008-04-13T13:45:13.767-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIY75SNZWWK3IXr0HLTQOY3rbjAzfrb0Gew6-XfjAbOexvNvYRuFxDBOA8VljbxAMyd0nc_bO39aks7cV-wBy4SHbhr4N18oDytlSDly5J6du1W_CHcLeFL_C9XaWT1Uf-thihn-ZifhU/s1600-h/bussola.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhIY75SNZWWK3IXr0HLTQOY3rbjAzfrb0Gew6-XfjAbOexvNvYRuFxDBOA8VljbxAMyd0nc_bO39aks7cV-wBy4SHbhr4N18oDytlSDly5J6du1W_CHcLeFL_C9XaWT1Uf-thihn-ZifhU/s400/bussola.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183583107236845122" border="0" /></a><br /><br />“Devi arrivare primo”.<br />I padri dovrebbero dirti cose tipo “fai del tuo meglio” oppure “metticela tutta”, pensa Antonio.<br />Suo padre no. Suo padre è uno della vecchia scuola. Quella che solo i primi esistono, che vali solo se respiri il profumo della vittoria. Tutto il resto non conta, niente.<br />“Arriva primo, mi raccomando Antonio” gli ripete.<br />“Va bene” è la sola risposta possibile. “Va bene papà. Primo, promesso.”<br />I concorrenti sono tanti, ma non vuol dire nulla. Tanti non vuol dire veloci. Significa solo più avversari da battere.<br />A vederlo, non gli daresti due lire. Piccolo, le gambe magre e storte, Antonio dimostra molto meno dei suoi undici anni.<br />A vederlo in fianco agli altri bambini sembra un cucciolo tra i grandi.<br />Ma Antonio conosce il percorso a memoria, se lo è studiato centimetro per centimetro, ha passato tutta l’estate ad allenarsi solo per arrivare, primo. E sa che quel che conta non è la stazza né le gambe, ma i polmoni e il ritmo.<br />La corsa campestre comincia, il gruppo parte in una nube di polvere che neanche un branco di bufali.<br />La gara dura tre giri.<br />Che sembrano infiniti ai partecipanti e rapidissimi ai genitori che assistono.<br /><br />All’arrivo, il padre di Antonio è l’unico che non ha guardato la corsa perché leggeva il giornale in macchina. Vede arrivare il figlio tutto sporco e sudato che si avvicina all’auto piangendo. Solo allora piega il giornale, lo posa sul sedile del passeggero e scende. Guarda il figlio in lacrime, gli passa una mano sui capelli bagnati e gli dice una cosa da padre.<br />“Hai fatto del tuo meglio?”<br />“Sì papà…te lo giuro! Ma…sono riuscito ad arrivare solo terzo…non sono stato abbastanza veloce! Scusa!” Le lacrime si impastano alle parole come gli alberi a una valanga.<br />Il padre indica avanti a sé.<br />“Non piangere. Guarda Corrado. Cos’è arrivato, Corrado?”<br />“Primo, papà. Corrado è forte, è sempre stato forte!”<br />“E l’anno scorso?”<br />“…sempre primo papà, Corrado è il più veloce di tutti! Non riuscirò mai a batterlo!” singhiozza.<br />Il padre fa una pausa che sembra durare in eterno, poi lo guarda serio negli occhi.<br />“Tu che cosa sei arrivato, l’anno scorso?”<br />“Tredicesimo”.<br />“Allora sei stato più veloce di lui. Basta piangere.”<br />Il padre lo prende per mano e risalgono in macchina e Antonio capisce all’improvviso che la velocità è una cosa relativa come tutto, nella vita.<br />“Adesso ce lo prendiamo un gelato, papà?” fa il bambino guardando fuori dal finestrino.<br />“No” gli risponde l’uomo “sei arrivato solo terzo, vedremo l’anno prossimo”.<br /><br />Antonio non capisce subito ma poi pensa che non gli importa.<br />Ha appena scoperto che la velocità è relativa ma la vittoria no e la differenza, certe volte, sta solo in un gelato.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEge6dQSVeS9Isj2TY0Ql5D4U2lhNkm35IYKuPcy6XQPugCchAjVwcWfI1jn4h7lBxlE1RwERnq64K717oS_IPmal0LG-9DvT62rNHJ2BKZCBF_fjO64MjJYe6VTREf9EHo2eRWxAlJDDac/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEge6dQSVeS9Isj2TY0Ql5D4U2lhNkm35IYKuPcy6XQPugCchAjVwcWfI1jn4h7lBxlE1RwERnq64K717oS_IPmal0LG-9DvT62rNHJ2BKZCBF_fjO64MjJYe6VTREf9EHo2eRWxAlJDDac/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183583253265733202" border="0" /></a><br /><br />Architetto, lavora nel settore per qualche anno ma la passione per le nuvole disegnate prende presto il sopravvento.<br />Esordisce illustrando il n°23 di "Detective Dante" per l'Eura Editoriale, su testi di Roberto Recchioni.<br />E' attualmente al lavoro sul n°1 di una nuova serie mensile sempre per l'Eura.<br />Oltre a disegnare, ama scrivere soggetti e racconti che talvolta vedono la luce sul suo blogWriters Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-65477670557708947572008-03-30T10:05:00.000-07:002008-03-30T10:07:25.820-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBwkqQcUuCJL-EqFXmSiyZGBf10n92LB6-jwuB1B029GlTW3o1RTQ-8YnqEIUxGARtM0-FZJK_1diyoI4EELIYVpiJWx5yeISEwAa9n4WgRkbh_v2FDCbVcc276z57jwuhMEQMAF4eKxc/s1600-h/mura.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEiBwkqQcUuCJL-EqFXmSiyZGBf10n92LB6-jwuB1B029GlTW3o1RTQ-8YnqEIUxGARtM0-FZJK_1diyoI4EELIYVpiJWx5yeISEwAa9n4WgRkbh_v2FDCbVcc276z57jwuhMEQMAF4eKxc/s400/mura.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183582248243385890" border="0" /></a><br /><br />1.<br />La vibrazione ritmica e familiare della Fairlane lo cullava con amore, come la voce della propria mamma.<br />Intorno i rumori erano un miscuglio di risate, insulti, rutti e bottiglie di birra frantumate sulle rocce.<br />Girò la faccia alla sua sinistra, verso la macchina di Mike Bruno, ma non lo vide, troppo buio.<br />Sgasò compulsivamente, pronto per la sua gara.<br />Robin “Rob” Lewis adorava correre, e l’avrebbe fatto in eterno, se fosse stato possibile.<br />La camicetta di Sue Martin aderì in modo delizioso ai suoi seni quando alzò le braccia alla luna, nel centro della strada polverosa che dal Nash Creek portavano al Salto.<br />Cinque secondi dopo erano giù, interrompendo lo spettacolo delle sue forme e facendo iniziare quello più atteso tra Rob e Mike.<br />Una nube di polvere e terra oscurò la luna piena, avvolgendo le due macchine ormai lanciate nella corsa e la ventina di ragazzi che dai bordi della strada si gettarono al centro come diavoli, urlando i nomi dei due sfidanti.<br />L’unico rumore che ora Rob sentiva era il motore che girava a pieno ritmo e lo scalare delle marce. Le sole cose che gli importavano in quel momento erano il canto meccanico della sua Fairlane e vincere la sfida contro quel figlio d’un cane di Mike Bruno.<br />Possibilmente arrivando vivo fino al Salto.<br />La prima curva si trovava oltre uno spuntone di roccia rossiccia che dal crinale alberato si affacciava nudo come un verme sulla strada, come un enorme brufolo sul sedere della collina. Niente di preoccupante per i due, Rob tenne saldamente lo sterzo facendo sgommare la macchina sul terreno arido e dando di nuovo gas una volta uscito dal tornante. Mike Bruno se la cavò egregiamente, rimanendo attaccato al fianco di Rob come una zecca su un cane.<br />Girò lo sguardo verso il suo avversario ma non vide nulla, sembrava che la notte fosse entrata nella macchina di Mike. I vetri erano neri come ossidiana e per una frazione di secondo a Rob sembrò di vederla diventare traslucida.<br />Una buca presa in pieno lo fece ritornare alla realtà, giusto in tempo per la curva a gomito che poi portava sul fianco della collina, in una specie di corridoio fatto di pini e lecci. La Fairlane venne quasi toccata dall’auto di Mike, pochi millimetri e fra le due fiancate sarebbero state scintille. Buona parte dei 500 dollari che Rob aveva scommesso nella gara sarebbero volati via in riparazioni e qualcuno avrebbe dovuto staccarlo dalla gola di Mike.<br />Non era certo la prima gara che Rob faceva, ma era la prima volta che correva la strada del Salto. La cifra valeva il rischio, si disse, anche se più di uno ci aveva lasciato la pelle in vent’anni. Per quanto Rob amasse spingere al massimo la propria Fairlane e rompere il culo a tutti quelli che lo sfidavano, l’idea di volare in un burrone di 80 metri decisamente non lo metteva a suo agio.<br />D’altronde le regole erano semplici: chi si ferma per ultimo vince.<br />Ed erano 500 dollari. Abbastanza per passare un buon inverno e iniziare alla grande il ’58.<br />Il corridoio alberato aveva reso la notte nera e liquida come il petrolio, Rob aveva guadagnato circa tre metri all’uscita della curva, i fari puntavano in un nulla polveroso fatto di forme scure che anche la luce faceva fatica a scoprire (e una voce dentro disse a Rob che forse era meglio non le scoprisse).<br />Diede gas approfittando della strada diritta, cercando di rubare ogni singolo centimetro rispetto al suo avversario. Gettò uno sguardo nervoso agli specchietti retrovisori, le luci dell’auto di Mike brillavano come quelle dei lupi di notte, e come i lupi si avvicinava pericolosamente. Imprecò a denti stretti qualcosa sulla madre.<br />La luna riapparve come un fantasma disperato all’orizzonte, sembrava che nonostante le dimensioni la sua luce servisse a poco in quelle tenebre. La strada si allargò, diventando meno dissestata rispetto a prima, i fari illuminarono per un paio di secondi un cartellone pubblicitario sulla destra: una donna sorridente, con uno strano taglio si capelli, stava seduta d’avanti ad una specie di televisore, mentre un enorme dito quadrettato puntava qualcosa. Troppo veloce. L’attenzione di Rob fu immediatamente presa dal fatto che Mike aveva guadagnato terreno, e sarebbe stata questione di secondi prima che avvenisse il sorpasso.<br />L’auto dai vetri di ossidiana sembrava avesse una bomba atomica nel motore e un riverbero ne attraversò l’intera superficie, velocemente, seguito da quello strano effetto traslucido, come se qualcuno per un secondo l’avesse cancellata dalla realtà.<br />Rob aveva il piede un tutt’uno con l’acceleratore, era a tavoletta e intendeva restarci fino a quando non avesse recuperato lo svantaggio. Chiunque li avesse visti passare in quel momento avrebbe visto due macchie indistinte scorrergli d’avanti agli occhi, come allucinazioni che puzzavano di gasolio e fango secco.<br />L’ultima curva girava a sinistra, abbastanza ampia da lasciare andare le auto in controsterzo. Mike Bruno fece l’errore di allargarsi troppo e Rob conquistò l’interno, portandosi alla pari con il suo avversario e pronto per lanciare la sua Fairlane nell’ultimo kilometro che li separava dal Salto.<br />Sentì lo stomaco contrarsi, come quando si doveva lanciare dall’aereo, una quindicina di anni prima, per cadere in qualche merdosa campagna francese.<br />Cinquecento dollari, pensò. Miei.<br />E la Fairlane alzava polvere alle sue spalle come una mandria di cavalli impazziti.<br />Per un istante si sentì l’uomo più solo dell’universo, e l’universo era racchiuso tutto nel suo abitacolo. Pianeti, stelle, galassie e altri corpi celesti di cui non conosceva nemmeno l’esistenza iniziarono a girare attorno a lui. Se quella sensazione fosse durata un secondo di più avrebbe frenato di colpo e si sarebbe messo a piangere come un bambino.<br />Cinquecento dollari, pensò. Cinquecento metri.<br />Diede del bastardo a Mike Bruno, e il solo fatto che non si staccasse dal suo fianco era un buon motivo.<br />Avrebbe mollato prima quell’italiano del cazzo, si disse. Sì, avrebbe frenato, quel codardo. Non aveva il fegato di andare fino in fondo, lui e i suoi stramaledetti capelli impomatati.<br />Ma non frenò. Duecento metri e le due macchine viaggiavano attaccate fianco a fianco, come gemelli siamesi fatti di lamiera.<br />Di nuovo quel riflesso, una carezza di luna sulla carrozzeria. Ma non era la luna. Di nuovo il metallo divenne traslucido. Rob allargò le narici, respirando nervosamente e stringendo le mascelle. Le mani sudavano a contatto con il volante. Sentì una stella nascere e morire nel suo personale universo che si portava nell’abitacolo.<br />Poi udì lo stridore secco e tagliente che dalla sua sinistra passava alle sue spalle.<br />Rob si girò di scatto, vide la macchina del suo avversario ferma in una nube soffice di polvere.<br />Mike Bruno aveva frenato. Rise e urlò. Si girò di nuovo per controllare che fosse vero e che non avesse ripreso la gara, ma la macchina di Mike brillava. Brillava e diventava traslucida, finché non divenne parte della notte.<br />Rob schiacciò il freno, in preda ad un terrore di cui non conosceva l’origine.<br />La Fairlane non obbedì e continuò la sua corsa, alzando polvere e riducendo a poche decine di metri la distanza con il Salto.<br />Un’ insegna di legno scuro, attaccata con delle catenelle ad un palo a L comparve alla luce dei fari, la scritta era dipinta in bianco, a mano: “Robin’s Drop”. Qualcosa si ruppe nel cervello di Rob.<br />L’auto volò oltre, trascinando con sé terra, pietrisco, polvere, piante secche.<br />Nel suo abitacolo l’universo si contrasse fino a diventare un puntino densissimo.<br />Un riflesso avvolse la carrozzeria e l’auto di Rob divenne traslucida, finché non fu parte della notte.<br /><br />2.<br />La vibrazione ritmica e familiare della Fairlane lo cullava con amore, come la voce della propria mamma.<br />Intorno i rumori erano un miscuglio di risate, insulti, rutti e bottiglie di birra frantumate sulle rocce.<br />Girò la faccia alla sua sinistra, verso la macchina di Mike Bruno, ma non lo vide, troppo buio.<br />Sgasò compulsivamente, pronto per la sua gara.<br />Robin “Rob” Lewis adorava correre, e l’avrebbe fatto in eterno, se fosse stato possibile.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfdqmF4-nMx2ineTFDrPDe5_u6dg2tZ5TloQlN5F-vDVWn1GXOVQQdgs7pXmDOw1CHr1SienduEdzGPUB04_MeH9CmBvAkVh3d0YfVuxFxGuAoCJcEaYYxQmbIVY1vq1TC_9Sk9T86ibM/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhfdqmF4-nMx2ineTFDrPDe5_u6dg2tZ5TloQlN5F-vDVWn1GXOVQQdgs7pXmDOw1CHr1SienduEdzGPUB04_MeH9CmBvAkVh3d0YfVuxFxGuAoCJcEaYYxQmbIVY1vq1TC_9Sk9T86ibM/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183582342732666418" border="0" /></a><br /><br />Mauro Mura, nato ad Alghero 35 anni fa, lavora come grafico pubblicitario ed editoriale da diversi anni. Disegnatore, ha avuto qualche collaborazione come colorista per alcune webzine e pubblicazioni.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com0tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-43379317789144726982008-03-30T10:00:00.001-07:002008-03-30T10:04:21.830-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqWUzauF49pu7pxCntYuFMtea9vIZVrI-FT6Gjf1Ze7uwFwnL5-JLHMd_5LhwGFqmmj8bVArRhvngDcrq4OCtYnHGuA2z6yV2VH-dRF5ua4EYVjza0oV4Ml1opN9TXDK9QZ4qaNBjwz4g/s1600-h/panarello.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjqWUzauF49pu7pxCntYuFMtea9vIZVrI-FT6Gjf1Ze7uwFwnL5-JLHMd_5LhwGFqmmj8bVArRhvngDcrq4OCtYnHGuA2z6yV2VH-dRF5ua4EYVjza0oV4Ml1opN9TXDK9QZ4qaNBjwz4g/s400/panarello.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183580714940061186" border="0" /></a><br /><br />Jill e Joe si lanciano sul letto.<br />Jill spinge Joe e gli ordina di chiudere la porta.<br />Joe obbedisce, ma prima appende il cartello “non disturbare” alla maniglia.<br />Jill gli sorride.<br />Joe si tuffa sopra di lei.<br />Jill e Joe si baciano, lingua contro lingua.<br />La manica della giacca di Joe si impiglia all’orecchino di Jill.<br />Jill chiede a Joe il suo nome.<br />Joe, dice lui. E tu?<br />Jill, dice Jill.<br />Jill e Joe si baciano.<br />Joe riempie la sua mano con il seno di Jill.<br />Jill stringe la giacca di velluto di Joe, quasi si spezza le unghie.<br />Jill e Joe si spogliano.<br />Jill lancia i suoi indumenti in aria.<br />Il reggiseno rosso di Jill si ferma sopra l’abat-jour accanto al letto.<br />La maglietta nera di Joe è l’unica cosa che Joe indossa.<br />Jill sfila via la maglietta al suo amante.<br />Joe si inginocchia sul letto per sfilare le mutande bianche di Jill.<br />Jill si contorce ed emette gridolini divertiti.<br />Jill e Joe non vogliono più aspettare.<br />Joe guida il suo pene verso il centro del corpo di Jill.<br />Jill si prepara ad accogliere Joe.<br />Ogni volta che cambia amante la vagina di Jill si modella su forme diverse.<br />Joe entra dentro Jill.<br />Jill e Joe sospirano.<br />Joe colpisce Jill con un colpo di reni.<br />Jill stringe la testiera del letto con le mani.<br />Joe penetra Jill la seconda volta.<br />Jill lo blocca circondandolo con le gambe.<br />Joe geme e viene dentro Jill.<br />Jill spinge via Joe con un calcio.<br />E’ uno scherzo? Chiede Jill.<br />Joe abbassa gli occhi.<br />Jill ride isterica.<br />Joe raccoglie i suoi boxer, li indossa.<br />Joe vorrebbe piangere e scappare. O meglio prima scappare e poi piangere.<br />Jill si riveste.<br />Jill è nervosa.<br />Jill disprezza ad alta voce Joe.<br />Jill dice che Joe non è degno di farsi chiamare uomo.<br />Jill dice che Joe è impotente.<br />Jill dice che Joe non sa far godere una donna.<br />Jill dice a Joe di andarsene.<br />Joe rimane in silenzio.<br />Joe si chiede cosa possa essergli successo.<br />Joe non ha mai fallito a questo modo.<br />Joe vorrebbe impiccarsi per le palle, a testa in giù.<br />Jill rimane stesa sul letto.<br />Jill rifiuta di guardare Joe.<br />Jill ritorna con la mente a qualche ora addietro, quando al bar aveva incontrato Joe per la prima volta e lui le aveva detto “Ehi, tesoro, tengo ‘na minchia tanta”.<br />Jill aveva riso.<br />Jill aveva creduto a Joe.<br />Jill aveva desiderato Joe.<br />Joe aveva fatto in modo che Jill lo desiderasse.<br />Jill aveva trascinato Joe in albergo.<br />Jill ama scopare in alberghi asettici senza foto incorniciate sparse in giro per la stanza, senza tazze da caffè con il suo nome stampato sopra, senza storie antiche rimaste ferme nell’aria.<br />Joe ha rovinato la serata a Jill.<br />Jill ha distrutto l’autostima di Joe.<br />Le luci blu della città entrano nella stanza.<br />Jill fa finta di dormire.<br />Joe lascia la stanza.<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaj9kxSSkXf28wHDOoOb-J7tEbbp4p0hsLKT_rGkwWCm_180GPVq7e8m-HPFd-hG_WG3fEwp-KoKxiI38InpDF0PYbK0Fc8312B2LM-LM9ETQ3cNbsF7nRjubJKrphoTt7C_rpV3nYwnw/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEhaj9kxSSkXf28wHDOoOb-J7tEbbp4p0hsLKT_rGkwWCm_180GPVq7e8m-HPFd-hG_WG3fEwp-KoKxiI38InpDF0PYbK0Fc8312B2LM-LM9ETQ3cNbsF7nRjubJKrphoTt7C_rpV3nYwnw/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183581535278814738" border="0" /></a><br /><br /><br />1.50cm l’altezza<br />35 il numero di scarpa<br />3 i libri pubblicati<br />2 gatte<br />1 compagno<br />100 i colpi famosi<br />20 le sigarette giornaliereWriters Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com11tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-75803645473979865132008-03-30T09:55:00.000-07:002008-04-14T04:18:44.255-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbGBpsM3_Ufa0uDVmMmcBUAlOpSdWe29He9v72ry-LX0UtfaX3onvrnIwJVYEsnqrbZag5pP6uEMFzkizprGLWfvPYgpa-BjYq8t0RHsJO5WU-7XwK-zF6GT2NLQPQqGFSsUzZWN-B5SU/s1600-h/Giarruso.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEjbGBpsM3_Ufa0uDVmMmcBUAlOpSdWe29He9v72ry-LX0UtfaX3onvrnIwJVYEsnqrbZag5pP6uEMFzkizprGLWfvPYgpa-BjYq8t0RHsJO5WU-7XwK-zF6GT2NLQPQqGFSsUzZWN-B5SU/s400/Giarruso.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183579950435882466" border="0" /></a><br /><br />Qui è Jill Grey corrispondente di strada per la BBC. Siamo in diretta dalla National Bank di N.Y. dove si sta svolgendo un feroce scontro a fuoco tra le forze di polizia ed una banda di rapinatori. Come potete vedere, i malviventi sono in quattro. Tre armati, attorno ad un’auto verde con a bordo il quarto uomo. Per il momento non riescono a darsi alla fuga…<br /><br />“Auto verde…idiota. Quella è una Mustang GT390 Dark Highland Green…il bastardo deve essere un discepolo di Steve McQueen. Odio i figli di puttana esaltati.”<br /><br />È stato ferito! Un poliziotto è stato ferito ad una gamba ed ora i compagni cercano di prestare soccorso. Cercheremo di avvicinarci per avere un quadro più dettagliato…<br /><br />“So cosa farai. Appena i tuoi compari saranno a bordo sentirai la spinta dell’adrenalina farti esplodere gli occhi dalle orbite. Impugnerai deciso la leva del cambio ed una volta ingranata la prima scaricherai a terra tutti i tuoi cavalli. Affamati di asfalto, schiumosi di rabbia ti schianteranno al sedile. Un pò ti ammiro, queste mammolette americane di oggi non sanno nemmeno cosa sia un cambio manuale. Ma non preoccuparti…sarò più veloce di te, puoi giurarci.”<br /><br />Uno dei rapinatori ha aperto il bagagliaio e sta cercando di infilarci i borsoni con il denaro. Un momento!!! Uno di loro è stato colpito al torace, sembra una brutta ferita…<br /><br />“Meno uno…ma tu sei lì, fermo. Sei il driver ed hai abbastanza palle da non schizzare alla cieca. Mi piace questo gioco. Ha il sapore del metallo e lamiere e gomma. Una sfida a chi è più veloce. Premi l’acceleratore, io sono qui.”<br /><br />Un altro! Un altro rapinatore è stato raggiunto dai proiettili. Sembra che sia morto. A questo punto pare che per gli altri non ci sia più via di fuga…<br /><br />“Meno due…adesso che farai? L’ultimo rimasto salirà a bordo ed il contagiri ti frantumerà il cuore. Sfreccerai attraverso il blocco, sei bravo, lo so. Non sarà facile, dovrò raggiungerti prima di quella curva a elle. Ci arriverai con lo stomaco in gola, scalerai la marcia e spingerai a fondo l’acceleratore, sterzando energicamente. Imboccherai la curva in derapata rischiando il testacoda. Ma alla seconda no, lì avrai tutto sotto controllo ed il culo di quella Mustang girerà nervoso nel fischiare delle gomme. No, devo raggiungerti prima. Tu sei abile, ma io sono veloce.”<br /><br />Ci siamo…l’ultimo uomo sta per salire in auto. È un momento di estrema tensione…<br /><br />“Sei un romantico, uno spirito libero…con quell’auto tra le mani non puoi ingannarmi. Preferiresti un colpo in fronte piuttosto che spegnere il motore dietro le sbarre. È per questo che non ti fermerai. Anche fuori città, su quelle lunghe strade deserte. Sentirai il vento nei capelli renderti leggero e darai gas. Veloce, sempre di più. Gli occhi fermi sul contagiri: il vero pilota se ne fotte del tachimetro, sono i giri del motore quelli che senti nelle budella. Non un sorriso, non una parola, solo tu e l’asfalto veloce. Non è per soldi, vero? È per lei, l’unica che ti fa sentire vivo: la velocità. Quasi mi dispiace sapere che ti prenderò prima di quanto pensi.”<br /><br />È salito! L’auto parte lasciando del fumo alle spalle. La polizia continua a sparare, ma senza riuscire a fermarli, nel caso dovessero allontanarsi, non preoccupatevi, una nostra troupe è pronta a bordo di un elicottero…<br /><br />“Ci siamo, è il momento per cui sono nato, solo tu ed io.<br />Energia cinetica esplosiva. 800 metri al secondo di pura velocità mi catapultano lungo un freddo ed oscuro corridoio. Dovresti provarlo, è inebriante…<br />-sensazione di onnipotenza rotazione attorno al mio asse entro come un trapano sto arrivando arma da punta in rotazione attraverso i tuoi tessuti sto arrivando organi caldi umidi vivi scoppiano sotto la mia forza d’urto-<br />Pausa…”<br /><br />La corsa dei rapinatori è terminata, un proiettile sparato da un tiratore scelto ha colpito in pieno cuore il driver mandando l’auto contro un muro…è finita.<br /><br />“Finita…anche per me. Breve, intenso, veloce…questa è la mia vita, applicare l’unica legge che so: l’uomo lento è un uomo morto.”<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJe1YVnYJ6Q26odZuEKQsKRH5johzmsHgmoTWkMOPA-vydCUXM_ersQ_Fs2FP0-XhlEp7eUpMl4CFLnbCRo1FNg2JuliJubW5wlLQBJJlosBzB-X9fKROUvPpYPYKKKCvpRLbLGyEAWIE/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgJe1YVnYJ6Q26odZuEKQsKRH5johzmsHgmoTWkMOPA-vydCUXM_ersQ_Fs2FP0-XhlEp7eUpMl4CFLnbCRo1FNg2JuliJubW5wlLQBJJlosBzB-X9fKROUvPpYPYKKKCvpRLbLGyEAWIE/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183580100759737842" border="0" /></a><br /><br />Gabriele Giarrusso, classe 1980. Occupazione principale: studente di psicologia. È noto alla comunità dei bloggers come “Il Gabbrio”. Si lega al mondo del fumetto in tenera età, subito dopo aver imparato a leggere. Dal 1996 studia intensamente musica e legge fumetti fino a quando decide, nel 2007, di frequentare il corso di sceneggiatura per fumetto presso la Scuola Internazionale di Comics di Roma sotto la guida del grande Lorenzo Bartoli. Termina il corso con lode e si butta nel mondo cercando di farsi notare. Attualmente scrive per la CagliostroE-press e rimane un personaggio i cerca di editore. Info personali: con la sua donna, un basso elettrico, una sigaretta, un bel fumetto, la Ps2 ed il suo Macbook è un uomo felice. Se al mare vedete un tizio con un enorme tatuaggio di Batman e Dylan Dog disegnato da Riccardo Torti e Giacomo Bevilacqua, è Il Gabbrio.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com4tag:blogger.com,1999:blog-3806051089070466387.post-28667104861986787922008-03-30T09:50:00.000-07:002008-03-30T09:52:59.834-07:00<a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzpCLWlJvkpozX-dzX3zPHOsBxlJ5lJoOeWRv8Skr1WSihp1l-REEBWE-wrTSjL3XLWF3EhpNIuP2HjQxfZ6-bveeYiVCrdMHs2frYQasea9eQuTYYPLwkKxWj2ELjQxQcjKaHR1qiyjI/s1600-h/bottero.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEgzpCLWlJvkpozX-dzX3zPHOsBxlJ5lJoOeWRv8Skr1WSihp1l-REEBWE-wrTSjL3XLWF3EhpNIuP2HjQxfZ6-bveeYiVCrdMHs2frYQasea9eQuTYYPLwkKxWj2ELjQxQcjKaHR1qiyjI/s400/bottero.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183578357003015618" border="0" /></a><br /><br />“Èbellissimo.Nontrovianchetucheesprimadavverolasofferenzanellasuaformapiùpura?”<br /><br />Chi era? Un fischio. No. Un sibilo. Cazzo. Ero in para nera. E ora…. Che schifo. Ma dove sono….merda. Ero affrutato fradicio. Una lama in mezzo ai cassonetti. Ma dioooooooooooo. Ora sto meglio. Solo…mi sembra di aver sentito boh…come sì uno che parlava. E quasi ho visto… ma no. Ci deve aver messo qualcosa<br /><br /><br />Notte. Sguitto spaccia. Mi avvicino per capirci qualcosa, ancora su di giri, e pronto a pettinargli i denti con le chiavi se mi ha dato merda bianca.<br /><br />“Sguitto…!”<br />“Che vuoi, spadino?”<br /> Lo prendo per il braccio e lo sposto dove c’è più buio. Non gli piace.<br />“Sicuro che fosse sana?”<br />“No. Era cemento a presa rapida e ti sei intostato le vene. Ma sei così scemo solo con me o anche con il genere umano? Ti pare che giro roba a schifo? Clienti morti, niente pascolo per me.”<br />Gli stringo il braccio. Mi sento stranamente….intenso.<br /><br />“Capito. Resta il fatto che è successo qualcosa che non mi trifola. E volevo scartare il tuo nome dalla lista….”<br />“Senti. È roba nuova. Diretta dal laboratorio. Me l’ha data Lothar, alla Cisterna.”<br /><br />Lothar è un nigeriano. Tipo Mazinga, ma senza stivaloni. Non deve mai essere cattivo. Se vuole persuadere tira fuori un dito imbalsamato e con l’unghia ci si pulisce i denti. Poi dice “prima o poi devo cambiarlo.” E tu speri che il poi sia moooooooolto poi. Assolutamente duemila poi dopo che te ne sei andato. Lothar lavora per uno della Siberia, o Cecerbia. O Comecazzonia, uno di quei paesi assurdi che non esistono e si inventano i giornali. Questo capo non esiste. O meglio non esiste per noi. Esiste Lothar. Lui dirige il laboratorio….<br /><br />“Hainotatochequestoapparentementedimostraqualcosadistrano?<br /><br />Eh? Cosa? Cos’era quel….<br /><br />“Scusi, si sente bene?”<br />Ohcazzo…quando riprendi la connessione con la real life e ti ritrovi scamosciato su un muro come se cercassi di palparlo tutto qualcosa non va.<br />Mi rialzo<br />“Sì, grazie….la pressione…bassa, sì… pressione bassa. Ecco”<br /><br />Mi allontano, evitando lo sguardo alla “ho trovato l’ultimo degli ultracorpi” che mi sta rivolgendo il tizio.<br /><br />Allora… ricapitoliamo…ero in para...mi rimetto in carreggiata con una dose da sussidio vitale , e di botto mi ritrovo a sentire cose …strane. Cose …VELOCI! E a vedere cose strane….Sguitto dice che non l’ha tagliata. Ossia non è che l’ha detto, ma l’ho capito…allora era pura? Forse troppo? Forse dovrei fare qualche domanda al lab…<br /><br />“ciao!”<br /><br />KAZZO CHI SONO!!!!!!<br />Svaniti! Ma erano qui! Davanti! Un lampo…come un blocco immagine…<br /><br />Che sta succedendo?<br /><br /><a onblur="try {parent.deselectBloggerImageGracefully();} catch(e) {}" href="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8Gm3B3Koeq2DF7AwbYZiqyaosgj7WryWA56HaIMJ-BBpA2eMY6EO1dBE16lPSLZgpv-OApaiuUJQhcVZZ6R8Kjx3aMIXCZ348U341eKvMxovAi1cG8DVG2EseW2_nslHQq2rZtwo8TAo/s1600-h/BIO.jpg"><img style="cursor: pointer;" src="https://blogger.googleusercontent.com/img/b/R29vZ2xl/AVvXsEg8Gm3B3Koeq2DF7AwbYZiqyaosgj7WryWA56HaIMJ-BBpA2eMY6EO1dBE16lPSLZgpv-OApaiuUJQhcVZZ6R8Kjx3aMIXCZ348U341eKvMxovAi1cG8DVG2EseW2_nslHQq2rZtwo8TAo/s320/BIO.jpg" alt="" id="BLOGGER_PHOTO_ID_5183578468672165330" border="0" /></a><br /><br />Nasce in Cimmeria, poi si ritrova a Roma.<br />Dopo due secoli passati a fare il miniaturista di leggende arturiane, essendo anche che non poco rotto le scatole decide di lavorare con i fumetti, sicuro di diventare miliardario entro sei mesi.<br />diciotto anni dopo non è miliardario, ma ha cicatrici e aneddoti e una lista di fumetti tradotti/scritti/pubblicati che bastarebbe per una notte al polo sud.<br />detto questo è l'imperatore supremo della <a href="http://www.botteroedizioni.it/">Bottero Edizioni</a>, traduttore per Planeta-De Agostini, sceneggiatore per Eura e altri, e consulente editoriale per la Cartoonone Italia. Altre informazioni si pagano care.Writers Death Racehttp://www.blogger.com/profile/10578061007667639750noreply@blogger.com4