La lancetta tocca i 200. Io sono il Buddha.
L’universo intero pulsa nelle mie vene. La mia coscienza abbraccia il tutto. Ogni singolo ingranaggio della macchina è parte di me, e io sono parte del tutto. Il mio cuore batte al ritmo dei pistoni. Le mie valvole mitraliche si aprono e si chiudono come quelle dei cilindri. I miei muscoli vibrano seguendo le irregolarità dell’asfalto. La strada mi appartiene.
È il satori. Io sono il Buddha.
Non sono più io che guido la mia macchina. Non è più la macchina che è guidata da me. Siamo tutt’uno. Sono sul sedile come se fossi in zazen, l’abitacolo è il mio tempio. La strada mi scorre sotto, liscia come una sciarpa di seta. Le curve diventano rettilinei, i dossi e le cunette si appiattiscono e ogni movimento che faccio per seguire la direzione è automatico, misurato, perfetto. Non basato sul pensiero razionale, ma solo sulla necessità di farlo in quel preciso momento, in quell’esatto modo. Ho il pieno e assoluto controllo, tutto mi appartiene e nulla è parte di me. Le mie mani tengono il volante, ma non lo stringono, i miei piedi carezzano i pedali. Non c’è nessun bisogno di movimenti forzati, improvvisi o violenti.
Sono pura azione. Sono il Buddha.
Intorno a me le strade della zona portuale della città scorrono veloci, ma nella mia mente è come se fossero ferme. I depositi, le zone di carico, i moli sono parte di me, contribuiscono a questa perfezione in cui ogni singolo secondo dura un’eternità. Sinistra, poi leggermente a destra, poi ancora a sinistra. Poi un lungo rettilineo, che porta al punto di non ritorno. Il mio destino si decide qui e ora, su questa curva a gomito in fondo al molo, con un deposito abbandonato all’interno e una rete metallica semiarruginita all’esterno a farmi da albero bodhi, ma è stabilito da sempre. È un momento fermo nel tempo, ma è quello decisivo. Mi avvicino sempre di più, sempre di più. Ci sono.
Nulla può andare storto. Io sono il Buddha.
Scalo dalla quinta alla seconda, giro il volante e aiuto leggermente la sterzata con il freno a mano. Le gomme urlano consonanti, la forza centrifuga cerca di spostarmi, ma io non la sento. Le leggi della fisica non mi riguardano, non in questo momento.
Appena sento che le ruote stanno riprendendo aderenza, apro. Acceleratore al massimo e pollice sul pulsante. Scarico la terza, poi la quarta e la quinta in rapida successione. È il momento. Un flusso di protossido di azoto invade il condotto di aspirazione dei cilindri, raffreddandoli e saturando il pistone di ossigeno. Quando la candela fa scoccare la scintilla, lo scoppio è molto più potente. La conseguenza è semplice: la macchina accelera di colpo. Il motore ruggisce, il mio cuore pulsa alla stessa velocità. Il movimento è parte di me, dei miei muscoli, delle mie vene. Sento i nervi che bruciano mentre una fiammata esce potente dagli scarichi, come calore che si disperde dai miei pori. Lo scatto in avanti è così improvviso e repentino che chiunque altro verrebbe risucchiato nel sedile, ma non io. Io sono in zazen, e sono parte dell’accelerazione. Io sono il suono di una sola mano. Per me la velocità non esiste.
La lancetta supera i 220, poi i 230. Io sono il Buddha.
Intorno a me il paesaggio sfreccia, ma io riesco a vedere ogni piccolo particolare. Dai riflessi della pioggia sul parabrezza ai resti di manifesti strappati sulle pareti del deposito che mi sfreccia accanto. Ogni cosa intorno a me ha un ruolo e contribuisce a rendermi perfetto, e a rendere perfetto il mondo. Accelero ancora. In cima a un dosso le ruote si staccano dal terreno. La macchina vola, ma è come se fosse ancora incollata all’asfalto, perfettamente bilanciata ed equilibrata, tanto che l’atterraggio è morbido e naturale, senza alcuno scossone.
Do un’altra scarica di protossido, poi chiudo gli occhi. I miei sensi sono talmente acuti e focalizzati che non ho bisogno della vista. Sento i rumori della strada, l’odore della benzina e della gomma, la ruvidezza dell’asfalto sotto le ruote, il sapore della mia stessa adrenalina, e so esattamente dove ero, dove sono, dove sarò.
Il mondo perde di importanza ma resta il centro di tutto. Io sono il Buddha.
Il mio avversario tenta di impedirmi di passarlo, ma, nel tempo che lui impiega per cercare di chiudermi la strada, io sono già oltre. Non ho bisogno di fare manovre brusche. Tutto è liscio, naturale, automatico. Semplicemente, io sono a un livello di coscienza superiore, e so quello che deve succedere prima ancora che succeda. Le ultime due curve è come se non ci fossero. Un osservatore esterno non percepirebbe nemmeno gli spostamenti della macchina, vedrebbe un unico flusso senza alcuna sbavatura o movimento inutile.
Per un breve interminabile secondo i segreti dell’universo sono alla mia portata. Posso sentirli, posso quasi toccarli. Io sono il Buddha, ora e per sempre.

Poi tutto passa. Tiro il fiato. Inspiro, espiro. Il battito cardiaco torna a livelli normali. Riacquisto coscienza del mio corpo, delle mie mani, dei miei occhi. I miei arti tremano leggermente a causa dello sforzo appena passato, il calore si disperde dalla mia pelle. Lentamente, il mondo torna a essere altro da me. La mia individualità prende di nuovo il sopravvento, allontanandomi dal tutto.
Il grande momento è trascorso, come un lungo orgasmo, e ancora una volta mi sono avvicinato di un passetto alla perfezione. Ma ancora non ci sono arrivato. Il mio viaggio è fatto dal percorso compiuto e da compiere, non solo dalla destinazione. Mi rimane solo un leggero senso di nostalgia per quella comunione con l’universo. E so che quella sensazione di unità, di completezza, dà assuefazione. Sento che dovrò provarla di nuovo, presto. È come una droga, la strada, la velocità. Ma in fondo al tunnel, la luce che si vede è luminosa e bellissima.

“Cazzo, va bene che sei praticamente imbattibile, ma dovresti vedere che faccia hai quando giochi a Need for Speed!”


Romano, romanista, marito, padre, fan di Springsteen.
Per vivere fa il copywriter, ma di notte indossa un mantello e si aggira per la città combattendo il crimine. Poi si sveglia, poggia il suo fumetto sul comodino, si gira e torna a dormire.
Il suo blog si trova QUI

2 commenti:

Fabrizio ha detto...

Cavolo, anche io ho delle espressioni inverosimili quando gioco a NfS!!

:P

Fab

P.S.: ecco, almeno un commento c'è! ;D

ivanhawk ha detto...

Grazie!

Mi sentivo tanto solo...